In modo sempre più diffuso anche gli utenti «non specializzati» hanno l’occasione di utilizzare strumenti e di compiere operazioni che comportano trasformazione e/o rappresentazione di dati anche complessi in forma digitale.
Scopo di questo contributo è illustrare che cosa si intenda esattamente con l’espressione «rappresentazione digitale» di dati di qualsiasi tipologia. A partire dalla definizione di «segnale» si chiarisce la differenza tra segnali analogici e segnali digitali.
Si esaminano inoltre i principali vantaggi di tale rappresentazione e si muove qualche passo alla scoperta del più potente strumento di trasmissione dei dati digitali: Internet.



Per prima cosa è opportuno definire il concetto di segnale così come è inteso nei vari rami dell’ingegneria dell’informazione.
Si definisce segnale una qualsiasi funzione del tempo (e/o di una o più variabili spaziali) che rappresenta l’andamento di una grandezza fisica: si pensi per esempio alla voce (ampiezza di una vibrazione che varia in funzione del tempo) o a un’immagine in scala di grigi (tonalità che varia in funzione di due variabili spaziali). Per semplicità ci si limita a segnali che sono funzione della sola variabile tempo.
Si dice che un segnale è «analogico» se la funzione che lo rappresenta è definita per un intervallo di numeri reali e assume valori corrispondenti ad un altro intervallo di numeri reali. Dominio e codominio hanno, cioè, la potenza del continuo.
In termini più colloquiali, pensando a un segnale funzione del tempo come la voce, si può semplicemente dire che il segnale è definito per ogni istante di tempo e può assumere qualsiasi valore.



Immagine A: Esempio di segnale vocale: ampiezza della vibrazione prodotta dalla voce (pressione sonora) in funzione del tempo.
Immagine B: Zoom sulla parte centrale del segnale vocale, che corrisponde al sottile riquadro nero in A

Vale la pena di osservare subito che la realtà fisica è analogica (salvo alcune eccezioni).
Un segnale si dice invece «digitale» o numerico se dominio e codominio sono insiemi finiti. Sempre pensando a una funzione del tempo, il segnale è digitale se è definito solo per alcuni istanti di tempo in corrispondenza dei quali può assume solo un numero finito di valori.
A titolo di esempio, ogni testo scritto può essere considerato come un segnale digitale nella misura in cui interessa solo la sequenza di simboli (lettere e punteggiatura) e non la particolare grafia con cui i simboli sono rappresentati.
È possibile trasformare un segnale analogico in un segnale digitale. L’operazione si chiama conversione analogico-digitale (conversione A/D) e consiste in due successivi passi detti «campionamento» e «quantizzazione».



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Carlo Colesanti
(Già assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Elettronica e Informazione del Politecnico di Milano)

© Pubblicato sul n° 30 di Emmeciquadro