La riflessione sull’utilizzo terapeutico delle cellule staminali si svolge troppo spesso solo tra opinion leader schierati più o meno ideologicamente.
E anche chi riesce a tagliare nuovi traguardi, in questo caso l’amplificazione e il trapianto di cellule staminali emopoietiche del sangue placentare per curare la talassemia, si trova al centro di un dibattito in cui gli aspetti scientifici del problema sono sopraffatti da schemi precostituiti.

In questo contributo, i risultati ottenuti e la lunga esperienza a contatto con la sofferenza di bambini e genitori sono il punto di partenza per illustrare lo stato attuale e le prospettive della ricerca sulle staminali cordonali: per essere più consapevoli delle tematiche presenti alla frontiera della scienza.



Per anni considerata materiale di scarto (dopo aver ottemperato al ruolo fondamentale di struttura di nutrimento indispensabile per un corretto e completo sviluppo embrionale e fetale), o al più impiegabile per preparazioni cosmetiche di dubbia efficacia, la placenta, e in particolare il sangue contenuto nel cordone ombelicale, hanno recentemente trovato straordinaria valorizzazione come sorgente di cellule staminali emopoietiche (CSE) da impiegarsi per scopi trapiantologici.
Il sangue placentare, infatti, contiene un elevato numero di cellule emopoietiche e, in particolare, una quota di progenitori emopoietici immaturi più elevata rispetto al midollo osseo.
Numerosi studi hanno anche documentato come la capacità «staminale » delle CSE cordonali possa essere superiore a quella delle corrispettive cellule midollari testimoniata anche dal fatto che trapiantando in modelli murini (topi NOD-SCID)1 uguali quantità di CSE ottenute da sangue cordonale o da midollo osseo, si osserva un attecchimento preferenziale o, addirittura, esclusivo delle prime.
Storicamente, per circa vent’anni dalla prima realizzazione di una procedura trapiantologica coronata da successo, il midollo osseo ha rappresentato l’unica sorgente di CSE da impiegarsi, sia in soggetti adulti, sia in soggetti pediatrici, per il trattamento di numerose malattie ematologiche maligne e non neoplastiche.
Nella ricerca di fonti alternative di CSE utilizzabili per il trapianto allogenico2, il 1988 rappresenta una tappa fondamentale nella storia della trapiantologia, in quanto, nell’ottobre di quell’anno, Eliane Gluckman, a Parigi, trapiantò con successo un bambino affetto da anemia di Fanconi, patologia ereditaria autosomica recessiva pressoché invariabilmente fatale entro la seconda decade di vita, utilizzando il sangue prelevato alla nascita dai vasi del cordone ombelicale di un fratello germano sano, oltre che HLA-identico (Human Leukocyte Antigen – HLA), con il paziente.



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Franco Locatelli
(Oncoematologia Pediatrica, IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia)

Note

  1. Non Obese Diabetic – Severe Combined Immuno Deficiency; si tratta di topi diabetici non obesi, affetti da una grave forma di immunodeficienza

  2. Ossia da donatore compatibile, in genere un famigliare

© Pubblicato sul n° 23 di Emmeciquadro

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