Bruno De Finetti
Il «Saper Vedere» in Matematica
Loescher – Milano 1987
Pagine 79 – Fuori catalogo
Matematico di fama mondiale, noto soprattutto come studioso di Calcolo della Probabilità, l’autore ha sempre avuto una spiccata sensibilità per i metodi di insegnamento della matematica. La rivista intende onorare la memoria di questo grande matematico attraverso la rilettura di un testo pubblicato nel 1967, che può essere definito la sintesi della sua visione della didattica della matematica. Ben si inserisce questa rilettura nel dibattito suscitato dal diffuso insuccesso degli studenti nella seconda prova dell’Esame di Stato nel liceo scientifico.
Sin dalle prime pagine la matematica è vista come una disciplina dinamica, non riducibile a un puro elenco di risultati utili.
Il testo si apre con alcuni problemi (due di carattere storico e molto noti) dei quali è presentata la soluzione con osservazioni di carattere geo¬metrico e aritmetico strettamente legate al problema affrontato. Al termine di questo primo paragrafo l’autore si rivolge allo studente dichiarando l’intento del lavoro proposto: «questi tre esempi volevano solamente mostrare, per intanto, come sia possibile, e come riesca istruttivo, giungere a conclusioni interessanti pensando direttamente a problemi concreti, senza impiegare teorie o ricette stereotipate di sapore scolastico. Ciò non vuol dire che tali teorie e procedimenti non servano, bensì che, anche quando occorre usarli, si può giungere molto più oltre, con maggior gusto e minor fatica, se si cerca di vedere ogni singolo problema in modo da sfruttare con criterio ogni particolarità utile. Ed è anzi proprio e soltanto in questo modo che potrete valorizzare gli insegnamenti avuti a scuola, e far sì che la fatica vostra e quella dei vostri insegnanti non vada sprecata.»
La soluzione del problema però non è la conclusione del lavoro: l’autore sollecita lo studente – lettore proponendogli due domande, una di contenuto e l’altra di metodo: «perché vale la conclusione trovata? Perché ho incontrato difficoltà e poi le ho superate?»
Fermarsi a riflettere su un problema, è un’azione che va contro corrente rispetto alla tendenza di molti studenti che quando non vedono immediatamente la soluzione dicono «non sono capace», senza cimentarsi. Ancor più impopolare, nella nostra cultura, è chiedersi il «perché»; questa sembra essere una domanda sconveniente anche per molti adulti per i quali conta solo la ricerca del «come».
L’insegnamento della matematica oggi soffre dell’indebolimento della ragione che caratterizza il nostro tempo e si riduce a vetrina di risultati. Il «problema» invece è una provocazione continua posta all’intelligenza dello studente; non necessariamente successivo alla spiegazione teorica, la può anticipare e aprire a un nuovo campo d’indagine. Soprattutto un buon problema non è solo geometrico o solo aritmetico, ovvero non può essere rigidamente incasellato.
La lezione acquista una dinamica di lavoro se gli studenti sono interpellati e provocati con domande e problemi di cui non è ovvia la risposta.
L’autore, commentando la posizione di rinuncia che molti studenti assumono di fronte alla difficoltà, propone queste considerazioni: «La difficoltà deriva dall’abitudine a pensare che sapere la matematica significhi sapere di colpo per filo e per segno come rispondere o cosa fare, anziché essere capaci di riflettere e cercare e possibilmente trovare il modo di poter dire qualcosa di sensato, poco o molto che sia. Deriva dall’abitudine a pensare che capire la matematica significhi essere in grado di seguire una catena di passaggetti formali controllandone la correttezza e confermando così l’esattezza della conclusione; ma giungere alla conclusione così non significa nulla rispetto al fatto più essenziale che è penetrare il significato della questione e rendersi conto della linea di pen¬siero che permette di afferrarla e ragionarvi sopra.»
Queste considerazioni sono quanto mai attuali se riferite a quanto è successo in particolare per la seconda prova dell’Esame di Stato del 2007. Molti studenti si sono trovati smarriti perché non hanno trovato i quesiti che si aspettavano, altri invece, nella stessa situazione, hanno riconosciuto che uno dei due problemi era guidato, almeno nella prima parte, hanno seguito la traccia e con la stessa logica hanno affrontato anche la domanda successiva.
Leggere e interpretare i risultati ottenuti, cogliere suggerimenti che vengono dal testo del problema o dalla soluzione di una parte di esso sono azioni che qualunque studente può imparare; non sono riservate solo allo studente geniale, che ha le idee brillanti.
In questo impostazione nemmeno l’algebra è riducibile a un insieme di passaggi meccanici e formali; si può dire che anche le formule «parlano». Se le formule hanno un contenuto ne sarà ricordata più facilmente l’esistenza e si potrà far ricorso ad esse nella soluzione di un problema.
Da molti è stato criticato il compito d’esame del 2007 perché il primo problema richiedeva l’uso di una formula di trigonometria. La questione non è se l’argomento è o non è in programma, ma piuttosto se la tangente di un angolo è rimasta solo il rapporto tra seno e coseno o ha avuto anche un’interpretazione geometrica; e se nel corso del triennio si è acquisito un punto di vista progressivamente più ampio sugli enti geometrici.
Per ritornare a de Finetti, forse la più nota formula algebrica (a + b) (a – b) = a2 – b2 è proposta come mezzo per vedere conclusioni importanti. In particolare mostra che il quadrato è fra tutti i rettangoli di ugual perimetro, quello di area massima. Come si vede il punto della questione non è la sostituzione dei contenuti attuali con altri, ma il modo in cui sono proposti i medesimi contenuti. Sempre a partire dalla soluzione di problemi è proposta anche una riflessione sul rapporto tra la matematica e le altre scienze.
La matematica serve alle altre scienze e molti pensano che è avvantaggiato chi la conosce; in questo testo invece si ribalta la prospettiva: le altre scienze sono utili per capire la matematica.
L’autore arriva a scrivere che «se la fisica non esistesse i matematici dovrebbero inventare una fisica astratta come sussidio e parte della matematica».
In questo saggio l’autore tocca tutti gli ambiti della matematica e ripercorre i passaggi fondamentali che sono propri dello sviluppo dello studio di questa disciplina: dal calcolo numerico si passa al calcolo simbolico, attraverso l’induzione matematica si fanno «infiniti passi in uno solo» e poi si introducono le funzioni come visione dinamica di un processo.
Anche dal punto di vista del contenuto c’è un’ampia panoramica su argomenti meno tradizionali al tempo in cui l’autore scrive e che ora invece stanno entrando nell’insegnamento, come per esempio le trasformazioni, il calcolo della probabilità, il calcolo vettoriale.
Su questi ultimi temi cambia il tono dell’esposizione che diventa una vera e propria trattazione sempre accompagnata da problemi introduttivi. Non è trascurato nemmeno il problema dell’approssimazione sia nel calcolo numerico che nelle costruzioni con riga e compasso; queste ultime sono esatte da un punto di vista teorico, ma nella realizzazione grafica presentano necessariamente imprecisioni. La riflessione sulla costruzione effettiva del sottomultiplo di un segmento con riga e compasso è infine l’occasione per introdurre il tema della propagazione degli errori.
A conclusione l’autore propone trentadue problemi di carattere vario, con l’indicazione del paragrafo del testo a cui sono riferiti, cosa che aiuta a contestualizzarli.
Infine è proposta una nota didattica per l’insegnante, che viene ulteriormente invitato a un insegnamento vivo, non ridotto a un seguito di nozioni.
A tal fine sono indicate letture, nella ricca bibliografia, in cui si richiama l’attenzione a «problemi effettivi» suggeriti da libri e riviste e a quesiti proposti nelle gare matematiche.
Recensione di Mara Andreini
(Docente di Matematica e Fisica al Liceo Scientifico “Francesco Severi” di Milano)
© Pubblicato sul n° 32 di Emmeciquadro