Werner Heisenberg

Fisica e Filosofia

Il Saggiatore, Milano 1998
(Prima Edizione 1961)

Pagine 214 – Euro 9,00
[Nuove Edizioni Tascabili (NET)]

Il libro deriva dalla stesura di lezioni tenute dall’autore nell’anno accademico 1955-56, nell’ambito delle Gifford Lectures, che, per volontà del fondatore di tale iniziativa, dovevano «liberamente discutere tutti i problemi che riguardano le concezioni dell’uomo su Dio e l’Infinito, la loro origine, natura e verità». Anche se l’autore non arriva ad affrontare sintesi filosofiche o teologiche, questo contesto spiega il suo tentativo di collocare le acquisizioni della fisica moderna, in particolare della quantistica, nel contesto più ampio del problema generale della conoscenza e del rapporto uomo- natura.
Non si parla quindi solo di fisica in senso stretto, ma si richiama sia la filosofia della natura degli antichi Greci, sia la filosofia scolastica (in particolar modo il concetto di potenza e atto), sia infine l’impostazione cartesiana e quella kantiana del problema della conoscenza.
Nella prima parte del testo si esamina lo sviluppo della teoria dei quanti e l’interpretazione di Copenaghen, cioè la natura essenzialmente probabilistica della fisica quantistica. È interessante l’accostamento fra la funzione di probabilità, che descrive gli eventi possibili (solo l’esperimento selezionerà una particolare misura) e i termini tipici della filosofia aristotelica e di quella medievale, di potenza e atto, che anzi, secondo l’autore, costituiscono i concetti filosofici più vicini alla natura della fisica quantistica.
L’altro elemento interessante è l’affermazione che nella conoscenza scientifica, a un certo punto, non possiamo separare completamente il soggetto dall’oggetto; non nel senso che non esista una realtà oggettiva, ma che noi stessi siamo un pezzo di natura, e quindi limitati nei mezzi stessi di conoscenza: «dobbiamo ricordare che ciò che osserviamo non è la natura in se stessa, ma la natura esposta ai nostri metodi di indagine» oppure, citando una frase di von Weizsäcker, metterci in testa che «la natura è prima dell’uomo, ma l’uomo è prima della scienza naturale».
Questa posizione, intermedia fra il realismo positivistico, e la posizione relativista (che pure è una delle possibili conseguenze della natura probabilistica della fisica quantistica) che nega l’esistenza di una realtà oggettiva, è sviluppata nella seconda parte che contiene un’analisi critica sia del pensiero cartesiano con la rottura della realtà in res cogitans e res extensa, sia della pretesa del pensiero kantiano di fondare la scienza sulle intuizioni sintetiche a priori.
Nella seconda parte, diversi capitoli sono dedicati ai temi del rapporto fra teorie fisiche e realtà, sviluppando in particolare il concetto di scienza come un particolare linguaggio che costituisce una modalità particolare di parlare della realtà. In questo senso la sua posizione ha molti punti di contatto con quella di Einstein. La teoria scientifica non è deducibile dagli esperimenti: ha un aspetto di libera creazione; non coincide quindi con la realtà totale, ma ne costituisce una particolare (e quindi limitata) rappresentazione.
In questo senso esiste una parentela con l’arte: «Perciò i due processi, quello della scienza e quello dell’arte, non sono molto diversi. Sia la scienza che l’arte danno forma, nel corso dei secoli ad un linguaggio umano per mezzo del quale possiamo parlare delle parti più remote della realtà.».
In sintesi si tratta di un testo complesso, non sempre del tutto organico, come spesso capita agli scienziati quando si addentrano in tematiche filosofiche (si tenga però presente che Heisenberg aveva una formazione filosofica superiore alla media degli scienziati del suo tempo), ma pieno di spunti interessanti e utili per una meditazione e un approfondimento personale. Il testo è stato recentemente rieditato nelle Nuove Edizioni Tascabili del Gruppo Saggiatore.



Recensione di Lorenzo Mazzoni
(Docente di Matematica e Fisica – Redazione di Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 25 di Emmeciquadro

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