Il grande architetto catalano Gaudí di cui si sono recentemente concluse le manifestazioni in occasione dei centocinquant’anni dalla sua nascita, è figura significativa non solo per la peculiarissima produzione architettonica ma anche per il modo di concepire il processo architettonico e la figura dell’architetto stesso.
L’autore ci guida in un viaggio attraverso l’opera di Gaudí in qualità di studiosa, ma anche con la consapevolezza che le deriva dal fatto di vivere essa stessa le tensioni e le problematiche legate all’operare nell’ambito dell’architettura sacra.



Fotografie di Anna Camisasca

Antoni Gaudí nasce nel 1852 in una cittadina della Catalogna, Reus, e presto si trasferisce a studiare a Barcellona, capoluogo della regione e città molto vivace: oltre a essere un importante centro industriale è, all’epoca, anche un luogo di grande fermento culturale, dove si costituiscono circoli di artisti, di musicisti, di pittori, che in parte migreranno poi a Parigi, come Picasso, Dalì e Mirò.
Alla metà dell’Ottocento, grazie anche ai catalani emigrati oltreoceano, a Barcellona si afferma una borghesia molto forte e si favorisce il passaggio da un modello economico prevalentemente agricolo a uno industriale. Nel nuovo contesto sociale ed economico della Catalogna, si genera una situazione culturale sicuramente analoga alle altre dell’Occidente Europeo, ma con un contrasto particolarmente forte: al mondo contadino cattolico, alla borghesia di matrice cattolica e con un forte senso dell’appartenenza religiosa, si contrappongono movimenti operai e anarchici, con conflittualità dure e violente. Tutto questo si lega nei catalani con una vivacità, uno spirito imprenditoriale molto dinamico, che continua ancora oggi con grande forza.
Sul piano culturale, la situazione di crescente ricchezza provoca un fiero risveglio di identità della Catalogna, paese di grandissima cultura fino al Medioevo, ma oscurata nei secoli successivi dalla più ricca Castiglia. Si formano circoli culturali che operano per ricostituire il senso di identità della regione, attraverso lo studio, la divulgazione della lingua catalana (i primi vocabolari sono di quest’epoca) e la valorizzazione della lunga storia della Catalogna. Si ha, quindi, una sorta di movimento nazionalista, ancora oggi vivacissimo e complesso, nel quale alcuni personaggi, tra cui Gaudì, sono considerati padri della patria.(1)
Per i Catalani Gaudì non è solo un grande architetto, ma uno degli uomini che ha aiutato la Catalogna a ritrovare la propria identità e la Sagrada Familia [Immagine che segue a destra] (voluta da un gruppo di laici per la salvaguardia delle famiglie che la rivoluzione industriale stava scomponendo) non è solo una grande cattedrale, ma anche un simbolo di vita civile, fatto molto singolare nella cultura occidentale contemporanea.
Questo era il clima in cui i catalani vivevano: clima di grande ritorno di identità, di abbondanza di ricchezze, di conflittualità ma anche di grande vivacità in un orizzonte dove la componente religiosa era molto forte.
Quando il giovane Gaudì giunge in città – la famiglia è di modeste condizioni economiche ma lo sostiene negli studi – la facoltà di Architettura è stata istituita da soli due anni, così egli sarà il decimo laureato in architettura di tutta la Catalogna. Lo studente Gaudì, sicuramente appassionato ma non scolaro modello, manifesta interessi molto ampi, per cui, oltre ai corsi curricolari, frequenta corsi di estetica e di botanica. D’altra parte, tutto quello che egli mette nella sua architettura, in qualche modo era circolato nei testi che aveva a disposizione. Gaudì viaggia pochissimo e la sua architettura nasce tutta da un grande immaginario e da una sapienza costruttiva coltivata attraverso testi e riflessioni, attraverso tutto quello che gli avevano trasmesso i docenti.
Gaudì è un costruttore eccezionale e la sua capacità costruttiva si sviluppa dalla potenza dell’immaginazione e del ragionamento. L’immaginazione dell’uomo, per svilupparsi, ha bisogno sempre di altre immagini: c’è un immaginario ingenuo dentro di noi che nelle immagini date ne vede delle altre; questa capacità di combinare tra loro le immagini, questa dote elementare si è potenziata nel corso della sua formazione culturale e grazie alla sua sensibilità particolare.
È un processo immaginativo, molto ricco, nel quale l’artista interviene creando nuove immagini, dove altri non vedono le relazioni. È un processo di sintesi di componenti diverse che, per essere sviluppato in architettura, deve fondarsi su un notevole processo di razionalizzazione sia delle immagini che delle componenti che entrano nell’architettura: occorre conoscere i materiali e le tecniche costruttive perché il nuovo che si immagina diventi realmente architettura. Come questo processo sia avvenuto in Gaudì è una questione a cui gli studiosi hanno risposto, per ora, solo parzialmente.
Tuttavia, le molte esposizioni realizzate in occasione dei 150 anni dalla nascita hanno permesso di scoprire molto materiale relativo alla sua opera che era rimasto sepolto e oggi si sta scoprendo sempre di più la sua genialità straordinaria.
Per Gaudì il riferimento alla natura è fortissimo; la Sagrada Familia è un grande bosco pietrificato ed egli continuò a ripetere che la natura è la sua maestra e il suo continuo riferimento. [Immagine a sinistra: Foglie e uccelli sulla facciata della Natività nella Sagrada Familia]
Tuttavia, se per noi le forme della natura sono ovvie, per lui invece sono figure di una logica e di una stabilità, di una qualità di colore, di una composizione che può essere trasportata nell’architettura non come semplice imitazione ma come selezione di componenti che vengono poi liberamente riaggregati.
Tutto quello che si trova nella sua esperienza, nella sua produzione di architetto è già nei testi o nella produzione del tempo: la novità è l’elemento di sintesi. E l’elemento di sintesi, che ha fatto coagulare tutte le unità, sembrerebbe proprio il suo rapporto con la natura, da lui tenuta come referente costante e, sicuramente, da lui guardata con occhi che non sono i nostri, con occhi profondi.



La natura costruisce ramificazioni con funzioni statiche a sostegno della sua struttura fondamentale, proprio come fa l’architetto quando costruisce.
Gaudì ha studiato profondamente le cattedrali gotiche – con le strutture portanti all’esterno – e nella natura ritrova questi stessi processi che rivelano una logica costruttiva notevole.
Uno degli elementi che lo ha più colpito è il fatto che il tronco, quando scende nel terreno, forma delle «superfici rigate»: una serie di superfici formate dal movimento reciproco di due rette sghembe (situate in piani diversi) che, muovendosi una rispetto all’altra, danno luogo a una superficie che sta nello spazio e che, se proiettata nel piano, viene deformata.
Egli si accorse che queste superfici erano disegnate nelle tavole di disegno di pezzi meccanici, cui non era attribuito alcun valore estetico, elaborate all’epoca per la fabbricazione dei pezzi, ma nessuno aveva visto in queste forme meccaniche cui non si attribuivano qualità estetiche la possibilità di forme nuove di bellezza. [Immagine a destra: uno scorcio degli interni de La Sagrada Familia]
Ora Gaudì ha tratto dalla propria cultura gli elementi geometrici costruttivi, ma queste forme le ha trovate nella natura e le ha usate con estrema libertà, come forme «naturali»: non una semplice imitazione, ma un dialogo con la natura, da cui riprende forme complesse che porta nel mondo della costruzione. Costruendo rivela una concezione fortemente razionale, secondo un nuovo immaginario che ha radici nella tradizione; come lui stesso dice: «ho continuato a meditare la tradizione, ho riflettuto in modo razionale sulla tradizione».
In sintesi, il punto assolutamente originale di Gaudì è il suo rapporto con la natura: aveva occhi capaci di stupirsi e da questo ha dedotto la possibilità di lavorare sulle forme.
Se guardiamo le sue prime produzioni, vediamo che egli comincia da una meditazione sugli stili, quindi dal patrimonio di conoscenze che gli avevano trasmesso.
Però introduce la «catenaria», una curva continua che, rovesciata e irrigidita, è autoportante, una forma geometrica cui nessuno aveva mai pensato come forma costruttiva, che nessuno aveva mai usato nelle costruzioni.(2) [Immagine a sinistra: Archi a catenaria nella volta di una navata laterale della Sagrada Familia recentemente realizzata]
Nel tempo, per Gaudì, tutte le nozioni si convogliano in una sintesi che è una specie di eco del mondo naturale: la scuola gli ha dato tutte le conoscenze per poter esprimere in architettura, e quindi in immaginario, il suo rapporto con la natura.
Attraverso la geometria si può portare con ordine, quindi con una certa logica, il mondo della natura nel mondo dell’architettura; l’architettura di Gaudì è tutta geometricamente pensata: è una logica costruttiva in cui tutte le forme sono perfettamente identificabili con proporzioni e relazioni. Il suo lavoro era tutto basato su modelli in gesso (il momento dell’ideazione è il momento della modellizzazione in solido, e il disegno appartiene già al momento della verifica), ma gli ultimi quindici anni della sua vita sono stati dedicati a cercare di definire tutte le regole geometriche che potevano permettere a chi veniva dopo di lui di proseguire il cantiere della Sagrada Familia.



Quando parliamo delle opere realizzate da Gaudì, le attibuiamo solo a lui, ma bisognerebbe fare riferimento a un gran numero di artigiani che hanno lavorato per e con lui. Gaudì controllava i primi lavori in ferro battuto stando intere giornate nelle botteghe, ma poi l’artigiano proseguiva il lavoro e, sotto la sua guida, realizzava opere che a noi appaiono oggi eccezionali, non solo per esecuzione ma anche per libertà di esecuzione. Anche con la ceramica: ogni frammento è un frammento di fantasia e di qualità estetica tanto è vero che il restauro non è poi stato capace di mantenerla. Gaudì crede al mondo artigianale e nel momento in cui l’industria rischia di smantellarlo – lo farà poi nel giro di poco tempo, valorizza tutta la produzione artigianale esprimendo così la sua profonda consonanza con i mestieri, con tutti i mestieri. Gaudì vive in un momento (1852-1926) in cui si introducono nuove tecniche e le utilizza tutte. Inoltre, poiché una delle sue caratteristiche è quella di tenere unita costruzione e decorazione, tutti gli aspetti decorativi passano sotto il suo controllo: fa lavorare scultori, ceramisti, pittori, ma coordinati da lui.

 

 

 

Le opere

 

Le opere più importanti (tranne la Sagrada Familia) sono state commissionate a gaudì dal conte Esebi Güell, industriale tessile che si può considerare il suo mecenate. Tra di loro nasce non solo un rapporto di confidenza molto profondo e di condivisione di idee, ma un’amicizia e una simpatia che li porta a discutere insieme alcuni progetti.
Molteplici e complesse sono le tecniche utilizzate. Per esempio, l’ingresso del Parco Güell è segnato tuttora da un cancello a forma di drago: una scultura straordinaria in ferro battuto costruita da un artigiano sotto la guida di Gaudì. Nel costruire le due casette che sono a fianco di questo cancello inizia a usare la ceramica e le catenarie, utilizzando nel contempo le tecniche costruttive tradizionali tipiche della campagna.
Egli sperimentava con tutto: mentre inventava forme nuove cercava anche soluzioni tecniche notevoli; per esempio, tutti i tetti delle sue case sono doppi e ci sono due sottotetti in modo da rinfrescare bene gli appartamenti sottostanti e anche i camini sono camini di ventilazione; c’è sempre una circolazione d’aria naturale molto controllata. [Immagine a destra: il tetto di casa Batlló visto dal retro]
D’altra parte, anche l’elemento più semplice diventa ornamentale, decorativo: per esempio, i camini sono elaborati con piccoli frammenti colorati di ceramiche spezzate: un’esuberanza di immaginazione, una ricchezza del particolare realizzabile solo grazie a una grande capacità di coinvolgimento e condivisione con artigiani che lavorano per lui.
Le ceramiche spezzate sono tutte forme geometriche e danno luogo a una tecnica chiamata «trencadissa»: per rivestire di ceramica una superficie tondeggiante occorre adattare la ceramica alla superficie, perciò farla a pezzetti e poi con il cemento e la calce adattarne le forme in modo da ottenere una rotondità. Qui la fantasia di Gaudì si scatena perché queste rotondità trascolorano, passano da un colore all’altro, e Gaudì combina i colori, poi decide (si vede nel parco Güell) di spezzare delle ceramiche che hanno dei disegni interni e di combinarle con altre e così via.
Questo lavoro con le ceramiche è uno di quelli che ha stupito di più gli studiosi perché sembra un’anticipazione dell’informale; in realtà nasce dall’idea di ottenere forme brillanti in tondo.

Casa Batlló (1904-1906)

 

Quando a Gaudì viene chiesto di ristrutturare una abitazione – Casa Batlló – originariamente molto spoglia, dandole dignità sulla facciata, siamo nel 1904, in una fase molto matura. Gaudì costruisce il tetto, con due sottotetti (in uno dei quali colloca i serbatoi d’acqua) e una torretta per salire all’ultimo sottotetto, in cima alla quale c’è una croce a bracci uguali. [Immagine a sinistra: la facciata di casa Batlló]
Il tetto esterno, tutto in ceramica colorata, è a dorso di drago e mostra molto bene l’effetto trencadissa, il passaggio da un colore all’altro su una forma tondeggiante.
La superficie dell’edificio è ondulata come se fosse l’increspatura del mare, e su questa ondulazione della superficie vengono messi, come coriandoli, frammenti di ceramica colorata di varie dimensioni, che Gaudì fa costruire apposta. ]Immagine a destra: un dettaglio della facciata]
I balconcini sono come delle mascherine di Carnevale. La parte bassa dell’edificio ha un aspetto molto particolare, entrandovi sembra di essere nel corpo di un animale; lo spazio è fluido. Quando si guarda questa facciata si ha una forte percezione di unità, tra l’ondulazione del mare, i coriandoli, le mascherine, la torre, il drago; è un legame di fantasia che sembrerebbe non avere logica, ma probabilmente ha logiche emozionali: tutte le mattine, alla domenica, Gaudì andava in riva al mare e lo guardava a lungo; e il suo rapporto con la natura riaffiorava in questi risultati.

 

 

Casa Milà (1906-1910)

 

Casa Milà, a circa cento metri da casa Battló, è un edificio molto grande situato su un angolo; il palazzo è strutturato come un grande condominio e su ogni piano ci sono otto appartamenti; ci sono due cortili interni, c’è il garage e tutti i servizi moderni. Il tetto è completamente praticabile e l’ultimo sottotetto ospita un museo permanente delle opere di Gaudì. [Immagine a sinistra: la facciata di Casa Milà]
L’edificio è chiamato La Pedrera, come una grande cava, perché è stato completamente rivestito con la pietra proveniente da Montjuïc, nelle montagne vicine, che vibra molto sotto la luce e che dà questo effetto di grande cava. Questo edificio è molto bello da vedere perché il sole gioca continuamente con le forme mosse e quindi al mattino si ha un effetto, un altro al pomeriggio, un altro ancora verso sera. Oltretutto la pietra calda chiara si colora anche molto diversamente creando un effetto molto suggestivo.
L’ondulazione ha, al centro, delle scritte, l’Ave Maria in latino, perché – diceva Gaudì – in Barcellona non c’è neanche una piazza dedicata alla Madonna e pensa che questo edificio possa essere il basamento di un monumento alla Vergine, una statua gigantesca di 25 metri.
Se Gaudì non avesse abbandonato il lavoro per disaccordi con la signora Milà, la superficie esterna dell’edificio sarebbe stata colorata d’affresco; doveva rappresentare un mondo primaverile, le alghe (i balconi), il mare, la primavera.
E in cima, in questa copertura tutta praticabile dove i camini di ventilazione sembrano dei guerrieri, tra le uscite delle scale che hanno una forma a spirale – motivo decorativo, perché il fumo esce a forma di spirale – doveva troneggiare la figura della Vergine con due angeli. [Immagine a destra: Il tetto di Casa Milà, tutto percorribile, è dominato da «personaggi» che sono elementi funzionali e servono per uscire dalle scale, per andare dal sottotetto al tetto o come camini di ventilazione]
La parte più bella di questo edificio, recentemente ristrutturato dalla Caixa de Catalunya, banca che ne è la proprietaria, è il sottotetto dove è collocato il museo permanente. Le catenarie che ne sono la struttura portante sono costituite solo da un filare di mattoni sottili messi di piatto, a formare come dei «gusci». Sotto lo spazio dei balconi, che sporgono molto, ha messo il vetro in modo da illuminare il più possibile anche l’interno che altrimenti sarebbe molto buio.
Gaudì ha sempre un motivo per le scelte che opera; per esempio ci sono edifici in cui compaiono fiorellini nella decorazioni: prima della costruzione c’era un prato con della vegetazione spontanea, alcuni tipi di fiori e di piante che Gaudì riporta nell’edificio. La fantasia si alimenta sempre in relazione fortissima con la realtà: la sua immaginazione non è astrazione dalla realtà.

 

 

Il Parco Güell (1900-1914)

 

Questo parco è attualmente parco pubblico; è stato donato dal figlio del conte Güell al comune di Barcellona, ma è nato come una originale idea di città giardino, che prevedeva sessanta abitazioni in un parco recintato. La collina era stata disboscata e quindi a Gaudì viene chiesto anche un lavoro di architettura dei giardini; poi deve realizzare un’area per il mercato, una grande spianata dove si possano ritrovare tutti, una chiesa (l’idea della chiesa poi viene abbandonata e si farà semplicemente un Calvario) e degli edifici d’entrata per il controllo dell’area.
In realtà, dopo le lottizzazioni e la costruzione di un prototipo, il progetto non ha seguito per mancanza di acquirenti.
La casa prototipo è oggi la Casa Museo Gaudì; e il parco è uno spazio a verde che contiene alcune strutture pubbliche molto belle.
Negli edifici all’ingresso il tetto è in ceramica a dorso di drago e ha la torre che finisce sempre con la croce a bracci uguali. Si sale una scalinata, si arriva al mercato, oggi chiamato tempio greco per le grandi colonne doriche; sotto c’è una cisterna d’acqua che consente il funzionamento delle fontanelle tra le due scalinate. La parte di ceramica forma ondulazioni a calotte che fanno sembrare vacillante questa costruzione molto solida, sia perché alcune colonne sono un po’ inclinate, sia perché le vibrazioni alla luce danno l’idea del mare. C’è un po’ l’idea dello stabile e del non stabile insieme.

Sopra al tempio greco, c’è una grande spianata che è delimitata da un sedile a forma di serpentina rivestito completamente in ceramica secondo la tecnica della trencadissa.
In tutto il parco il rivestimento in ceramica si spreca, ce n’è moltissimo sempre in forme tondeggianti; sembra quasi di vedere un cuscino di piuma e non una creatura in pietra perché la ceramica trencadissa brilla molto sotto la luce e queste forme sono realizzate in dischi esagonali con ceramiche lavorate e poi ricomposte liberamente. Nel cortile serpentinato sono ricavate piccole nicchie, così a piccoli gruppi ci si può fermare a conversare, si guarda anche tutti nella stessa direzione se c’è uno spettacolo, ma nello stesso tempo si può anche, in pochi, mettersi in rapporto. Sul bordo, ogni tanto, c’erano incisioni con delle preghiere. Costruendo i percorsi all’interno del parco [Immagine sopra a sinistra], Gaudì non modifica nessuno dei dislivelli esistenti, ma forma delle strade che scendono lungo i l fianco della collina e costruisce strutture in muratura le cui colonne di sostegno, inclinate, assomigliano alle palme, in consonanza con gli elementi naturali.

 

 

La Sagrada Familia (1883-1926)

 

Quando Gaudì prende l’incarico di direttore generale dei lavori per la Sagrada Familia (3) ha trentun anni; è una grande occasione per farsi conoscere e da questo momento, accanto al rapporto con il conte Güell, ha come interlocutore anche il contesto ecclesiastico: realizza o ristruttura chiese, cappelle grandi e piccole, conventi e così via; questa produzione è per gran parte neogotica. Gaudì è un personaggio che cresce lentamente mentre realizza i suoi lavori e, nei primi tempi, lavora in questo cantiere senza dimostrare doti eccezionali.
Ma quest’incarico lo tocca profondamente e, soprattutto negli ultimi anni, abbandonerà tutti i lavori per dedicarsi esclusivamente alla cattedrale, vivendo in modo molto austero, quasi come un monaco. Addirittura, quando la gente di Barcellona non finanzierà più la costruzione, Gaudì metterà a disposizione tutti i suoi soldi andando anche a cercare la carità, segno estremo del distacco dalla mondanità e dal desiderio di gloria.
La planimetria originale della chiesa, che Gaudì eredita e non può modificare perché i lavori della cripta sono già avanzati, è quella di una cattedrale gotica molto larga che ricorda, per l’impostazione delle tre facciate, due sul transetto e una principale, la cattedrale di Chartres; le facciate, tutte molto decorate, rappresentano i quindici misteri del Rosario: cinque della Nascita, cinque della Passione e cinque della Gloria.
Quando Gaudì muore, nel giugno 1926, la facciata della Natività, quella che si vede più elevata in altezza, è quasi tutta conclusa (mancano solo le guglie), l’abside è appena accennata e di tutto il resto non c’è nulla.
Perché Gaudì ha sviluppato la costruzione in verticale? Dal punto di vista costruttivo questa scelta comporta problemi perché crea carichi di punta; dopo la sua morte infatti si è lavorato circa dieci anni per sistemare le sottofondazioni, comunque con qualche dissesto a causa del forte carico concentrato solo su un punto. [Immagine a sinistra: le finestrelle delle torri dovevano essere aperte e ospitare ognuna un carillon]
Salendo in verticale, Gaudì voleva esprimere la sua idea di cattedrale, in cui le facciate sono elementi fondamentali: voleva completarne almeno una e perciò dedica gli ultimi quindici anni della sua vita a definire le forme geometriche delle proporzioni.
La logica sottesa a queste proporzioni di forme geometriche è stata compresa solo recentemente grazie agli studi del direttore del cantiere, Jordi Bonet, e di esperti che studiano queste logiche costruttive all’Università di Sidney, di Barcellona e di Delft: ogni studioso tenta di capire le regole geometriche per conto proprio e poi si confrontano i risultati.
Quando si è ricominciato a costruire, nel 1954, ci si è dovuti basare solo sui modelli in gesso realizzati da Gaudì. Infatti, nel 1936, gli anarchici che profanarono la tomba di Gaudì e devastarono il suo studio, avevano bruciato o asportato moltissima documentazione relativa alla costruzione.
La Sagrada Familia ha un suo cantiere e un suo studio professionale e affida i calcoli delle strutture a uno studio di ingegneri, ma è il direttore del cantiere, che ha chiari tutti i processi, a decidere secondo quale forma costruire. Si tratta di un cantiere estremamente moderno e specializzato, in cui lavora un centinaio di persone e intorno al quale le tre strutture universitarie sono impegnate a scoprire le logiche di geometria e di calcolo sottese.
Oggi il lavoro procede in questo modo. Per le parti di struttura portante: si fanno a pezzi i modelli e ogni pezzetto viene ridisegnato al computer con le curve di livello definendone la forma geometrica; i blocchi di pietra vengono scolpiti direttamente da un pantografo collegato al computer formando un guscio che viene messo in opera e armato con cassero permanente. Invece, le parti di copertura sono superfici rigate dai nomi complicatissimi, che vengono realizzate da artigiani formati per questo scopo; essi realizzano delle specie di telai metallici su cui dispongono i mattoni accostati in modo che si formino dei gusci autoportanti. Osservando dall’interno la cattedrale, si vede che le curve all’interno sono delle catenarie e che i pilastri sono inclinati per seguire la curva catenaria [Immagine sopra a destra].
L’immagine a sinistra riproduce il modello in gesso della Sagrada Familia, restaurato ricomponendo i frammenti salvati dalla devastazione degli anarchici nel 1936. Gaudì voleva realizzare, al centro, una torre gigantesca con un faro che avrebbe dovuto illuminare la città; oggi la torre è occupata, nella parte bassa, da un salone per riunioni e da una grande scala per salire nella parte più alta.
Questa grande torre sarà realizzata dopo il 2007, quando, si presume, saranno ultimati i lavori della parte interna. Nel modello sono presenti le tre facciate di cui la chiesa sarà dotata alla fine dei lavori. Nell’immagine a sinistra con il modello in gesso si trova la facciata principale, che dà su Calle Mallorca che non è ancora edificata e su cui saranno scolpite storie della vita pubblica di Cristo.
Sulla facciata della Passione [Immagine a destra: un particolare del ciclo scultoreo della facciata della Passione], dal 1986 è al lavoro Josep Maria Subirachs che ha già scolpito un centinaio di statue i cui volti squadrati e dall’espressione drammatica sono nettamente differenti dalle sculture della facciata della Natività realizzate da Gaudì, o da altri scultori sempre sotto la sua guida.  
In questa facciata ci sono simboli religiosi, simboli mitologici ed è raffigurato, con grande dovizia di particolari, il mondo della natura; per esempio, uno studio spagnolo ha esaminato tutta la vegetazione scolpita e ha riscontrato una totale corrispondenza con la vegetazione catalana. [Immagine a sinistra: un particolare del ciclo scultoreo della facciata della Natività scolpito da Gaudì]

 

 

 

Come lavorava Gaudì

 

Come faceva Gaudì a pensare i suoi progetti? Un esempio è relativo alla chiesa della colonia Güell, un piccolo edificio che doveva costruire fuori Barcellona, considerato come unesperimento per mettere a fuoco le idee importanti che voleva trasportare nell’edificio più grande.
In generale, egli partiva da un modello, non propriamente da un disegno. Prendeva dei fili, li appendeva al soffitto in modo da formare tante catene cui sono attaccati piccoli pesi che corrispondono al peso della struttura muraria che poi verrà edificata. Così si genera una specie di spezzata con i pesi in proporzione perché poi occorreva fare tutti i conti. Poi prendeva dei teli e li disponeva come delle superfici continue tra le varie catenarie. L’immagine capovolta dava la struttura; la fotografava e lavorava sull’immagine: metteva in fila le varie figure per capire come e dove fare l’ingresso, modificava il disegno e quindi procedeva formando il modello plastico. [Immagine a destra: nella parte superiore, parte di un modello ricostruito con i fili e le pesature perfette. Nella parte inferiore, effetto rovesciato ottenuto con uno specchio, che corrisponde alla vista dal vero]
Dietro al museo della Sagrada Familia c’è un salone, chiuso al pubblico, che raccoglie, restaurati, tutti i pezzi dei modellini in gesso che Gaudì aveva realizzato. È impressionante perché dimostra che egli aveva pensato tutto in solido, cioè tutto insieme, poi tutto in scale diverse, cioè pezzo per pezzo, in un’impostazione totalmente geometrica. Naturalmente non può aver fatto tutto da solo: aveva coinvolto nella stessa logica l’equipe che lavorava con lui. Ora si sono ritrovate queste geometrie, però nessuno ha ancora ricostruito la logica unitaria del tutto.
Le scoperte compiute negli ultimi anni – esempi di logica e di coerenza impressionanti – hanno rivelato l’importanza di continuare il lavoro per capire meglio Gaudì. Le sue strutture architettoniche appartengono a un filone della scienza delle costruzioni che si è sviluppato poco, quello dei gusci.
Subito dopo la sua morte Gaudì non è stato ammirato (uno dei primi che l’ha riconosciuto e l’ha celebrato è stato Salvador Dalì), ma oggi tutti i grandi architetti guardano a Gaudì e tutti i libri di storia dell’architettura contemporanea lo presentano come uno dei grandi: la sua lezione sta dando frutti, nonostante la resistenza derivata da posizioni ideologiche nei confronti della sua opzione cattolica così forte.
Gaudì si è dedicato totalmente al suo lavoro, ma non basta questo a spiegare come abbia fatto a cogliere l’ordine geometrico, come abbia fatto a mettere a fuoco tutte queste conoscenze, a trovare questa sintesi di relazione con la natura che anticipa, in fondo, una sensibilità culturale post-tecnologica molto attuale.

 

 

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Maria Antonietta Crippa
(Ordinario di Storia dell’Architettura al Politecnico di Milano e autore di numerosi testi su architetti contemporanei, studiosa di Gaudì che ha approfondito in modo particolare curando una trilogia di volumi che è stata pubblicata da Jaca Book)

 

 

NOTE:

  1. Tra questi merita di essere nominato un sacerdote, Jacinto Verdaguer, di origini poverissime e precettore di una delle famiglie che poi farà lavorare anche Gaudì, il quale fu autore di opere letterarie che esaltarono la storia della Catalogna e, nello stesso tempo, affinarono la lingua; in particolare, nel suo poema La Atlantida si racconta che Atlantide, il mondo sommerso scomparso, aveva il suo centro a Barcellona per cui Barcellona è una specie di capitale del mondo, di cuore del mondo.
  2. Prima di Gaudì non si era mai pensato alla catenaria come a una forma costruttiva. La cupola di San Pietro si comporta come una catenaria, ma Michelangelo non l’ha pensata come tale; le cattedrali gotiche hanno bisogno degli archi rampanti e dei contrafforti laterali perché l’arco a sesto acuto causa spinte laterali e quindi richiede un ispessimento del punto all’incrocio tra la parete verticale e la caduta dell’arco.
  3. La Sagrada Familia nasce come un santuario la cui costruzione è sostenuta da libere donazioni ed è gestita da una associazione dedicata a S. Giuseppe.  Nel 1883, quando Francesc de Paula Villar, il primo architetto che lavora alla realizzazione, abbandona per contrasti con il gruppo che presiede la costruzione della cattedrale, l’incarico viene affidato a Gaudì su proposta di un suo ex docente nel cui atelier aveva lavorato durante il periodo universitario.

 

 

 

© Pubblicato sul n° 20 di Emmeciquadro


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