Uno dei primi grandi sperimentatori del Seicento, Niccolò Stenone, nel presentare la sua ricerca allo sponsor, il Granduca di Toscana, sottolineava un’esigenza tipica del lavoro scientifico: quella di un tempo sufficientemente lungo, necessario per vagliare il maggior numero possibile di particolari di un fenomeno e per fronteggiare un’ampia sequenza di imprevisti. Pertanto, una qualità essenziale del ricercatore è la pazienza: un’attitudine che non indica certo passività, al contrario si accompagna alla precisione e alla meticolosità di chi non si accontenta delle osservazioni affrettate e non smette di esplorare tutte le possibili sfaccettature della realtà naturale.
Una ragione più profonda suggerisce di dare risalto al parametro tempo ed è connessa al concetto di modello. Una condizione preliminare del metodo sperimentale è infatti la convinzione che la natura possieda delle regolarità, che il suo comportamento sia descrivibile, che i fenomeni (o almeno buona parte di essi) siano poco o tanto riproducibili. Ma per cogliere regolarità e ripetibilità ci vuole attaccamento all’oggetto della conoscenza e familiarità col fenomeno: bisogna stare di fronte al fenomeno, provocarlo opportunamente e aspettare che la natura stessa mandi un feedback. Solo così il modello che si andrà a costruire avrà un’alta probabilità di corrispondere alla realtà dei fatti.
Per arrivare al modello è richiesto un ulteriore passo, quello di utilizzare gli strumenti adatti per descrivere oggetti e processi naturali; la storia della scienza continua a confermare che la sorgente di tali strumenti va individuata nel fertile territorio delle matematiche. La cosa non è né ovvia né scontata e i tanti studiosi che si sono interrogati sul perché ciò si verifichi hanno trovato solo parziali risposte. È dunque responsabilità di chi è impegnato nell’educazione scientifica non lasciarsi sfuggire nessuna occasione per far apprezzare la potenzialità della matematica come linguaggio versatile, creativo e al tempo stesso rigoroso per la costruzione e la formalizzazione di modelli. Purtroppo, l’immagine prevalente della matematica è ancora bloccata sull’aspetto parziale e riduttivo del calcolo, della noiosa e fredda sequenza di passaggi che sembrerebbe, a torto, non lasciare alcun spazio all’immaginazione. Ma senza immaginazione appare molto difficile ogni processo di astrazione e di conseguenza diventa impossibile modellizzare.
C’è un’ultima osservazione, che emerge dal contenuto di alcuni contributi presentati in questo numero: anche i modelli sono soggetti a evoluzione, anzi sono per loro natura evolutivi. Qui emerge il ruolo della componente sperimentale della conoscenza scientifica: attraverso l’esperimento infatti un modello viene convalidato o falsificato o, il più delle volte, adattato. L’adattabilità è il paradigma più efficace per descrivere la dinamica del rapporto modello-realtà: tutta l’attività sperimentale non fa che arricchire di informazioni i modelli, consentendone la continua riformulazione e il progressivo adattamento.
Col risultato di aumentare la loro capacità di leggere la natura e di scoprire sempre nuovi indizi che innescano ulteriori indagini; in un esaltante cammino che non conosce soste.



Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 21 di Emmeciquadro


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