Che cos’è la biodiversità? In quale area scientifica si collocano gli studi della biodiversità? Perché salvaguardare la biodiversità fa bene al pianeta?
A domande di questo tipo, che vengono alla mente leggendo i quotidiani o ascoltando i notiziari televisivi occorre rispondere fondandosi su dati concreti e utilizzando un approccio rigorosamente scientifico.
Così, in questo contributo ricco di esempi, l’autore conduce a riscoprire l’importanza della sistematica, sia nella storia della biologia che nella più recente ricerca.



A partire dall’ultimo decennio dello scorso secolo, numerose voci si sono levate mettendo in allarme il mondo, non solo scientifico, sulla necessità di difendere la biodiversità.
Questo termine si riferisce a tutti gli organismi viventi che popolano una data area, un ecosistema o l’intera biosfera. Di quanto questa esigenza sia uscita al di fuori della ristretta cerchia degli specialisti, teorici o di campo, è dimostrato dalla copertina di National Geographic del febbraio 1999 che titolava Biodiversity, the fragile web (Biodiversità, la vita in gioco nell’edizione italiana).
Questo fascicolo faceva eco a un articolo pubblicato su Scientific American dove Robert May [May, 1992] dichiarava: «Alla specie umana importa capire la diversità degli organismi viventi per le stesse ragioni che ci spingono a cercare di capire le origini e il destino dell’universo […]. A differenza di questi altri interrogativi lo studio e la conservazione della diversità hanno limiti temporali molto stretti.»
D’altra parte, mentre il problema della costante erosione della biodiversità [Wilson, 1989; 1993] sembra drammaticamente inquadrato dall’opinione pubblica mondiale, estremamente più sfocati sono i contorni dello specialista in grado di definire, in termini scientifici, le reali dimensioni della questione.
Chi è lo studioso della biodiversità? In un’epoca nella quale i problemi biologici sono affrontati da nuove figure di ricercatori – architetti ambientali, biologi molecolari, ecologi dei sistemi – bisogna lealmente riconoscere che i principali conoscitori del problema sono i tassonomi eredi di una tradizione bicentenaria nello studio e nella classificazione della diversità biologica [Boero, 1996].
La biodiversità ha una storia lunga e complessa. La testimonianza dei fossili indica una continua alternanza di proliferazioni ed estinzioni che hanno seguito la cosiddetta esplosione cambriana: il fenomeno che ha condotto, circa 550 milioni di anni or sono, al differenziamento di tutti i phyla di animali così come oggi noi li conosciamo (AA.VV., 1992).
Le cause di queste catastrofiche estinzioni, delle quali la più celebre, benché probabilmente non la più drammatica, è quella che al termine del Cretaceo annientò i dinosauri, sono da imputarsi a cambiamenti climatici oltre che a competizione biologica.



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Giorgio Bavestrello
(Professore Ordinario presso il Dipartimento di Scienze del Mare dell’Università Politecnica delle Marche, ad Ancona; docente di Biologia animale ed Ambientale ed Etologia per la laurea triennale in Scienze Biologiche e Biodiversità Animale per il corso di Biodiversità della laurea specialistica in Biologia Marina)

© Pubblicato sul n° 27 di Emmeciquadro

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