Il rapporto fra scienza e tecnologia è più complesso di quello espresso dalla affermazione «la scienza scopre, la tecnologia applica».
L’autore esemplifica questa complessità esaminando il lungo percorso che ha portato alla costruzione di apparecchi per la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), che, ben sessant’anni dopo l’introduzione della radiografia a raggi X, ne ha costituito una sostanziale evoluzione.
Una vicenda storica che è quasi un paradigma di come si sviluppa la tecnologia moderna.



Mette insieme due termini, TAC e tecnologia, il gioco di parole del titolo perché raccontare la storia della TAC mi sembra un buon modo di esemplificare come scienza, tecnologia e società interagiscono fra di loro, a dare quella straordinaria disponibilità di nuove apparecchiature, dai gadget di puro intrattenimento, agli strumenti salva-vita, che caratterizza i nostri tempi.
In poco più di trent’anni, dall’introduzione nei primi anni Settanta ai giorni nostri, la TAC ha contribuito a scrivere uno dei capitoli più importanti della diagnostica medica moderna, una disciplina che grazie ai progressi dell’elettronica, si è molto arricchita di strumenti e di mezzi di indagine che hanno enormemente dilatato la capacità dei medici di guardare dentro il corpo umano1, e dunque anche contribuito, come tante altre tecnologie divenute di uso comune, a influenzare il nostro modo di vivere (in questo caso, per meglio dire, di sopravvivere).



Che cosa significa TAC

La parola tomografia deriva dal termine greco tomos, che significa fetta, sezione. Il termine «assiale» richiama il fatto che questo metodo di indagine produce una serie di sezioni lungo l’asse longitudinale del corpo umano.
In un apparecchio per la TAC si utilizzano i raggi X, come nelle radiografie, ma a differenza di quest’ultime il paziente non viene esposto a un singolo fascio di raggi proveniente da una sola direzione, ma a una serie di fasci provenienti da un gran numero di direzioni.
I dati di queste esposizioni, piuttosto di fissarsi direttamente su una pellicola, vanno a colpire una serie di rivelatori che li trasformano in segnali elettrici, a loro volta acquisiti tramite un computer, che da essi ricostruisce, con un processo matematico, le immagini degli organi interni del paziente.
Molti sono i vantaggi: tramite il computer si possono generare delle sezioni in qualunque piano e, da una serie di queste, ricavare delle viste tridimensionali.
La risoluzione delle immagini che si ottiene è notevolmente più alta rispetto a quella ottenibile con una singola sorgente e una pellicola, dal momento che il computer può esaltare un certo dato, variare il «contrasto» e in tal modo manipolare l’immagine, permettendo di evidenziare anche le minute variazioni di densità dei tessuti che possono indicare, per esempio, dei tumori in formazione e altri cambiamenti non voluti.



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Gianluca Lapini
(Ingegnere aeronautico, ricercatore presso il Centro Elettronico Sperimentale Italiano (CESI) di Milano)

Note

  1. Gli apparati elettrici di diagnosi, come gli elettrocardiografi e gli elettroencefalografi, sono stati introdotti nel primo quarto del Novecento. Nei primi anni Cinquanta sono entrati in uso gli apparecchi per i trattamenti di medicina nucleare (clinicamente accettati agli inizi degli anni Sessanta) e verso la metà degli anni Cinquanta, quelli a ultrasuoni (di utilizzo corrente dagli anni Settanta). Altri apparecchi, quali RMN e PET, sono posteriori alla TAC. Sulla RMN si veda in particolare l’articolo di Giorgio Belloni, Risonanza magnetica nucleare, in Emmeciquadro n° 20 – Aprile 2004.

© Pubblicato sul n° 25 di Emmeciquadro

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