Significato e Senso nel Lessico Scientifico

Scoprire che le moderne teorie della complessità hanno legami con le posizioni di scienziati e pensatori del passato. In un percorso che chiarisce il significato di termini – cose, eventi e processi – utilizzati con alta frequenza sia nella letteratura scientifica che nell’attività didattica. Affermando che ha poco senso parlare di sistemi, di divenire, di trasformazioni eccetera se non si dà alle cose il loro nome, se si rimane ancorati a una concezione di scienza che rifiuta l’essenza. Una riflessione che si sviluppa attraverso una serie di esempi strettamente scientifici mettendo in evidenza che la «curiosità scientifica non è mai disgiunta dalla ricerca della sapienza».



Durante la sua lunga vita, Karl Popper (1902-1994) fu molto popolare sia per la sua appartenenza all’ambiente della potente London School of Economics sia per aver messo in luce l’importanza della confutabilità per una teoria che voglia dirsi scientifica. Oggi il suo pensiero rimane interessante soprattutto perché testimonia un’epoca di transizione in cui la riflessione sulla scienza si trovava legata al cosiddetto empiriocriticismo, «un punto di vista secondo cui le sensazioni di cui l’esperienza è fatta sono in un continuo flusso. Entro questo corso di fenomeni, la nostra attività conoscitiva opera ponendo schemi e facendo delle caratterizzazioni distintive, valevoli per gli scopi pratici della nostra vita».
La tesi forse più significativa di quel momento pre-nichilista della riflessione sulla scienza fu formulata più volte proprio da Popper. Si tratta della formula: «l’universo oggi appare essere non un insieme di cose, ma un insieme interagente di eventi e processi».
Poiché a prima vista questa dichiarazione è molto convincente, specialmente per coloro che appartengono alla cosiddetta cultura scientifica, vogliamo fermarci sui termini «cosa», «evento» e «processo» che vi compaiono.
Come il lettore vedrà, proseguiremo in sostanza il discorso iniziato parlando di sistemi e trasformazioni, ma molte precisazioni sono nuove, in particolare la distinzione antica ripresa da un noto libro di Ilya Prigogine – Dall’essere al divenire.(1) Questa merita grande attenzione da parte di chi, come i docenti di scienze, finisce per trovarsi prima o poi di fronte ai risvolti filosofici della scienza.



Che vuol dire «cosa»

Può sembrare strano, ma delle tre parole da esaminare la più difficile è quella più familiare a tutti.
Nel dizionario che Niccolò Tommaseo lasciò incompiuto nel 1874 è detto che «cosa» è «nome generalissimo di ogni oggetto e comprende ogni sorta d’enti e reali e ideali, e le loro relazioni». Noi non possiamo far molto di più che lasciare tal quale questa definizione, anche se è in certa misura circolare, ma dobbiamo prendere atto che la stessa esistenza di una parola così generale annuncia una caratteristica essenziale del nostro conoscere, il procedere per proposizioni del tipo «X verbo Y» – per esempio «la pietra è dura», «la pietra è sul davanzale», «la pietra rompe un vetro». Il nostro pensiero e la nostra conoscenza si fondano, insomma, sui nomi delle cose.
La ragione di ciò è che per renderci conto del mondo che ci circonda scomponiamo le sensazioni che riceviamo dal mondo esterno in cose che stanno in relazione tra loro.
[Immagine a sinistra: Ilya Prigogine (1917-2003)]
È per questo che il trattatello Sulle categorie del «Maestro di color che sanno» comincia con la frase: «Quando due cose hanno in comune solo il nome, ma la definizione di ciò che sono è diversa, si chiamano “omonime”», e quello Sull’interpretazione dice: «per prima cosa dobbiamo stabilire che cos’è un nome e che cos’è un verbo». Quest’ultima affermazione sottolinea quel che abbiamo già detto implicitamente, e cioè che alla generalità del termine «cosa» possiamo imporre una restrizione: che i verbi, pur essendo in certo modo anch’essi delle cose, indicano aspetti della realtà che non sono cose. Per esempio, il vedere in quanto forma nominale di un verbo è una cosa, ma non lo è «vedo».
Poiché le cose a cui diamo un nome hanno proprietà che le caratterizzano in modo più o meno permanente – per esempio Tizio può essere seduto o in piedi, pallido o rubizzo, ma ha sempre delle caratteristiche per cui io dico che è un uomo – alle cose dobbiamo attribuire anche un’«essenza», qualcosa che le fa corrispondere al nome.
Al nome di mela, per esempio, possono corrispondere sia una mela annurca sia una mela renetta, ma non una banana. Sembrerebbe che il solo fatto di poter dire «questa è una mela e non un altro frutto» o altre cose del genere bastasse a dimostrare che una mela esiste in quanto elemento della realtà con una sua identità. Invece, fino all’avvento della biologia organismica, pensatori come Popper, che si qualificava «antiessenzialista», tentarono di conciliare l’evidente fedeltà della scienza alla realtà con il rifiuto dell’idea di essenza, in base alla considerazione che la fisica descrive tutta la realtà sulla modalità del «come avviene, come si realizza».



Sostenevano, per esempio, che le proprietà di un atomo si possono spiegare in base a come si muovono i suoi elettroni e ne concludevano che un atomo non è altro che l’insieme dei moti dei suoi elettroni, senza dar troppo peso al fatto che in un atomo gli elettroni si comportano in un certo modo perché c’è un nucleo e c’è un numero ben preciso di altri elettroni; e comunque non si dovrebbero trattare almeno gli elettroni come «cose»?
Per quanto riguarda le «cose» fermiamoci qui, anche perché volendo continuare finiremmo per tornare a parlare dei sistemi, a cui abbiamo già dedicato due articoletti di questa serie. Passiamo dunque alla domanda: cosa sono gli eventi e processi, il «tutto scorre» di Eraclito, a cui il nostro antiessenzialista vorrebbe ridurre la realtà? Sono gli elementi in termini dei quali la scienza descrive il divenire dell’universo.

 

 

Il divenire

 

La scienza studia questo divenire – cioè l’ens ut mobile di Aristotele e di San Tommaso, l’ente in quanto cambia – cercando di stabilire le regole che ne governano i cambiamenti, a partire dalle più generali.
La stessa affermazione che tutto finisce o muore, come cantava Salvatore Di Giacomo, è una regola guida che si aggiunge al «tutto scorre» di Eraclito, perché avverte che nel cambiamento ci sono eventi particolari d’inizio e di fine di processi o insiemi di processi, e quegli eventi ci parlano un linguaggio che non tocca solo l’intelletto ma i nostri sentimenti: tutto fernisce o more,/ e ‘na chitarra è ammore/ che una corda nun tene; anche la malinconica riflessione di un innamorato su un amore finito è l’incontro con un nascere e un morire che hanno per noi un significato universale ed eterno. Il mistero del divenire è il mistero della nostra stessa esistenza, come ci ricordano ogni anno il Natale e il Venerdì santo.
[Immagine a destra: Eraclito (520 a.C. – 460 a.C.)]
D’altra parte, non perché il sentimento che accompagna questo mistero ci fa sentire più uomini, più veri, che non le fredde analisi della scienza, possiamo rinunciare a quest’ultima. La ragione vuole la sua parte, e fortunato è l’uomo che sa combinare la ragione col sentimento, la curiosità scientifica con la ricerca della sapienza.
Detto questo, cerchiamo di capire cosa sono i processi, i fili di cui è fatto il tessuto del divenire del mondo, di cui sono fatte le cose – anche se rimane semplicista chi dice che le cose non sono altro che i processi che rendono possibili le loro proprietà. Parlando di trasformazioni li abbiamo identificati senza troppo preoccuparci con le trasformazioni; ma è proprio rigorosa questa identificazione?
Per orientarci vediamo anzitutto un esempio concreto su grande scala. In molti luoghi della Terra si trovano giacimenti di limonite, un ossido idrato di ferro senza forma cristallina distinta, che ha lucentezza discretamente viva e una tinta bruna molto scura almeno nelle varietà compatte; la sua polvere è gialla. Quando ci si chiede come e in virtù di quali eventi geologici si sia formata una massa di ossido idrato di ferro proprio in quel punto della Terra, si trovano molte affascinanti ipotesi. Leggiamo fra l’altro che presumibilmente, nei primissimi tempi dopo che il nostro pianeta si era raffreddato, era presente molto ferro superficiale, e per un certo periodo vennero a coesistere azoto, idrogeno, ossido di carbonio e anidride carbonica.
Gradualmente, secondo queste congetture peraltro molto plausibili, si formarono nei fondali marini le prime forme di vita, che erano anaerobiche, ma arrivarono a utilizzare la luce solare mediante la fotosintesi, ricavando il carbonio dai suoi ossidi con produzione di ossigeno. Questo saturò le acque e poi si diffuse nell’atmosfera. Il ferro e minerali come la pirite presenti in superficie si ossidarono, contribuendo a eliminare l’ossigeno dall’atmosfera e trasformandosi in ossidi come la limonite; solo dopo che tutti i materiali facilmente ossidabili si erano ossidati l’atmosfera cominciò ad arricchirsi di ossigeno e iniziò la straordinaria proliferazione di vita terrestre rivelata dai fossili del Cambriano.
La formazione di giacimenti di ossidi di ferro appena descritta, reale o presunta che sia, è un esempio a livello planetario di quegli aspetti del divenire a cui diamo il nome di «processi». Lo stesso nome conviene a fenomeni molto più semplici e osservati continuamente, come la formazione della ruggine, che è del tutto analoga, o come la combustione della cera di una candela e altri. La fisica, la chimica e la biologia molecolare, poi, trattano continuamente processi all’altro estremo della scala delle grandezze, al livello submicroscopico. È un processo fisico la formazione di una carica negativa su un’armatura di un condensatore per accumulo di elettroni, ed è un processo chimico-fisico (perché realizzato da trasformazioni chimiche) la carica di una batteria.
A questo punto saremmo tentati di dire che abbiamo spiegato cos’è un processo. Questo però sarebbe fare come quelli che, avendo un bambino chiesto cos’è un frutto, rispondono che «è una cosa come una mela o come un’arancia». Meglio di nessuna spiegazione, è chiaro, ma è dando risposte approssimative del genere che si tradisce il dovere di istruire i bambini: mille esempi non fanno una definizione.

Dobbiamo dunque passare dagli esempi a domandarci che cos’è un processo in generale, beninteso nell’ambito della scienza.
La parola viene dalla parola latina procedere che vuol dire andare avanti, avanzarsi. Pensando a questo sembra ragionevole dire che nell’ambito della scienza si tratta di una successione temporale di eventi che porta da uno stato di cose a un altro stato di cose. Il moto stesso dunque è un processo, per quanto elementare, nel senso che è una successione di posizioni diverse di un corpo in istanti diversi. Ovviamente, se fosse solo per il moto non ci sarebbe bisogno di una parola di respiro così ampio; ma partendo di qui possiamo ricavare un’idealizzazione estrema di riferimento, dello stesso genere di quella che si fa in geometria trattando una corda come un linea infinitamente sottile.
Cominciamo col dire che, a questo livello di astrazione e considerando per ora solo il moto, un evento è il fatto che un certo corpo puntiforme occupa o lascia un certo punto dello spazio, cambia cioè non solo la sua coordinata temporale (cosa inevitabile, perché nulla resta fermo nel tempo), ma anche la sua posizione. Il passaggio di un aereo, considerato istantaneo e localizzato in un singolo punto dello spazio, è un esempio di evento in questo senso. Ma non è finita qui.
Senza uscire dall’astrazione geometrica, supponiamo che il corpo puntiforme in considerazione possa cambiare colore: a un certo istante è nero, nell’istante successivo comincia a prendere il colore rosso. Anche questo è un evento, che si potrebbe descrivere allo stesso modo del movimento introducendo una quinta coordinata, il colore. Più in generale, immaginando che il nostro corpo puntiforme sia catterizzato da n proprietà, inclusa la posizione, possiamo dire che un evento è un cambiamento, sia pure infinitesimo, di una o più delle n proprietà da un istante all’altro.
Per procedere tranquilli nella nostra analisi, stabiliamo ora che anche nel caso di un sistema esteso faremo riferimento al modello «puntiforme » così definito, con riserva di tener conto caso per caso dell’estensione, della struttura e delle proprietà non misurabili del sistema stesso. Dobbiamo però tener presente ancora un aspetto del divenire delle cose. Le cose che sussistono di per sé sono sistemi fisici, salvo che non si tratti di vere e proprie particelle elementari come (fino a prova contraria) è l’elettrone.
Come abbiamo già visto, un sistema fisico può assumere più stati, caratterizzati da proprietà almeno in parte diverse. Alcuni di questi stati possono essere stazionari, cioè avere proprietà che rimangono le stesse almeno per un certo tempo. Esempi ne sono lo stato fondamentale e gli stati eccitati dell’atomo, gli stati solido e liquido dell’acqua, le miscele acido base a una data temperatura, eccetera.
Questo dobbiamo tenerlo presente anche se continuiamo a parlare di un sistema come se fosse un punto materiale. Oltre agli stati stazionari vi sono stati «dipendenti dal tempo», cioè stati le cui proprietà cambiano nel tempo secondo una legge ben precisa, come le posizioni nel moto rettilineo uniforme e in altri moti retti da leggi precise, pressioni e volumi istantanei durante una trasformazione termodinamica, le concentrazioni in una reazione chimica o addirittura certe alterazioni di un essere vivente per la difesa contro un agente patogeno. Gli stati dipendenti dal tempo vengono assunti in generale per effetto di perturbazioni esterne (nel caso più semplice un urto), ma talora anche per leggi interne del sistema dato. Dopo un certo tempo, sia per leggi interne o più frequentemente per ulteriori azioni esterne un sistema può ritrovarsi in uno stato stazionario.
Abbiamo perciò almeno due tipi diversi di eventi: quelli «sistema in un certo stato stazionario in un certo istante», nei quali resta costante almeno una proprietà del sistema, e quelli in cui tutte le proprietà caratteristiche cambiano nel tempo. Immaginiamo ora di rappresentare in un diagramma la variazione nel tempo di una proprietà misurabile X di un dato sistema in un processo che consiste nella trasformazione che fa passare il sistema da uno stato che è stazionario almeno per quanto riguarda la proprietà X a un altro stato dello stesso tipo. Se il diagramma rappresenta X in funzione del tempo, lo stato iniziale verrà rappresentato da un segmento orizzontale.
Al momento in cui interviene la perturbazione che genera uno stato non stazionario, la stessa proprietà si rappresenterà con un segmento della curva appropriata: per esempio, se si tratta della velocità e il punto rappresentativo del sistema passa da uno stato di moto uniforme a uno stato di moto uniformemente accelerato per poi riprendere una velocità costante, X sarà la posizione e la transizione verrà rappresentata da un segmento di retta con pendenza uguale alla velocità. X potrebbe essere invece il contenuto di acqua del pezzo di argilla con cui si foggia un vaso, e si manterrà costante durante la lavorazione, poi diminuirà nel processo di cottura e infine ridiventerà costante quando il vaso è pronto. Ancora: un gas in un cilindro con un pistone si potrà riscaldare a volume (X) costante, poi si potrà lasciar espandere così che prima il volume aumenterà e poi rimarrà costante.

Un singolo segmento della linea a zig-zag che rappresenta queste sequenze di eventi è la generalizzazione di un moto che segue un’unica legge e si può chiamare «processo elementare».
Tale è, per esempio, anche il moto di una molecola di un gas tra un urto e l’altro, per quanto strano ciò possa suonare; tant’è vero che uno dei padri della fisica statistica (Paul Langevin) partì da questo per costruire la teoria dei processi stocastici. La molecola infatti passa da uno stato di moto rettilineo uniforme (stato stazionario rispetto alla velocità, che è costante) a uno stato che cambia quasi istantaneamente (durante l’urto) e poi a un altro stato stazionario.
[Immagine a sinistra: Paul Langevin (1872-1946)]
Poiché i processi elementari o sono semplicemente il moto rettilineo uniforme o sono trasformazioni nel senso che abbiamo già discusso, quando si parla di processi si pensa piuttosto a una successione di processi elementari a catena, com’è appunto il moto a zig-zag di una molecola di un gas. Tenendo conto di questo si può finalmente definire un processo come una successione di stadi o trasformazioni che cominciano e finiscono in eventi particolarmente significativi, come può essere l’urto di due molecole in un gas. In molti casi, nel diagramma che rappresenta il processo non occorre precisare la durata né degli stati stazionari né delle trasformazioni, e allora i diagrammi che rappresentano un processo possono contenere due o tre variabili.
Chi ha studiato il ciclo di Carnot ricorderà che lo si può rappresentare con un diagramma temperatura-pressione. Il ciclo di Carnot, in effetti, non è solo un ciclo in senso generale, è un processo ciclico.
Il lettore potrà esaminare gli esempi dati sopra e tanti altri esempi per convincersi che in generale un processo è una sequenza di eventi che costituisce una catena di trasformazioni che portano da uno stato iniziale a uno stato finale, il «risultato». Gli eventi essenziali sono quelli con cui cominciano e finiscono le trasformazioni e sono caratterizzati da condizioni speciali, che si chiamano in molti casi «punti critici».

 

Rappresentazioni idealizzate di due processi. Nella figura di sinistra X è la velocità, t il tempo. A, B, C, D sono quattro stati. Il primo e l’ultimo segmento rappresentano degli stati di moto rettilineo uniforme; A e B, C e D sono coppie di stati istantanei identici almeno per quel che riguarda la velocità, e quindi si può parlare per ciascuna coppia di un unico stato stazionario.
Il segmento inclinato indica uno stato che cambia nel tempo secondo una certa legge, in questo caso un moto uniformemente accelerato.
Nel diagramma di destra è mostrato un semplice processo termodinamico ciclico: sono riportati in ascisse la la pressione P di un gas e in ordinate il suo volume V. In una prima fase si ha una trasformazione isocora (a volume costante) dallo stato A allo stato B; in una seconda si ha una trasformazione isoterma da B a C; in una terza una trasformazione isobara da C ad A. Lo stato A-B è stazionario per quanto riguarda il volume, lo stato B-C è stazionario per quanto riguarda la pressione, la coppia C-B invece lo è per definizione nei confronti della temperatura.

 

 

 

Un intreccio di processi

 

Tenendo in mente il riferimento a un diagramma a zig-zag possiamo ora prendere di nuovo in esame l’affermazione che le cose non sono altro che eventi e processi. Siamo ancora di fronte alla prospettiva della complessità, già presa in esame a proposito di sistemi, ma ora guardata da una finestra che si apre su tutta la realtà fisica, sull’universo.
Quell’affermazione è semplicistica, ma si può capire da dove deriva soprattutto pensando agli organismi. Pensiamo per esempio a un batterio in una soluzione nutriente. Esso sopravvive assorbendo continuamente sostanze chimiche molto semplici e trasformandole, ed eliminando altre sostanze prodotte dal metabolismo, come l’urea, l’anidride carbonica, eccetera.
[Immagine a destra: San Tommaso d’Aquino (1221-1274)]
All’interno della cellula si svolgono anche altri processi chimici, come quelli legati alle reazioni della membrana cellulare a perturbazioni esterne. Come sappiamo dalla biochimica della cellula ci può essere al più qualche supporto inorganico che rimane invariato almeno per un certo tempo. Insomma, il fatto stesso che una cellula nasce e muore indica che c’è un evento iniziale a partire dal quale si può parlare di cellula e un evento finale in cui i materiali e la struttura rimangono ma la cellula non è più tale. Nell’intervallo di tempo fra i due eventi principali praticamente tutti gli atomi della cellula cambiano e avvengono continuamente molteplici processi incrociati che sono il vivere stesso della cellula. Ma i processi iniziano e finiscono in breve tempo, mentre la cellula rimane una cellula, quella cellula.
Forse basta questo esempio, insieme a quanto abbiamo già detto sui sistemi, per far capire che le cose possono ben essere insiemi di processi che si combinano e si susseguono, ma questi danno luogo a un risultato che caratterizza l’insieme come proprietà di uno stato stazionario.
Questo risultato è ciò che chiamiamo «una certa cosa». Su questa argomentazione, ammessa ormai dalla maggior parte dei biologi, si fondano il punto di vista modernissimo della complessità e la concezione dell’uomo di san Tommaso.

 

 

 

Giuseppe Del Re
(Ordinario di Chimica Teorica presso l’Università “Federico II” di Napoli)

 

 

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Note

  1. Ilya Prigogine, From Being to Becoming, (San Francisco, Ca.: Freeman 1980), trad. it. Dall’essere al divenire…

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 26 di Emmeciquadro


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