Significato e Senso nel Lessico Scientifico
Due termini, usati e abusati nel linguaggio ordinario, hanno un contenuto concettuale pregnante, spesso ignorato o comunque disatteso, per una sempre più diffusa approssimazione linguistica nello scritto e nel parlato. L’autore riprende la riflessione sulla «complessità» mettendo a tema questi due concetti primari. Il primo viene presentato in un contesto filosofico come attribuzione di proprietà specifiche a porzioni di materia (intesa come tutto ciò che può in potenza trasformarsi in altro). Il secondo è visto come una serie di nessi e interazioni tra forme diverse, in una visione unitaria e globale, che trascende i limiti di un approccio esclusivamente scientifico.
Le immagini che corredano questo articolo sono calcografie di Giuseppe Maria Mitelli (Bologna 1675). Esse sono conservate a Roma, nella Biblioteca Casanatense, R. I 15 CCC/50-77, Le uentiquattr’hore/ dell’humana felicità. |
Nel quadro di un discorso sulla complessità conviene riprendere i due concetti primari che essa mette in gioco, anche se li abbiamo già toccati nelle note precedenti, in particolare a proposito dei sistemi. Si tratta dell’informazione (senza plurale) e della complessità stessa.
Informazione
Nel nostro parlare ordinario, ‘informazione’ vuol dire all’incirca ‘notizia’. Nel senso scientifico-tecnico, invece, ha il senso etimologico di ‘azione di impartire una certa forma’ oppure ‘fatto di avere una forma’. A sua volta, però, il concetto di forma non è solo quello geometrico ben noto; giacché designa le caratteristiche date a un materiale quando con esso si fa un certo oggetto. Prendiamo un pezzo di una certa plastica e separiamone due pezzetti dello stesso peso. Essi ovviamente hanno ciascuno una certa forma, ma una forma che non ci interessa, per noi è come se non l’avessero, se non altro perché intendiamo cambiarla.
Supponiamo ora di poterli plasmare in modo da farne un bottone e una pallina. I due oggetti ottenuti differiscono ancora fra loro per la forma, ma adesso la forma è ciò che fa di uno un bottone e dell’altro una pallina.
[A sinistra: Pittore e scultore, Tav. 14 – p.(66)]
Avremmo potuto anche colorare i due pezzetti di plastica in modo diverso, e avremmo ottenuto per esempio un bottone blu e una pallina verde. Le caratteristiche che fanno dell’originario pezzetto di plastica appunto un bottone blu o una pallina verde sono ciò che la filosofia chiama ‘forma’: e diciamo che la macchina o l’artigiano che hanno fatto quegli oggetti hanno imposto forme diverse ai due pezzetti equivalenti dello stesso materiale. Un esempio matematico curioso della stessa distinzione si ha pensando a un sacchetto in cui ci sono sette palline numerate da 1 a 7. Estraiamole a caso tutte e sette e disponiamole in fila nell’ordine in cui escono. Come tutti sanno, otterremo quella che si chiama una «permutazione » delle sette cifre, per esempio il numero 1734265. Poiché le permutazioni diverse sono 5040, abbiamo così uno fra 5040 numeri diversi di sette cifre. Nel sacchetto questi numeri esistevano «in potenza », ma erano «indeterminati» quanto all’ordine delle cifre.
L’idea che anche la costruzione di una particolare permutazione di N simboli (le sette cifre dell’esempio) è ‘informazione’ della materia costituita appunto dagli N simboli è una conquista recente, che ha consentito di enunciare una teoria generale dell’informazione. Si noti che abbiamo usato qui la parola ‘materia’ per indicare ciò che corrisponde al materiale del primo esempio. In generale, in filosofia, la plastica del primo esempio e le cifre del secondo esempio si chiamano appunto ‘materia’.(1)
Detto questo, stabiliamo dunque che la parola ‘informazione’ ha due accezioni: affermazioni riguardo a fatti o persone o cose trasmessi e ricevuti come contributo alla conoscenza; insieme di caratteristiche che fanno di una porzione di un materiale (o ‘materia’) un ben preciso oggetto. L’informazione nel senso corrente, cioè nel primo caso, costituisce chiaramente un messaggio; meno evidente ma non meno importante è che anche l’informazione nel secondo caso è equivalente a un messaggio che, in ultima analisi, è la descrizione di ciò che caratterizza un oggetto rispetto ad altri oggetti.
Fermiamoci appunto su quest’ultimo caso. In ambito scientifico si può riassumere quanto abbiamo detto più su dicendo che disponiamo di un sistema indeterminato che è soltanto un insieme di più oggetti che occupano una certa regione dello spazio, e di uno o più sistemi determinati, cioè con proprietà ben precise e dunque «informati » in un certo modo, intendendo con ciò che gli oggetti componenti impartiscono loro proprietà di insieme che derivano dalla loro disposizione o, addirittura, dalla loro «organizzazione», cioè dalla loro attività coordinata e finalizzata.
Esempio tipico è un organismo vivente, in cui la disposizione e soprattutto la cooperazione degli organi determinano proprietà come la stessa vita.(2)
Dovrebbe essere chiaro che il sistema indeterminato, se è indeterminato, non ha una realtà completa, in quanto ciò che noi trattiamo come reale è necessariamente un oggetto di cui nessuna proprietà è lasciata nel vago. Potrebbe essere un mucchio di oggetti, ma anche in questo caso differirebbe da altri mucchi equivalenti o da disposizioni più complesse delle parti. Si può dire però che il sistema indeterminato è reale se si prescinde dal particolare «stato» in cui di fatto si presenta. Per esempio, un sistema indeterminato di sei atomi di carbonio e sei atomi di idrogeno si può presentare come molecola di benzene o come uno dei 216 isomeri del benzene.(3)
Tra i giocattoli, un insieme indeterminato di 50 mattoncini si può presentare come gruppo disordinato o come una delle tante costruzioni che un bambino può fare con i mattoncini dati.
[A destra: Ingegniero e aritmetico, Tav. 17 – p.(69)]
Ogni stato di un sistema generico si può descrivere con un messaggio, e in linea di principio tale messaggio si può scegliere in modo che sia il più essenziale possibile. Questa considerazione consente di capire come la parola ‘informazione’ sia passata dal significato di ‘impartire una forma’, in senso aristotelico, a quello di ‘comunicare un messaggio’.
Cerchiamo di insistere su questo punto ricominciando dall’esempio familiare a molti, se non altro per merito di Aristotele. Come abbiamo fatto per la plastica, pensiamo a due pezzi di terracotta. Essi possono aver richiesto la stessa quantità di argilla, lo stesso lavoro, lo stesso tempo di cottura, e tuttavia essere totalmente diversi perché uno è un vaso, cioè ha una forma atta a contenere un liquido, l’altro è, diciamo, un mattone. Confrontiamo ora due dispositivi automatici che differiscono solo per la disposizione di alcune parti: per esempio, due radio che differiscono solo per un particolare collegamento interno, che in una di esse è sbagliato. Una delle radio funzionerà, e l’altra no, oppure funzioneranno in modo diverso. Ora, la fabbricazione di ambedue le radio ha richiesto lo stesso lavoro, gli stessi materiali e lo stesso tempo. Perciò ci deve essere qualche altra cosa che è stata data in modo diverso ai due dispositivi, e sappiamo anche cos’è: è la corrispondenza a un certo progetto, la capacità di svolgere una certa funzione. Pensando all’esempio dei pezzi di terracotta, si vede che tutto è accaduto come se solo a una delle due radio fosse stata data la ‘forma′ giusta.
Si capisce così perché, fin dai tempi di Aristotele, quando si ha a che fare con oggetti capaci di svolgere funzioni ed eseguire operazioni ben definite, si può dire che essi sono stati «informati» nel modo opportuno, oppure che hanno ricevuto la necessaria quantità e qualità d’informazione.
Si noti che la differenza tra due oggetti che, caeteris paribus, hanno un’informazione diversa sta, come si vede già dall’esempio dei pezzi di terracotta, nella mutua relazione delle parti dell’oggetto considerato, relazione che può riguardare la modalità di cooperazione o anche la semplice connessione fisica.
A proposito della sua relazione con un messaggio, negli ultimi decenni del Novecento il concetto di informazione è stato ridefinito addirittura in modo da renderlo misurabile, distinguendolo peraltro da quelli molto vicini di comunicazione e trasmissione. È molto divertente il fatto che in questo modo è iniziato il ritorno, non ancora completato, al concetto di informazione così come è stato trasmesso alla nostra civiltà dalla filosofia scolastica.
Ciò è avvenuto soprattutto per merito (involontario) di ingegneri specialisti delle trasmissioni telegrafiche e telefoniche, che crearono la disciplina detta ‘teoria dell’informazione′. Il punto di vista di questa disciplina è puramente quantitativo, e lo si potrebbe formulare così. Un messaggio che può significare qualunque cosa è un insieme di segnali puramente casuali; tecnicamente si dice un ‘rumore bianco′, perché l’equivalente come suono è un soffio continuo, magari con qualche variazione casuale di volume. Se diciamo che la quantità (contenuto) d’informazione che porta un tale messaggio è zero, e diciamo che invece vale 100 il contenuto d’informazione di un messaggio interamente fedele a ciò che voleva comunicare chi lo ha inviato, potremo cercare una misura della fedeltà di un messaggio reale, e così valutare la qualità di una linea di trasmissione, per esempio il collegamento fra due telefonini. Questo è un problema tutt’altro che banale, perché le apparecchiature reali non sono ideali, anzi sovrappongono al messaggio trasmesso dei disturbi e introducono errori e ambiguità di traduzione e di copia.
Si noti però la differenza che c’è fra il contenuto d’informazione di un messaggio nel senso tecnico e lo stesso contenuto dal punto di vista semantico (del significato). Se si riceve un messaggio fatto di parole senza senso, ma che riproduce con esattezza il messaggio inviato da uno squilibrato, il suo contenuto d’informazione è 100 dal punto di vista tecnico, ma è zero quanto a notizie significative che può fornire.
La prospettiva della complessità
Da quello che abbiamo detto si dovrebbe capire che l’informazione residente in un ente, rispetto alla materia prima che lo costituisce, ossia ciò che ne fa ciò che è (la forma in senso aristotelico-tomista), è costituita da una serie di caratteristiche di cui alcune sono proprie delle parti e altre appartengono all’insieme, giacché dipendono dalla disposizione e dalla interazione delle parti. Sono queste proprietà quelle che conferiscono unità al tutto.
Nel caso semplicissimo di una molecola, per esempio, la massa totale non è che la somma delle masse di nuclei ed elettroni, ma la capacità di reagire con altre molecole dipende dalla struttura chimica, che è una proprietà di insieme.
[A sinistra: Medico, Tav. 18 – p.(70)]
Molto spesso non è neanche necessario far riferimento alle parti quando si parla del tutto. Vi sono poi casi intermedi, come una classe di scolari, che, come sappiamo, ha una sua identità e persino una sua personalità, ma certamente non si può ridurre all’insieme degli scolari: per capirne le proprietà occorre concentrare l’attenzione sul singolo scolaro e sulle sue relazioni con l’insegnante e i compagni. Come si vede, stiamo mettendo le proprietà di un tutto in relazione con quelle delle parti. L’accertamento delle regole e concetti che consentono di spiegare queste relazioni costituisce quel particolare problema che oggi ha preso il nome di «problema» o «prospettiva» della complessità.
Si tratta di una prospettiva nuova perché la consapevolezza che la relazione fra le parti e il tutto costituisce un problema scientifico di prima grandezza si è fatta strada solo da pochi decenni. In realtà il procedimento corrente della spiegazione scientifica è ancora la reductio ad partes, tanto è vero che, persino nel grande problema della teoria della conoscenza, la scuola più potente è quella dei cognitivisti, i quali tentano di ridurre tutti i processi conoscitivi a semplici catene causa-effetto.(4)
Con la reductio, infatti, si tenta di individuare il meglio possibile l’«oggetto» da studiare, decomponendolo in parti suscettibili di studio separato e mettendo in luce l’esistenza di una precisa corrispondenza fra le proprietà del tutto e quelle delle parti. Soprattutto tra i fisici vi è ancora chi spera di poter ripetere questo procedimento ad infinitum sulle parti e sulle parti delle parti, realizzando quello che è stato chiamato il ‘programma batògeno’ della fisica, nel quale l’intero universo è visto come nient’altro che particelle ‘elementari′ variamente aggregate e variamente interagenti.
Questa insistenza sul riduzionismo, che sta sollevando critiche sempre più decise, sta però perdendo terreno soprattutto sotto la pressione dell’ingegneria dei sistemi e della biologia organismica. La ragione del «declino» riduzionista si può ricondurre a tre considerazioni. Anzitutto nei sistemi complessi più significativi, quelle che abbiamo chiamato proprietà sono in gran parte delle attività, e sono d’altra parte il risultato di una cooperazione attiva tra le parti. In secondo luogo, fra i grandi sistemi complessi, occupano un posto di primo piano enti che non sono propriamente oggetto delle scienze della natura, come le istituzioni sociali ed economiche, come la mente umana e come la stessa psiche. In terzo luogo, si può prendere in considerazione la formazione spontanea di sistemi complessi che si inseriscono nel loro ambiente svolgendo una funzione per la quale sono necessari talvolta adattamenti del sistema stesso. Vogliamo fermarci brevemente su questi tre aspetti della complessità.
L’informazione come progetto
È interessante notare che quando si parla di impartire un’informazione a una porzione di materia, l’analogia con la creta e il vaso, che con essa si può realizzare, fa pensare che l’informazione stessa sia costituita da proprietà statiche, come la capacità di contenere un liquido. In realtà, è giusto includere nella forma di un corpo anche le proprietà o capacità di interazione con l’ambiente che un ente potrebbe sviluppare per una sua naturale evoluzione, come accade per un essere vivente.
Infatti, come ricordava Jacques Monod nel suo famoso libro Il caso e la necessità, caratteristica di un vivente è essere dotato di un progetto, di quello cioè che Aristotele aveva chiamato a suo tempo physis e che noi chiamiamo «natura», ossia un programma innato di sviluppo nel tempo. I sistemi complessi più importanti sono dunque sistemi che, lungi dall’essere statici, si trovano fuori di equilibrio, e mantengono la loro identità con un continuo scambio di materia, informazione ed energia con l’ambiente circostante.
[A destra: Dottore versato in tutte le scienze, Tav. 22 – p.(74)]
L’informazione che li caratterizza consiste principalmente in un’attività interna organizzata e nel perseguimento di fini come la riproduzione e la sopravvivenza.
Dalla mente alla società
Per i sistemi complessi del secondo tipo, è senz’altro possibile individuare delle parti che cooperano a dare le proprietà del tutto. Per esempio, nella società, si individuano le famiglie, le comunità, le organizzazioni di servizi e così via, e le parti così specificate hanno ciascuna la sua funzione nel determinare i comportamenti della società nel suo insieme. Così pure, nella psiche umana si possono distinguere almeno una parte razionale e una parte emotiva che, come sappiamo, si influenzano mutuamente nel nostro essere uomini. Quel che si può dire di specifico a proposito dei sistemi complessi di questo tipo è che vi sono dei limiti alla possibilità di studiarli scientificamente, perché i loro comportamenti mancano dei requisiti di misurabilità e riproducibilità dei dati osservativi.
Autopoiesi e origine della vita
Una problematica nella quale la complessità e l’attività dei sistemi complessi hanno fatto molto discutere e sono stati oggetto di estrapolazioni metafisiche più o meno giustificate è associata al termine autopoiesi.(5)
Il problema di fondo è il seguente: si può avere la formazione spontanea, da un insieme disordinato di «oggetti elementari», di una struttura ordinata dotata di ben precise proprietà d’insieme, appunto l’autopoiesi di quella struttura? A prima vista la risposta è decisamente no. A questa risposta negativa si giunge però se si esclude che gli oggetti elementari considerati possano essere animati da una certa tendenza a urtarsi, e che sotto ben precise condizioni gli urti possano dar luogo a ben precise unità costituite da più oggetti elementari, unità che a loro volta possono combinarsi secondo rigorose regole di selezione. Dopo aver pensato a questo tipo di accrescimento selettivo, si riconosce facilmente che l’autopoiesi è effettivamente concepibile.
In linea di principio, si potrebbe ipotizzare addirittura l’autopoiesi di un vivente o di una struttura mentale. Alcuni ne sono convinti, e vorrebbero vedervi una prova che la materia si è costituita in sistemi sempre più complessi senza alcun progetto creatore. L’errore di questa tesi consiste nel trascurare il fatto che l’autopoiesi dipenderebbe comunque dall’esistenza di rigide regole di selezione, per cui il risultato di un processo di strutturazione «spontaneo» sarebbe determinato a priori.
Giuseppe Del Re
(Ordinario di Chimica Teorica presso l’Università “Federico II” di Napoli)
Vai all’articolo in formato PDF
- Più precisamente essi sono una materia seconda, perché hanno già qualche proprietà, come del resto tutti i materiali; materia prima in senso filosofico è invece un materiale ideale privo di qualsiasi proprietà, salvo l’estensione.
- Nel caso di un organismo vivente, il fine è il vivere stesso, nei suoi vari aspetti; si parla però di organizzazione anche per una azienda di servizi, nel qual caso il fine è proprio fornire il servizio.
- A rigor di termini, già ciascuno degli stati fondamentale ed eccitati di una molecola come il benzene è uno stato del sistema indeterminato 6C + 6H.
- Questo modo di vedere fa parte delle dottrine sulla conoscenza dette «cognitiviste ». Grosso modo, si può dire che esse trattano la conoscenza e il pensiero in generale come processi meccanici che vanno studiati in modo analitico. Allo stesso modo di vedere appartiene il costruttivismo. Un punto di vista affine è quello della psicologia strutturalista. Sono tutti approcci alla realtà umana che ne rifiutano la natura complessa.
- Ne abbiamo parlato nel nostro libro La danza del cosmo, Utet, Torino 2006. Si noti che la definizione originale di autopoiesi, che risale al biologo cileno H. Maturana, a prima vista è più limitata di quella che diamo qui in quanto dice che nell’autopoiesi le parti nuove di una struttura (per esempio una cellula) vengono generate da essa. Questo in realtà vuol dire che le nuove parti sono appunto materiale proveniente dall’ambiente selezionato in modo da essere adatto allo sviluppo della struttura che si sta considerando.
© Pubblicato sul n° 28 di Emmeciquadro