Intervista rilasciata il 21 agosto 2007 nell’ambito del XXVIII Meeting per l’amicizia fra i popoli di Rimini.
L’autore ringrazia Annamaria Ponzio che ha collaborato alla traduzione.
Anzitutto può presentarsi, spiegando brevemente in cosa consiste il suo lavoro?
Sono un matematico, francese e cristiano, anzi cattolico. Spiegare in cosa consiste il mio lavoro non è facile. Sono quel che si dice un matematico puro, cioè uno che cerca di sviluppare la matematica senza preoccuparsi direttamente delle sue applicazioni.
Mi occupo principalmente di geometria algebrica, cioè di quegli oggetti della geometria che sono definiti da equazioni polinomiali. È un campo che nell’ultimo mezzo secolo ha conosciuto profonde trasformazioni e un enorme sviluppo; sono giunto ad applicare la geometria algebrica a un dominio legato ad essa, ma differente, nell’ambito del cosiddetto programma di Langlands, che consiste nel mettere in relazione le parti della matematica che a priori sono molto lontane le une dalle altre. I matematici hanno sviluppato diversi approcci: un approccio algebrico, uno geometrico e uno analitico; lo scopo del programma di Langlands è dimostrare che questi tre differenti approcci raccontano la stessa storia con linguaggi differenti.
Io dunque ho dato il mio contributo a questo gioco: ho cominciato a lavorarci quindici anni fa e ho dimostrato un risultato che mi è valso la Medaglia Fields, ma che non è il problema più importante di questo campo. Così adesso penso che nei prossimi anni attaccherò un altro problema che fa sempre parte dello stesso programma di Langlands. Io amo i problemi che richiedono anni di lavoro.
I matematici hanno ognuno la propria personalità: ce ne sono che amano lavorare su diversi problemi contemporaneamente e che amano passare da un problema all’altro. Personalmente preferisco concentrarmi su una sola questione molto difficile, passare su di essa molto tempo, parecchi anni come dicevo, cercando di risolverla, ma prendendomi anche il rischio di non riuscirci. Si può dire che come matematico io ho il gusto dei lavori lunghi, del rischio e della difficoltà.
Sappiamo che lei ha sviluppato idee molto particolari e interessanti sul rapporto tra matematica ed esperienza umana. Cosa può dirci in proposito?
La prima cosa davvero importante è che la matematica può dare insegnamenti circa la nostra condizione umana, ma certamente non per i suoi risultati.
Se c’è una lezione umana della matematica, questa sta nella matematica come esperienza, come pratica. In altre parole, essere un matematico è una «esperienza umana». Una tra le altre; naturalmente, ciascuno di noi ha numerose esperienze umane, ma per me questa è una parte importante della mia vita: dopo tutto le ho consacrato molti anni e le dedico la maggior parte della giornata e addirittura, nei periodi di ricerca intensa, penso «sempre» alla matematica.
[A sinistra: Laurent Lafforgue durante la consegna dela Medaglia Fields]
Dunque questo vuol dire che essa costituisce una parte molto importante della mia personalità: il fatto che io sia un matematico non è qualcosa di marginale per me, ma è una parte della mia vita. Per me è importante riflettere su quali sono le conseguenze umane della matematica e per questo, molto spesso, anzi direi quasi sempre, invito a riflettere sulle relazioni tra la matematica e la fede cristiana.
La prima risposta da dare alla domanda «qual è il valore umano e cristiano dell’esperienza matematica?» è che la matematica è un’esperienza della verità. Nel campo intellettuale esiste da molti secoli, anzi, da molti millenni, la ricerca della verità, ma la cosa più importante da comprendere è che la ricerca della Verità con la V maiuscola, si fa sempre attraverso verità particolari, vale a dire che c’è un modo di cercare la verità per lo scrittore, uno per il fisico, uno per il chimico, uno per il medico, eccetera.
La verità in se stessa è una, ma ci sono diversi approcci ad essa, attraverso verità precise, cammini particolari di ricerca, che costituiscono le diverse tradizioni intellettuali, cioè le diverse scienze, la letteratura, la filosofia e altro ancora. Ora, come dicevo, anche il matematico non deve cercare la verità facendo discorsi generali, ma cercando verità particolari, risolvendo cioè problemi specifici. In altre parole, le domande che si pone un matematico, i problemi che affronta e le risposte che trova sono occasioni di fare l’esperienza della verità.
E la miglior prova che la cosa che interessa di più un matematico (così come uno scrittore o qualsiasi altro intellettuale) è proprio la Verità con la V maiuscola, è che non appena ottiene il risultato su cui ha lavorato magari per anni (come è in particolare il mio caso) immediatamente passa a un altro problema. Perché la verità non la si possiede mai completamente.
Dico che si fa una «esperienza della verità» perché quando in un certo momento si trova un risultato, si ha il sentimento fuggitivo di un «contatto» con la verità, ma immediatamente si intuisce che questa verità particolare che si è raggiunta non è la verità ultima, perché quello che interessa più di tutto è proprio la verità ultima. E per continuare a perseguirla abbiamo bisogno di passare a un altro problema e di cercare altre occasioni per essere servitori della verità.
Che relazione c’è tra queste sue idee e il problema dell’educazione, specialmente nella scuola?
Da alcuni anni ho cominciato a interessarmi molto alla scuola e, più in generale, all’educazione, in Francia ovviamente, ma anche in altri paesi e devo dire che la situazione è pessima in tutto l’insieme dei paesi occidentali.
E ne sono interessato per varie ragioni, innanzitutto perché, a parte la fede che mi viene dall’ambiente famigliare, io devo tutto alla scuola, in quanto mi ha insegnato tutto quello che oggi so e, in particolare, mi ha permesso di diventare un matematico, cosa di cui sono molto felice.
La scuola che trasmette conoscenze ha un grande valore per me, ed è qualcosa a cui sono molto «attaccato», non solamente per una riflessione intellettuale, ma perché é qualcosa che sento profondamente. Da alcuni anni a questa parte ho cominciato a rendermi conto che la scuola in Francia era molto cambiata, anzi, era completamente cambiata da quando ero giovane (e non sono poi ancora tanto vecchio). Scoprire questo mi ha toccato molto profondamente. Perciò è stato naturale cercare di conoscere la situazione e impegnarmi al riguardo; così, quando qualcuno mi ha chiesto di intervenire come matematico, ho accettato.
Quando intervengo nel campo dell’educazione non è assolutamente solo per parlare di matematica; anzi, in generale parlo in primo luogo e soprattutto dell’insegnamento della lingua, perché anche per me matematico l’insegnamento più importante è proprio quello della lingua, e poi quello delle lingue classiche, cioè il latino e il greco e quello delle materie umanistiche e della letteratura.
Mi sono molto impegnato a proposito di tale questione e in effetti i docenti di letteratura, di latino e di greco sono molto contenti che un matematico condieri il latino, la grammatica, il greco, eccetera molto importanti. Così mi sono trovato ingaggiato in questa lotta per l’educazione, nella quale la mia fede cristiana gioca sicuramente un ruolo importante.
Il cristianesimo infatti insegna che ogni generazione ha il dovere di trasmettere alle generazioni seguenti quello che ha ricevuto, che è un po’ come «nutrirle». Tutti comprendono che i bambini che vengono al mondo hanno bisogno che i genitori e gli adulti in genere diano loro il nutrimento perché il loro corpo possa crescere, ma per me, che sono anzitutto un intellettuale, il nutrimento intellettuale e quello dello spirito sono altrettanto importanti che quello del corpo. Mi sono reso conto che oggi le giovani generazioni non ricevono più questo tipo di nutrimento all’altezza del loro bisogno; per questo ho deciso di impegnarmi in base all’esperienza che ho, cioè, ancora una volta, anzitutto in base alla mia esperienza di matematico.
E secondo lei qual è la cosa più importante che dovremmo fare per migliorare questa preoccupante situazione in cui versa la scuola?
Ci sono parecchie maniere di affrontare la questione. Un primo modo di vedere le cose è che il problema della scuola e quello dell’educazione sono problemi di carattere spirituale. Vale a dire che constato che la scuola e l’educazione si sono molto degradate, perché le generazioni adulte «esitano» a trasmettere ciò che hanno ricevuto, perché hanno dubbi molto profondi sul valore di ciò che è stato loro donato.
In Europa non siamo più sicuri del valore della cultura europea e poiché non ne siamo più sicuri esitiamo a trasmetterla alle giovani generazioni. Ma la questione ha una radice spirituale: non siamo più sicuri del valore di quanto abbiamo ricevuto perché fondamentalmente non siamo più sicuri del valore della vita che ci è stata donata.
Metto in una relazione molto stretta la crisi dell’educazione (cioè questa esitazione degli adulti a trasmettere la cultura) e il problema generale della trasmissione della vita. La scienza, la matematica, la letteratura sono manifestazioni della vita nell’ordine dello spirito. E oggi in Occidente c’è un’esitazione a trasmettere la vita, anzitutto a trasmetterla semplicemente avendo dei bambini e poi, quando i bambini ci sono, a trasmettere loro valori morali, la fede e infine dei beni intellettuali, come appunto la cultura.
Penso quindi che per «ritrovare la scuola» la prima cosa necessaria è ritrovare fiducia nella vita, nella verità e in ciò che abbiamo ricevuto dalle generazioni precedenti. Per me questa fiducia non si può ritrovare al di fuori della fede; questa é la mia prima risposta generale, che è una risposta di ordine spirituale. C’è un altro modo di guardare alla questione, un modo apparentemente molto lontano dal primo, ma in realtà non separabile da quello. Questa seconda considerazione è assolutamente indispensabile.
Il problema della scuola infatti ha un centro che è la cosa più concreta di cui ci dobbiamo interessare, ossia il «contenuto» dell’insegnamento. Che cosa si deve insegnare nella scuola?
La prima cosa da decidere sono le «materie» di insegnamento e, nei diversi ambiti, le conoscenze specifiche che si devono insegnare. Certamente tutta l’attività intellettuale si colloca nel quadro della ricerca della verità, che rappresenta la sua giustificazione ultima, ma, come dicevo prima, non si può cercare la verità in generale se non attraverso delle verità particolari.
Nell’ambito della scuola queste verità particolari sono le conoscenze e quindi la prima cosa da fare per ricostruire la scuola è stabilire quale insieme di conoscenze vogliamo trasmettere. Bisogna in primo luogo che queste siano «ricche» e poi che vengano trasmesse in maniera ordinata, cioè che da un anno all’altro ci sia una progressione, da contenuti iniziali molto semplici a contenuti via via più elaborati.
Un altro elemento di estrema importanza è che queste conoscenze siano «strutturate». Nella scuola così come è stata trasformata in Francia c’è la volontà di distruggere tutte le strutture; per esempio, nell’insegnamento della Storia è stata soppressa la cronologia, quindi i ragazzi studiano questo evento, quest’altro evento e quest’altro ancora, ma non sono capaci, (o meglio non si permette loro) di ordinarli uno in relazione all’altro, per cui, in seguito, non resta loro niente in mente, in quanto le conoscenze sono isolate l’una dall’altra.
Solo quando sono strutturate, le conoscenze assumono un’unità e si consolidano. Per me la questione della scuola è da una parte quella di rifondarla spiritualmente, che vuol dire semplicemente che persone abitate dalla fede si facciano carico della questione della scuola. E poi, per ricostruirla concretamente, é prioritario individuare quali conoscenze si devono trasmettere: bisogna preoccuparsi di scrivere libri e manuali; bisogna domandarsi in che maniera istruire i maestri e i professori, che conoscenze dare loro perché le possano trasmettere, eccetera.
In sintesi, il cuore della questione della scuola non è affatto la metodologia dell’insegnamento, ma il contenuto, ossia le conoscenze che costituiscono l’oggetto dell’insegnamento.
Che cosa può fare un docente nella situazione attuale?
Spesso molti maestri e molti professori mi scrivono: «che cosa devo fare? perché mi trovo in una certa scuola, devo applicare determinati programmi che non condivido, ho degli alunni che non hanno le basi, eccetera». Certamente è una questione molto difficile.
Il livello più importante è quello della scuola elementare; oggi io constato che in Francia (ma credo che in Italia non sia molto diverso) gli studenti arrivano all’università senza avere le conoscenze di base che normalmente si dovrebbero imparare alle elementari. Quindi la cosa più importante è insegnare ai ragazzi le conoscenze fondamentali della lingua, della grammatica, del vocabolario, del calcolo elementare anche più tardi di quello che dovrebbe essere.
Quando per esempio ci sono professori che mi dicono che insegnano a ragazzi che non conoscono la grammatica, dico di insegnare loro la grammatica prima di passare a conoscenze più avanzate, anche se normalmente dovrebbero già saperla. Certo capisco, e anche i professori capiscono, che è estremamente difficile insegnare nelle condizioni attuali. Ho parlato prima dell’importanza della struttura della conoscenza, ma perché questa possa trasparire nell’insegnamento e venga trasmessa è necessario che la scuola stessa sia strutturata.
Io paragono la scuola e il sistema educativo a un esercito: perché un esercito sia efficace occorre che sia ordinato e che sia ben comandato. Quando invece in un esercito i generali danno il cattivo esempio, si vede che l’esercito va in rotta, che molti soldati non hanno più il coraggio di combattere e la scuola, almeno in Francia, si può dire che è così. Ricevo continuamente lettere di maestri e professori che cercano di fare tutto quello che possono ma sono isolati dentro la loro scuola; naturalmente cerco di trasmettere loro il sentimento che non sono soli e li invito a resistere e a cercare di non stare da soli in questa lotta per trasmettere conoscenze ordinate, rigorose e in progressione.
Lei ha detto che la matematica ha a che fare con la verità. Ma nella nostra cultura è molto diffusa l’idea che la matematica non sia «vera», ma sia solo una costruzione formale dove ciò che conta è la sola coerenza interna. Cosa ha da dire in proposito?
L’esperienza della verità in matematica, come tutte le esperienze di vita, non è qualcosa che si possa oggettivare e razionalizzare completamente. È un’esperienza. Quello che si può dire è che la matematica è limitata, è finita, continua ogni giorno a svilupparsi, e quindi non può pretendere di raggiungere la verità tutta intera, ma solo una parte minuscola, infima della verità. Nondimeno essa permette di fare un’esperienza della verità, che a mio avviso è molto preziosa, perché i matematici, non solo a livello della propria ricerca personale, ma a quello della ricerca collettiva, della storia della matematica, non devono mai contraddirsi: in matematica quando una cosa è provata, è provata per sempre.
Per esempio, i primi risultati che sono stati dimostrati dai Greci più di duemila anni fa restano veri anche oggi. Dunque i matematici fanno questa esperienza, che nel loro piccolo dominio c’è una verità che è universale e che non è sottomessa alle contingenze storiche. Ed è universale in un senso molto concreto, cioè che ci sono matematici francesi, italiani, tedeschi, giapponesi, americani, indiani, cinesi, africani, di tutti i paesi del mondo, che si trovano d’accordo in maniera assolutamente precisa, che parlano delle stesse cose, che riflettono nello stesso modo e che sono completamente d’accordo sui risultati della matematica.
L’esperienza dell’universalità del sapere nell’ambito della matematica è qualcosa di estremamente prezioso. La matematica, come ho detto, non è tutta la verità, ma nel suo ambito, un ambito molto preciso, i matematici fanno questa esperienza dell’universalità del sapere. Ho parlato dell’universalità in senso culturale e geografico, ma c’è anche una universalità nel tempo. I matematici di oggi non sono separati da quelli del XIX secolo o da quelli del Rinascimento o dell’antichità greca.
È chiaro che secolo dopo secolo la matematica si sviluppa, si precisa, si approfondisce; arriva a risultati, ma questi non sono mai definitivi perché i matematici trovano sempre che ogni volta che hanno risolto una questione questa in effetti nasconde questioni più profonde e quando anche queste sono state risolte ci si accorge che a loro volta nascondono questioni più profonde ancora, eccetera, eccetera. Dunque l’approfondimento non cessa mai, ma la cosa di estrema importanza è che la matematica non si contraddice mai. Per questo i matematici hanno una grande fiducia nelle verità che cercano e quindi nella ricerca della verità; infatti sanno per esperienza che almeno nel loro dominio esiste una verità, e a partire da qui si può cercare di estrapolare questa esperienza ad altri domini, che non sono più quelli della razionalità in senso stretto, ma per esempio quelli dell’analogia.
Questa fiducia nella verità in un ambito particolare è dunque qualcosa che viene accolto dalla persona e che può essere reinvestita in altri ambiti.
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A cura di Paolo Musso
(Filosofia della Scienza – Università dell’Insubria – Varese)
Laurent Lafforgue
Matematico, professore permanente all’Institut des Hautes Étu¬des Scientifiques (IHES) di Parigi, nel 2002 gli é stata conferita la Medaglia Fields.
© Pubblicato sul n° 32 di Emmeciquadro