Oggi conosciamo la potenza del linguaggio matematico in fisica, capace di descrivere fenomeni anche molto differenti con equazioni differenziali dello stesso tipo, che in qualche modo definiscono la «struttura» del fenomeno, indipendentemente dalle sue particolarità. L’inizio di questo procedimento analogico risale a Newton, come mostra l’esempio riportato in questo articolo, relativo a due moti oscillatori.
Nella Proposizione XLIV del secondo libro dei Principia [1] Isaac Newton (1642-1727) prende in considerazione un interessante confronto tra l’oscillazione di un pendolo cicloidale e quella propria di un liquido in un tubo a U, dimostrando che un’identica equazione differenziale di moto regge entrambi i fenomeni fisici, peraltro del tutto distinti.
Conviene presentare, in via preliminare, i due fenomeni da confrontare: l’oscillazione del pendolo cicloidale e l’oscillazione di un liquido non viscoso all’interno di un tubo di vetro a U.
Nell’opera Horologium oscillatorium [2] Christian Huygens (1629-1695) in¬troduce la cicloide dotata, come egli afferma, di «proprietà meravigliosa». Sfruttando le caratteristiche di questa curva egli costruisce un opportuno pendolo, detto appunto cicloidale.
Quando la massa in oscilla il filo del pendolo si avvolge sulla curva vincolante (o guida) oppure .
Huygens dimostra, con metodi geometrici, (immagine a destra) che se la curva è anch’essa una cicloide (come deve pur essere) allora il periodo di oscillazione è costante, indipendentemente dall’ampiezza dell’oscillazione.
Newton riprende queste considerazioni nelle Proposizioni XLVII-LII del primo libro e studia il problema dinamico di una massa che scivola, sotto l’azione della gravità, senza attrito su una guida piana a forma di cicloide. Più avanti esamineremo la soluzione newtoniana di questo problema.
Nel tubo a U, indicato schematicamente nell’immagine a sinistra, è posto un liquido non viscoso, per esempio acqua (avente bassa viscosità), che può oscillare, entro il tubo contenitore, costituendo un sistema a un grado di libertà, come oggi si direbbe.
Il moto oscillatorio della massa liquida è di tipo armonico; esamineremo la soluzione newtoniana del problema collegata con quella del precedente problema.
Lo studio newtoniano dell’oscillazione del pendolo cicloidale
Affrontando il problema dinamico della massa che scivola senza attrito su una cicloide, Newton dimostra che la forza, attraente il grave verso il punto più basso della cicloide, è proporzionale alla lunghezza dell’arco compreso tra il grave stesso e il detto punto.
Per giungere al risultato appena detto, egli concepisce una dimostrazione particolarmente raffinata e assai difficile a comprendersi, almeno a una prima lettura.
François de Gandt [3] ha studiato a fondo questa dimostrazione e ha affermato che essa differisce notevolmente dalle altre condotte da Newton nei Principia.
Si è stupito tra l’altro, l’autore della memoria, che Newton abbia scelto questa via così tortuosa, dopo che problemi analoghi (e anche più difficili) erano stati risolti più semplicemente e più elegantemente nel suo Methodus fluxionum [4], come anche in manoscritti anteriori. Ecco le sue parole: «La cosa più strana è che Newton soprattutto questo, perché lo ha esposto precedentemente […]. Ma è un’altra questione, e ancora un enigma ai miei occhi, che ci sia questo fossato tra i Principia e le Flussioni».
Forse de Gandt drammatizza, radicalizzando un po’ eccessivamente, la differenza tra lo stile matematico dei Principia e quello delle sue opere più specificatamente matematiche. Sviluppiamo ora la soluzione con i metodi che avrebbero potuto essere usati nel Methodus Fluxionum e, in più, con la notazione odierna.
Sia data una cicloide contraddistinta dalla costante , percorsa da un grave che scivola su essa senza attrito. Le equazioni, con parametro θ, della cicloide sono
(1) x = R (θ + sin θ) e y = R (θ – cos θ)
Mentre il parametro θ varia così: -π ≤ θ ≤ π.
Come si vede dall’immagine, poiché:
Ds2 = dx2 +dy2
Con
Dx = R (1 + cos θ) dθ, dy = R sinθ dθ
Otteniamo:
Ds2 = 2 R2 (1 + cos θ) dθ2
Ossia:
(2) ds = 2 R cos dθ/2 dθ
Dalla (2), integrando fra 0 e θ, ricaviamo:
(3)
Poiché la massa del grave cadente è m, abbiamo, proiettando la forza peso mg sulla tangente in , per la seconda legge della dinamica
Dalla precedente formula si deduce:
(4)
Ossia l’equazione del moto armonico con periodo:
(5)
Lo studio newtoniano del moto oscillatorio di un liquido non viscoso in un tubo a U
Ora passiamo a considerare la seconda parte dello studio di Newton, ossia la ricerca della soluzione del problema di moto di un liquido non viscoso in un tubo a U.
Nella Proposizione XLIV, del secondo libro, Newton enuncia il problema: «Proposizione XLIV Teorema XXXV. Se l’acqua salirà o scenderà, a volte alterne, lungo i rami verticali KL, MN di un canale, e se viene costruito un pendolo la cui lunghezza è uguale alla metà della lunghezza dell’acqua nel canale: dico che l’acqua salirà o scenderà negli stessi tempi duranti i quali il pendolo oscilla».
Di seguito egli espone la sua soluzione.
Ecco il testo newtoniano, relativo all’immagine riportata alla precedente pagina:
«Misuro la lunghezza dell’acqua lungo gli assi del canale e dei rami rendendola uguale alla somma di questi assi; qui non considero la resistenza dell’acqua che nasce dall’attrito col canale. , designino, quindi, l’altezza media dell’acqua in entrambi i rami, e quando l’acqua sale nel ramo all’altezza , nel ramo l’acqua sarà discesa all’altezza . Sia il corpo sospeso, il filo, il punto di sospensione, la cicloide che il pendolo descrive, il suo punto più basso, un arco uguale all’altezza . La forza per effetto della quale il moto dell’acqua, a volte alterne, viene accelerato e ritardato, è la differenza del peso dell’acqua in uno dei rami rispetto al peso dell’altro. Perciò, quando l’acqua sale nel ramo fino a e nell’altro ramo discende fino a , quella forza è il doppio del peso dell’acqua , e perciò sta al peso di tutta l’acqua come o a o . Anche la forza, per effetto della quale il peso viene accelerato o ritardato in un luogo qualsiasi di una cicloide (per il corollario della Proposizione LI), sta al suo intero peso, come la distanza dal luogo più basso alla lunghezza della cicloide. Per la qual cosa anche le forzi motrici del pendolo e dell’acqua, che descrivono gli spazi uguali , , stanno come i pesi da muovere; perciò, se l’acqua e il pendolo da principio sono in riposo, quelle forze li muoveranno ugualmente in tempi uguali, e faranno sì che vadano e tornino indietro, nello stesso tempo, con moto reciproco. C.V.D.».
Commentiamo il passo riportato.
Un tubo di vetro a U, di sezione costante con area A e riempito d’acqua il cui volume è Al, contiene le oscillazioni della massa liquida, il cui sviluppo (lungo l’asse complessivo del tubo) è pari a l. Sia ρ la densità dell’acqua (costante).
Newton deduce che la forza complessiva agente sulla colonna di liquido, avente la lunghezza l, è 2Aρgx.
Cerchiamo ora di ricostruire in dettaglio il ragionamento newtoniano.
Che la perturbazione del piano orizzontale di equilibrio (che passa per e ), denotata x, implichi una forza di pressione sulla sezione del ramo di sinistra pari a Aρgx, appare del tutto evidente; che invece la perturbazione nel ramo di destra, denotata –x, provochi una depressione di valore –Aρgx discende dalla simmetria della struttura del tubo a U e dall’incomprimibilità dell’acqua (ρ uguale a costante).
Se ora si immagina idealmente di rettificare, come si vede nello schema seguente, la colonna di liquido, abbiamo la situazione corrispondente a un cilindro premuto da una forza Aρgx sul lato sinistro e soggetto a una forza equiversa dello stesso valore sul lato destro.
Schema semplificato al fine di comprendere l’impostazione dell’equazione (6); durante la semi-oscillazione successiva la situazione dinamica ovviamente si inverte
Se, come appare manifesto nell’esperimento, il blocco di molecole di liquido si muove, durante l’oscillazione, tutto insieme, possiamo spostare la forza su in (semplicemente come si farebbe con un corpo rigido) e successivamente la risultante 2Aρgx in KK’.
Avremo quindi una forza assegnata che spinge un corpo avente massa Alρ; pertanto con la seconda legge della dinamica ricaviamo
(6)
La forza in KK’, oggi si direbbe, è la forza di richiamo. La (6) è anche riscritta così:
(7)
Le equazioni differenziali (4) e (7) sono esattamente dello stesso tipo.
Entrambi i moti sono armonici.
Il periodo dell’oscillazione, nel caso della (7), è:
(8)
Se il liquido fosse ideale (cioè con viscosità nulla) allora l’oscillazione sarebbe continua e permanente; nel liquido reale (cioè viscoso e quindi con perdita) detta oscillazione si spegnerà asintoticamente nel tempo. Ecco perché Newton, nel suo testo, afferma «qui non considero la resistenza dell’acqua che nasce dall’attrito col canale».
Vi è da osservare che, nella (8), il periodo T è indipendente dalla densità del liquido (sempre considerato quest’ultimo non viscoso). In sostanza il sistema tubo a U più liquido costituisce un pendolo semplice «idraulico».
Newton stabilisce subito l’analogia tra quest’ultimo pendolo idraulico e il pendolo cicloidale per primo introdotto. Basta specificare che la distanza del centro di oscillazione dal punto di inizio dell’oscillazione stessa (per il pendolo cicloidale) è uguale alla metà della lunghezza l (per il pendolo idraulico).
Ciò significa che l’arco deve avere una lunghezza pari a l/2. Allora, essendo la lunghezza dell’arco pari a 4R [formula (3) quando θ = π], avremo che la (4) diventa:
Ossia identica alla (7) (con il passaggio dalla variabile s alla variabile x).
Ricordiamo ancora l’enunciato [Proposizione XLIV, Teorema XXXV] «se viene costruito un pendolo la cui lunghezza tra il punto di sospensione ed il centro di oscillazione è uguale alla metà della lunghezza dell’acqua nel canale: dico che l’acqua salirà o scenderà negli stessi tempi durante i quali il pendolo oscilla».
Alcune osservazioni conclusive
In un articolo di James T. Cushing [5] è contenuta una nota che è qui sotto riportata testualmente.
«È importante rilevare che in nessun punto dei Principia si trova l’equazione
F = ma,
In luogo di
La seconda legge è espressa solo in forma verbale. In effetti fu Eulero (1707-1783) che, nel 1752, notò l’importanza e la generale applicabilità di F = ma».
L’osservazione è puramente formale; nel presente studio si constata che la certezza che il calcolo esplicito sia stato omesso, nel testo newtoniano, è fornita dall’esattezza del risultato analitico-quantitativo espresso nell’enunciato.
Vi è poi da ricordare, in proposito, una nota del testo di I. Bernard Cohen Introduction to Newton’s Principia [6] che qui di seguito si riporta.
«Il problema di comprendere la formazione di traiettorie curve da parte di Newton così dipende dal considerare distinte le due modalità con cui una forza può agire: simul et semel, in cui l’orbita è costruita come risultato di una sequenza di infinitesimi discreti impulsi-forza e gradatim et continuo, in cui una serie di archi infinitesimi è generata da una forza continua [7]. Ma naturalmente entrambe conducono esattamente alla stessa teoria delle forze centrali. Confusione su questo punto ed errore nel leggere il testo dei Principia (a parte le Definizioni e le Leggi) ha indotto molti autori ad asserire, in modo errato, che Newton «non conosceva» la forma continua della seconda legge. Ovviamente egli non scrisse mai:
F = ma
Oppure:
Esplicitamente come noi vorremmo; né mai scrisse un’equazione flussionale del tipo:
Ma chi esamina accuratamente la Proposizione XLI del primo libro (o molte altre, come la Proposizione XXIV, Teorema XIX del secondo libro) vedrà subito che la pura assenza, di un’equazione o di un algoritmo differenziale o flussionale, non può nascondere il fatto che Newton fosse perfettamente consapevole della seconda legge nella forma in cui la conosciamo ora».
La seconda osservazione è conseguente alla prima.
Esaminando i Principia e studiando i fenomeni ivi descritti, per esempio le variazioni di posizione e velocità degli oggetti sottoposti a forze fisiche, si constaterà ciascuna di queste variazioni coinvolgere un proprio tasso di cambio e conseguentemente, allorché sia espressa esplicitamente mediante il formalismo dovuto a Leibniz e ai suoi allievi, conduce a un’equazione differenziale.
Il grande merito di Newton è stato quello di aver innanzitutto introdotto, e successivamente perfezionato, l’indagine sui fenomeni considerati consentendone la traduzione matematica, su cui era più facile lavorare, mediante l’analisi infinitesimale e integrale, con il formalismo ormai stabilizzato.
Pertanto si può concludere che Newton ci ha consegnato, almeno come idea archetipica, l’equazione differenziale come modello matematico del processo fisico.
Vittorio Banfi
(Ha lavorato, dal 1969 al 1984, come collaboratore esterno presso l’Osservatorio di Pino Torinese. E’ membro del Centro di Astrodinamica «G. Colombo». Collabora con il Dipartimento di Fisica e Matematica dell’Università degli Studi. La sua ricerca si è sviluppata nel campo dell’Astrofisica teorica del Sistema Solare)
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Indicazioni Bibliografiche/Sitografiche
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Isaac Newton, Principi matematici della Filosofia naturale, a cura di A. Pala, UTET 1965
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Christian Huygens, Horologium oscillatorium, Diffusé par la librairie A. Blanchard, Paris
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François De Gandt, Le styke mathematique des Principia de Newton, Rev.Hist.Sci., 1986 XXXIX/3, p. 877
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Isaac Newton, La méthode des fluxions et des suites infinies, traduit par M. de Buffon, Librairie Scientifique et technique A. Blanchard, Paris 1994
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James T. Cushing, Kepler’s laws and universal gravitation in Newton’s Principia, Am.J.Phys. 50(7), p. 617
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I. Bernard Cohen, Introduction to Newton’s Principia, Harvard University Press Camb. Mass. 1978
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Vittorio Banfi, Moto in un mezzo resistente nei «Principia» di Isaac Newton, in Emmeciquadro n. 27, Agosto 2006.
© Pubblicato sul n° 32 di Emmeciquadro