Un anniversario, cent’anni dall’assegnazione del premio Nobel, un’occasione da non perdere per conoscere meglio uno scienziato notissimo di nome, ma in realtà poco noto – anche tra gli addetti ai lavori – nella ricchezza e fecondità di una vita ricca di numerosissime scoperte. Una storia in cui i passi della scienza si intrecciano con i fatti della vita; una lettura che può essere utile nelle classi del primo biennio della scuola superiore in cui si arriva a trattare nei dettagli la struttura delle cellule per scoprire quante informazioni si sono raccolte anche prima dell’avvento dello studio molecolare.



Camillo Golgi nacque a Còrteno, tra Edolo e l’Aprica, nel 1843, e morì a Pavia nel 1926; qui fu professore, dapprima di istologia e quindi di Anatomia patologica, e fu anche Rettore dell’Università. Nel 1906, insieme a Santiago Ramon y Cajal, ricevette il premio Nobel per la Medicina per i suoi studi sul sistema nervoso.
Queste sono le uniche notizie biografiche che darò, poiché la vita di Camillo Golgi è già stata analizzata a fondo in tanti scritti e biografie, ed è quindi inutile ripetere cose che si trovano con facilità ovunque. Cercherò invece di esprimere alcuni pensieri che questo grande studioso ha fatto sorgere nella mia mente, procedendo un po’ a ruota libera, come è mio costume.
Oggi siamo abituati a riconoscere i grandi interpreti del pensiero umano riferendoci agli elenchi di coloro che hanno ricevuto il premio Nobel; ma questo ci riporta indietro solo fino al 1900. Per ciò che avvenne in precedenza, dobbiamo invece fare riferimento ad altri parametri.
Il lungo cammino che ha portato l’uomo a impadronirsi materialmente e concettualmente del mondo naturale in cui opera si è realizzato attraverso un numero abbastanza limitato di rivoluzioni paradigmatiche, legate al pensiero di pochi grandi filosofi o scienziati (in un primo tempo i due termini coincidevano).
Tutti coloro che hanno dato inizio a una svolta paradigmatica hanno dovuto affrontare una difficoltà fondamentale, e cioè proporre un nuovo sistema concettuale in presenza di un altro sistema già esistente, accettato dalla maggioranza delle persone e venerato dalla tradizione.
L’uomo riuscì a svincolarsi dalla visione magica del mondo per opera di alcuni grandi pensatori, come Talete, Eraclito, Pitagora, Democrito, ma soprattutto Aristotele, che per primo riconobbe l’importanza dell’osservazione sperimentale per la conoscenza scientifica.
Egli fornì un modello metodologico per l’apprendimento del mondo naturale, e tale modello si può porre sul gradino più elevato in campo scientifico. Esso consiste nella capacità di porre domande opportune, in modo tale da poter ricercare i dati per trovare delle risposte.
Per lungo tempo, tuttavia, il tradimento del pensiero di Aristotele, in larga misura confuso con quello di Platone, determinò una sorta di arresto nel progresso scientifico, soprattutto biologico, ma anche fisico e astronomico. Ernst Mayr arrivò a scrivere in proposito «Senza mettere in dubbio l’importanza di Platone nella storia della filosofia, devo dire che per la biologia egli fu un vero disastro. Le sue idee ebbero un’influenza negativa sulla biologia per molti secoli. La nascita del moderno pensiero biologico è, almeno in parte, l’emancipazione dal pensiero Platonico.»(1)
Per assistere a una nuova rivoluzione scientifica paradigmatica bisogna arrivare fino alla metà del Cinquecento, con la pubblicazione di De Revolutionibus Orbium Coelestium di Niccolò Copernico (1473-1543) che, ribellandosi alle idee di Ipparco (che visse circa 150 anni prima di Cristo) e quindi dell’egiziano Tolomeo Claudio (II secolo dopo Cristo), avanzò l’ipotesi che non fosse il Sole a girare attorno alla Terra, ma che la Terra e gli altri pianeti girassero attorno al Sole. Pensare una cosa simile ai suoi tempi era estremamente pericoloso poiché la Chiesa, con la scienza ufficiale dell’epoca, sosteneva la concezione tolemaica di un universo geocentrico.
In campo biologico numerosi grandi scienziati, pur non promuovendo rivoluzioni paradigmatiche, accelerarono sempre più il progredire delle conoscenze: tra essi dobbiamo ricordare senz’altro Vesalio e, sulla sua scia, Fabrizio di Acquapendente (1533-1619), William Harvey (1578-1657), Marcello Malpighi (1628-1694) e Robert Hooke (1635-1703) che, con Antony van Leeuwenhoek (1632-1723) e Federico Cesi (1585- 1630), svelò il mondo delle cose piccolissime. [Immagine a sinistra: Andrea Vesalio (1514-1564)]
A partire da questo momento il progresso delle scienze divenne un fiume in piena, e un decisivo balzo in avanti si ebbe verso la metà del secolo XIX con Charles Darwin e L’origine delle specie; la pubblicazione di questo libro segna la nuova rivoluzione paradigmatica che domina ancora oggi l’intero pensiero biologico.
Più o meno nello stesso periodo Gregorio Mendel fece una scoperta che avrebbe potuto anticipare le conoscenze dell’ereditarietà, e quindi della genetica, di circa cinquant’anni, ma Mendel non fu compreso.



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(Camillo Golgi nel suo laboratorio all’Università di Pavia)

Giulio Lanzavecchia
(Professore emerito presso l’Università dell’Insubria. Già Professore di Istologia ed Embriologia, e quindi di Zoologia presso l’Università di Milano; quindi professore di Anatomia Comparata presso l’Università dell’Insubria)

Note

  1. Ernst Mayr, The growth of biological thought, Harvard Univ. Press, Cambridge 1982, p. 87.

© Pubblicato sul n° 27 di Emmeciquadro

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