Continua la riflessione sulla vita da parte dell’autore che, da molti anni, conduce ricerche nel campo della neurofisiologia. Si affronta qui il tema della sensibilità dei processi vitali, in particolare di fronte a variazioni anche minime che avvengono a livello molecolare. Facendo riferimento al primo contributo, che ha descritto il fenomeno vita nelle sue caratteristiche che lo distinguono da quelle di un sistema inanimato, si trattano in termini più specifici aspetti fondamentali degli esseri viventi quali l’auto-movimento, la presenza di fini intrinseci e la preoccupazione per il proprio essere e agire. Si costruisce così la parte conclusiva, relativa all’ontogenesi degli organismi pluricellulari.



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Le immagini che corredano questo articolo sono fotografie di Anna Camisasca.

Erwin Schrödinger affermava: «[…] se noi fossimo organismi sensibili al punto che un atomo singolo, od anche un piccolo numero di atomi, potesse produrre un’impressione percettibile sui nostri organi di senso, cielo, che cosa sarebbe mai la vita! Tanto per dirne una, un simile organismo non sarebbe certissimamente capace di sviluppare quella specie di pensiero ordinato che, dopo essere passato attraverso una lunga serie di stati precedenti, giunge alla fine a formare, tra le molte altre idee, anche il concetto di atomo».(1)
Sulla base di considerazioni statistiche, per poter garantire la stabilità dei processi ereditari, Schrödinger arrivava a predire l’esistenza di una macromolecola, ossia di una molecola straordinariamente grossa che doveva essere «un capolavoro di ordine altamente differenziato, difesa dalla bacchetta magica della teoria dei quanti». «Siamo così giunti alla conclusione che sia un organismo sia tutti i processi (importanti dal punto di vista biologico) di cui esso è sede debbono avere una struttura in cui interviene un gran numero di atomi, in modo tale che eventi casuali dovuti ad atomi singoli non possano acquistare una troppo grande importanza».(2)
La predizione di Schrödinger ha significato uno stimolo potente per le ricerche che sono poi sfociate nella scoperta della struttura del DNA a opera di Watson e Crick, rendendo finalmente comprensibile il processo della replicazione del DNA e della trasmissione dei caratteri ereditari.



L’amplificazione dei segnali
(L’estrema sensibilità dei processi vitali a piccolissimi cambiamenti all’interno di singole molecole)

Alla luce delle recenti scoperte, l’affermazione di Schrödinger va però oggi rivista.
È vero che il DNA deve essere sufficientemente stabile, non solo per trasmettere i caratteri ereditari alle generazioni successive, ma anche per garantire la stabilità del piano organizzativo dell’organismo: il DNA è una macchina fisico-chimica che ha una proprietà molto particolare, quella di fornire informazione per la costruzione di altre macchine che, a loro volta, permettono all’organismo di auto-ripararsi e auto-replicarsi. Gli RNA messaggeri e le proteine non sono in grado di auto-ripararsi.
Oggi sappiamo che il genoma è plastico, nel senso che l’espressione dei geni può essere modificata permanentemente sia nelle cellule somatiche che nelle cellule germinali, per esempio attraverso processi di metilazione. Inoltre, molte macromolecole sembrano disegnate precisamente per essere sensibili a piccolissime variazioni che avvengono su scala atomica e subatomica.
Si potrebbero fare moltissimi esempi: le piccolissime variazioni di struttura dell’emoglobina, che le consentono di legare oppure cedere ossigeno, l’isomerizzazione del 11-cis retinale, che è alla base della sensibilità del fotopigmento della retina alla luce, i canali voltaggio-dipendenti che sono alla base della trasmissione dei segnali elettrici biologici, i motori molecolari, eccetera. Il sistema olfattivo è in certi casi in grado di reagire a un singolo atomo di sostanza odorante. I bastoncelli sono sensibili a singoli quanti di luce.
Questa estrema sensibilità è raggiunta grazie a processi biochimici di amplificazione presenti all’interno delle cellule, per cui il segnale originale viene amplificato e può essere trasmesso senza distorsione alle stazioni successive del sistema nervoso.



Sistemi biologici e modelli fisico-matematici

Un esempio di come il movimento su scala subatomica, dell’ordine di grandezza dei legami tra singoli atomi, possa essere amplificato sino a ottenere effetti che si propagano su distanze che sono ordini di grandezza maggiori è dato dal potenziale di azione, una variazione rapida del potenziale di membrana innescato dall’apertura di canali ionici della membrana cellulare che sono selettivi per ioni sodio; il segnale per l’apertura del canale è una variazione del potenziale elettrico trans-membranario, che causa lo spostamento (movimento) di cariche elettriche associate ad amminoacidi; questo movimento si comunica ad altre regioni della proteina che costituiscono dei cancelli di accesso al canale.
Il moto delle particelle può essere spiegato perfettamente dalle leggi dell’elettricità che descrivono l’interazione di un campo elettrico con particelle cariche, la propagazione del potenziale di azione nella fibra nervosa può essere descritta dalle leggi che descrivono il moto di cariche in un cavo elettrico (tuttavia con caratteristiche particolari, non lineari, che lo differenziano da un «normale» cavo).
Quello che è assolutamente nuovo è la relazione tra lo spostamento infinitesimale di una carica elettrica in una macromolecola e il suo risultato, che è infinitamente più complesso, e può andare da un semplice riflesso di fuga di un pesce, allo schiacciare il pulsante che lancia nello spazio il missile che porta il primo uomo sulla Luna. Nella catena di cause ed effetti non vengono violate le leggi della fisica (per esempio le leggi della meccanica, che continua a valere sia nel caso del nuoto del pesce che del volo del missile) ma, al contrario di quanto sostiene Schrödinger , la relazione tra l’evento iniziale e il suo risultato non è descritto da «nuove leggi della fisica».
È necessario andare oltre la fisica e guardare alla fisiologia, la psicologia, la storia. I principi di causalità che valgono nella fisiologia, psicologia, eccetera, non sono riducibili alle leggi della fisica.
Per arrivare sulla Luna, l’uomo ha ovviamente dovuto tenere conto delle leggi della fisica, ma la fisica non spiega come mai l’uomo abbia trovato talmente interessante andare sulla Luna da investire uno sforzo enorme per arrivarci. Entrano qui in gioco ragioni di ordine tecnologico, storico, politico. Siamo qui in presenza di un tipo di amplificazione totalmente nuovo rispetto agli esempi di amplificazione che possiamo trovare nel mondo fisico naturale (per esempio l’effetto farfalla di cui parleremo più avanti) oppure artificiale (per esempio il laser): potremmo parlare di amplificazione i cui effetti trascendono le proprietà delle cause materiali che intervengono, questa trascendenza è resa possibile dall’azione di una mente.(3)
È dunque possibile costruire dei modelli fisico-matematici che descrivono più o meno bene il comportamento di sistemi biologici, ma i sistemi biologici non possono essere ridotti a questi modelli.
Detto in termini generali, a ogni livello di indagine è necessario costruire dei modelli specifici che siano adatti al livello che viene preso in esame. Un possibile modello dell’organismo vivente, articolato su vari livelli, è presentato e discusso nell’ultima parte di questo saggio.

Enzimi e moto browniano

Come detto, Schrödinger sostiene che i processi vitali dovrebbero essere insensibili al moto casuale degli atomi, da qui la necessità di macromolecole, costituite da un gran numero di atomi, perciò insensibili a eventi casuali che possono succedere in un singolo atomo.
Di fatto oggi sappiamo che ciò non è così, anzi è vero proprio il contrario. Per esempio il moto browniano, che è un moto casuale, permette agli enzimi di «esplorare» numerose possibili conformazioni in periodi di tempo brevissimi: è questo il meccanismo attraverso il quale le teste di miosina trovano la loro corretta posizione di aggancio ai filamenti di actina, che è un passo necessario per lo sviluppo della forza durante la contrazione muscolare. Se così non fosse, qualsiasi piccolissimo errore nel movimento della testa di miosina impedirebbe che la testa trovi la corretta posizione di aggancio sul filamento di actina, e quindi la contrazione muscolare non avverrebbe.
Vediamo qui come il moto casuale viene utilizzato in un sistema non-lineare per creare un sistema «robusto», poco sensibile agli errori.

Si può affermare che la vita utilizza il caso per garantire il raggiungimento dei suoi fini in un mondo contingente e imprevedibile.

 

Il Moto Browniano

Prende il nome dal suo scopritore, Robert Brown, botanico inglese, che lo descrisse nel 1828 osservando al microscopio il movimento irregolare, erratico, di particelle di polline sospese in una goccia d’acqua. Osservando che particelle di polvere mostravano un moto simile, Brown comprese che non si trattava di un movimento vitale.
Nel suo lavoro del 1905, Albert Einstein ne diede un’interpretazione matematica a partire dalla meccanica statistica, considerando che i bruschi cambiamenti di traiettoria delle particelle sono dovuti al «bombardamento» da parte delle molecole del mezzo, in questo caso l’acqua, che a causa delle minuscole dimensioni delle particelle non sono uniformemente distribuiti, e quindi causano forze istantanee, agenti sulla particella, che sono variabili in direzione e intensità.
Una molecola di acqua ha un diametro di circa 1 nm, mentre la particella di polline ha un diametro di circa 1 μm, ossia 1000 volte maggiore delle molecole di acqua. In pratica, le particelle di polline si comportano come rivelatori del moto termico delle molecole del mezzo.
Einstein arrivò a definire una legge (detta legge di Stokes-Einstein), secondo la quale la distanza quadratica media (una grandezza statistica) percorsa dalle particelle aumenta proporzionalmente al tempo. Il coefficiente di proporzionalità è la costante di diffusione D.
L’efficacia della teoria di Einstein nel descrivere il fenomeno della diffusione fu la seconda conferma della teoria atomica della materia, dopo quella fornita da Ludwig Boltzmann con la teoria cinetica dei gas.

 

 

 

Nuove caratteristiche dei viventi
(Gli esseri viventi sono caratterizzati da auto-movimento, dalla presenza di fini intrinseci e dalla preoccupazione per il proprio essere e agire)

 

Il movimento locale non può essere una caratteristica essenziale della vita: il movimento degli elettroni attorno al nucleo, il moto browniano, il moto dei pianeti attorno al Sole, eccetera, sono movimenti subiti passivamente da un corpo, al quale il corpo non può assolutamente opporsi con le proprie forze, e perciò non costituiscono moti vitali, sono moti caratteristici della materia in quanto tale.
Il movimento caratteristico di un organismo vivente è generato dall’interno e – ciò che è ancora più importante – è controllato dall’interno in modo da servire ai fini dello stesso organismo: in breve, la vita è movimento controllato e l’organismo vivente è capace di muovere se stesso. Martin Rhonheimer mi ha fatto notare a questo proposito il problema posto dall’assioma della filosofia scolastica, che si rifà ad Aristotele, Omne quod movetur ab alio movetur (niente può muovere se stesso, né mettere in moto se stesso).
La scoperta del movimento inerziale da parte di Newton suppone apparentemente un problema per l’assioma aristotelico, in quanto nello stato inerziale non vi è differenza tra l’essere in movimento e l’essere immobile, entrambi sono stati inerziali caratterizzati dall’assenza di una forza agente sul corpo. Applicato al moto locale di un corpo, l’assioma omne quod movetur ab alio movetur può essere inteso come applicabile al «cambiamento di stato», comprendendo dunque come «movimento» solo il cambiamento di stato (accelerazione positiva e negativa), che richiede l’azione di una forza.
Dunque, gli esseri viventi sono in grado di muovere se stessi perché sono in grado di generare intrinsecamente la forza necessaria per muovere se stessi. D’altra parte, non è sempre facile decidere se un determinato movimento, per esempio quello di piccolissimi organismi, è vitale o no, ma questo è un problema di ordine differente.(4)

 

Auto-movimento

 

Come conosciamo che un organismo biologico è vivo? Come sappiamo nella vita quotidiana che siamo di fronte a un essere vivente piuttosto che a un oggetto inanimato?
Immaginiamoci una situazione che sarà capitata a molti, quella di trovarsi di fronte a qualcosa che riteniamo inerte, e che improvvisamente si mette in moto senza nessuna causa esterna apparente; la nostra prima reazione è una esclamazione di sorpresa: «È vivo!».
Agostino afferma che l’uomo (e anche certi animali) conosce per una sorta di connaturalità che un essere vivente è vivo, ovvero perché percepisce istintivamente nel corpo vivente un principio analogo a quello che muove il suo corpo.

 

«C’è infatti una cosa conosciuta più intimamente, che senta con più chiarezza la sua esistenza, di ciò con cui si sentono anche tutte le altre cose, cioè l’anima stessa? Perché anche i movimenti dei corpi per mezzo dei quali percepiamo che vivono altri esseri oltre noi, noi li conosciamo per analogia con noi in quanto anche noi è grazie alla vita che muoviamo il nostro corpo, come vediamo che si muovono quei corpi. Infatti quando si muove un corpo vivente, non si apre ai nostri occhi alcuno spiraglio per cui possiamo percepire l’anima, realtà che non si può vedere con gli occhi. Ma noi percepiamo che c’è in quella massa corporea un principio analogo a quello che in noi muove similmente la nostra massa: questo principio è la vita e l’anima. Ed esso non è come un qualcosa di esclusivo della prudenza e della ragione dell’uomo, perché anche le bestie sentono che vivono non soltanto esse stesse, ma anche altre bestie in relazione con loro e sentono che anche noi stessi viviamo. Non è che vedano le nostre anime ma sentono che noi viviamo a partire dai movimenti dei corpi e lo fanno istantaneamente e con la massima facilità per una specie d’istinto naturale».
(Agostino, De Trinitate, Libro VIII, 6.)

 

Aristotele nel De Anima afferma che, secondo la comune osservazione, il fenomeno «vita» indica un movimento non comunicato, spontaneo, originantesi dall’interno dello stesso essere, la capacità intrinseca di muovere se stesso e quindi anche di muovere altri.
San Tommaso è sulla stessa scia quando scrive le parole riportate nel riquadro seguente.

 

«Dagli esseri che possiedono con evidenza la vita si può dedurre quali realmente vivano e quali non vivano. Ora, gli esseri che possiedono con evidenza la vita sono gli animali: infatti, osserva Aristotele [De veget. 1,1], “negli animali la vita è manifesta”. Quindi noi dobbiamo distinguere gli esseri viventi dai non viventi in base a quella proprietà per cui diciamo che gli animali vivono. E questa è il segno che per primo rivela la vita e ne attesta la presenza fino all’ultimo. Ora, noi diciamo che un animale vive appena comincia a muoversi; e si pensa che in esso perduri la vita finché si manifesta tale movimento; quando invece non si muove più da sé, ma viene mosso soltanto da altri, allora si dice che l’animale è morto per mancanza di vita. Da ciò si vede che propriamente sono viventi quegli esseri che comunque si muovono da sé, sia che il termine moto venga preso in senso proprio […] E così diremo viventi tutti gli esseri che si determinano da se medesimi al movimento o a qualche operazione; quegli esseri che invece per loro natura non si possono determinare da se stessi al movimento o all’operazione non possono essere detti viventi se non per una certa analogia».
(San Tommaso, S. Th., I, q.18, a.1, Respondeo)

 

Anche la ricerca neuropsicologica è coerente con le considerazioni sopra riportate: bambini molto piccoli, che non hanno ancora sviluppato un linguaggio e sono sicuramente a uno stadio pre-filosofico e pre-scientifico (unbefangen) tendono ad attribuire a un oggetto la capacità di muovere se stesso solo se non possono ricondurre il movimento a un agente esterno. Inoltre, è stato osservato che, in certi casi di ictus, il paziente può perdere la capacità di nominare animali ma non oggetti fabbricati dall’uomo, o viceversa, il che suggerisce che nei processi cognitivi gli animali vengono «categorizzati» in classi differenti rispetto agli oggetti inanimati.
È doveroso notare a questo proposito che non tutti gli studiosi accettano questa interpretazione dell’agnosia selettiva. Secondo alcuni, l’incapacità di riconoscere specificamente gli animali sarebbe dovuta al fatto che, mentre gli artefatti (un martello, un vaso, un bicchiere) mostrano poca variabilità, gli animali tendono a mostrare una grande variabilità interindividuale. Per questo motivo sarebbe più facile perdere la capacità di riconoscere animali che non oggetti inanimati. Tuttavia, questa ipotesi alternativa non spiega come mai ci sono pazienti che hanno perso selettivamente la capacità di nominare oggetti inanimati.(5)

Infine, un’osservazione molto interessante fatta per la prima volta da Gunnar Johansson(6) e poi confermata da molti altri ricercatori è che, se vengono applicati dei punti di riferimento luminosi sulle braccia, il tronco e le gambe di una persona, e sono visibili solo questi punti luminosi, finché la persona è ferma è impossibile percepire la forma sottintesa, ma la percezione di un corpo umano in movimento è immediata se la persona si muove; non solo, è anche facile percepire di che tipo di azione si tratti. Questi esperimenti confermano che uno degli elementi che ci permettono di percepire un essere come vivente è che le sue parti manifestano un movimento coordinato e specifico per quel particolare essere vivente.(7)
È opportuno ricordare che nella filosofia aristotelica si intende per movimento non solo il movimento locale, ma in generale qualsiasi cambiamento, per esempio l’accrescimento, lo scambio di materia ed energia con l’ambiente e, più in generale, il fatto di «essere attivo», dunque anche l’essere capace di conoscere e di agire.
Aristotele dice esplicitamente che l’azione è un tipo di movimento. La capacità di muovere se stesso (auto-movimento) è dunque una proprietà fondamentale del vivente, ma assume caratteristiche sempre più immateriali man mano che si sale nella scala dei viventi.
Tuttavia è chiaro che il movimento, per quanto causato dall’interno, non appare sufficiente di per sé per garantire la vita. Si può dire che il movimento è alla base di tutti i fenomeni biologici, ma la vita non può essere ridotta a movimento.(8)

 

Movimento finalizzato e coordinato

 

Come già detto, oltre a essere originato dall’interno, negli organismi viventi il movimento è finalizzato.
I motori molecolari che sono alla base dei processi vitali devono agire con un fine unitario, altrimenti il moto risultante sarebbe puramente casuale, e dunque l’effetto netto sarebbe nullo, in quanto un motore muoverebbe in una direzione e un altro nella direzione opposta. Invece vediamo che non è così già nel caso di un semplice organismo unicellulare, per esempio un paramecio, che si muove verso una sorgente di nutrimento.
Il movimento del paramecio richiede il battito coordinato di circa 3000 ciglia, ciascuna mossa da un proprio motore molecolare, un po’ come una barca mossa da un gran numero di rematori.

 

Random Walk

Gli esseri viventi manifestano moltissime differenti modalità di movimento finalizzato. Forme semplici sono i tropismi e l’accrescimento orientato, che si osservano nei vegetali e, in modo ancora più interessante, nello sviluppo embrionale sotto forma di migrazione cellulare coordinata di intere popolazioni cellulari, che è alla base della morfogenesi.
È stato dimostrato che, se una cellula dotata di motilità viene isolata dal tessuto e messa in coltura, non rimane immobile, ma inizia a manifestare un movimento non orientato a un fine, come se si fosse «smarrita»: questo tipo di movimento a zig-zag manifesta le proprietà del random walk. Non sappiamo ancora se la causa del random walk è intrinseco alla cellula o se dipende da fluttuazioni casuali dell’ambiente esterno che circonda la cellula.
Anche questo è un esempio di controllo duale: in condizioni fisiologiche, per esempio all’interno dell’embrione, vi è un principio organizzatore superiore che orienta il movimento della cellula, se la cellula viene isolata dal tessuto, questo principio si perde, e la cellula obbedisce a un principio intrinseco di movimento «indeterminato» e casuale, come nel caso del moto browniano. Tuttavia, a differenza del moto browniano, il moto della cellula è un moto vitale.

 

Il problema del coordinamento delle parti in un tutto è un tema ricorrente in biologia: oltre al già citato battito coordinato delle ciglia del paramecio, si potrebbero fare numerosi altri esempi: la contrazione coordinata e ritmica delle fibre del muscolo cardiaco, basata sulla capacità di alcune cellule del cuore di autoeccitarsi, l’oscillazione di popolazioni neuronali, che è alla base di programmi motori ciclici come per esempio la respirazione oppure il cammino, ma anche di processi percettivi come il riconoscimento di oggetti.
Il meccanismo generale è quello del cosiddetto entrainment, ossia della sincronizzazione di oscillatori biologici, che è un tema di ricerca molto attuale.
La presenza di questi oscillatori biologici, responsabili non solo di fenomeni ciclici in un singolo organo (per esempio il battito cardiaco) ma anche di ritmi biologici che coinvolgono tutto l’organismo, come per esempio il ritmo sonno-veglia, indica la necessità di un coordinamento centrale. In certi casi, i ritmi biologici richiedono l’intervento degli organi di senso: in assenza di cicli di luce-buio, gli oscillatori responsabili per il ciclo sonno-veglia si stabilizzano sul proprio ritmo intrinseco, la cui durata è leggermente superiore alle 24 ore. I cicli luce-buio trascinano gli oscillatori a un ritmo della durata esatta di 24 ore. Negli animali superiori troviamo un importante centro di coordinamento e integrazione di vari organi e sistemi: l’ipotalamo.(9)
Un pioniere delle ricerche sul ruolo dell’ipotalamo, forse oggi un po’ troppo trascurate, è il fisiologo svizzero Walter Rudolf Hess, premio Nobel per la Medicina nel 1949. Hess fu il primo a osservare che, stimolando elettricamente regioni circoscritte dell’ipotalamo del gatto, si potevano ottenere intere sequenze comportamentali, indistinguibili dai comportamenti spontanei manifestati dal gatto.
All’epoca il fatto che una stimolazione di una regione molto circoscritta del cervello potesse innescare intere sequenze comportamentali risultava veramente sorprendente, perché l’ipotesi corrente prevedeva che nell’ipotalamo ci fosse una mappa somatotopica dei singoli organi interni (il cuore, il tubo digerente, la vescica urinaria, eccetera), analoga alla rappresentazione dei singoli muscoli scheletrici nella corteccia motoria primaria, precedente¬mente scoperta da Wilder Penfield per mezzo di stimolazione elettrica della corteccia cerebrale.
Così per esempio, Hess scrive quanto riportato nel riquadro seguente.

 

«Stimolando un’area circoscritta della zona ergotropica (dinamogenica) avviene regolarmente un manifesto cambiamento dell’umore. Persino un gatto di natura pacifica diventa aggressivo; inizia a sputare saliva e, se avvicinato, lancia un attacco mirato. Le pupille si dilatano e contemporaneamente il pelo si rizza, e si instaura un quadro simile a quello mostrato dal gatto quando è attaccato da un cane e non può scappare. La dilatazione delle pupille e la piloerezione sono facilmente comprensibili come un effetto del simpatico. Ma lo stesso non può dirsi delle alterazioni psicologiche. Per spiegare queste ultime è necessario prendere in considerazione connessioni tra ipotalamo, talamo e corteccia cerebrale. […] In molti casi ove lo stimolo applicato al diencefalo causa defecazione, essa non è semplicemente provocata dalla peristalsi del colon e del retto. Particolarmente quando lo stimolo viene applicato alle regioni più rostrali, il gatto assume la normale postura per la deposizione fisiologica delle feci; dunque lo stimolo attiva la muscolatura scheletrica, che è innervata dall’asse cerebrospinale, e che è inoltre responsabile della pressione dei muscoli addominali.»
W.R. Hess, Nobel Lecture, 12 dicembre 1949. Traduzione ital. dell’autore. Testo originale in www.nobel.se.

 

È interessante rilevare come, a partire dalle sue osservazioni sperimentali, Hess insista spesso su ciò che potremmo chiamare «unità irriducibile dell’organismo».
Eccone alcuni esempi: «Perché anche l’uomo, nella salute o nella malattia, non è semplicemente la somma dei suoi organi, ma è un organismo umano […]. Il fatto è che persino gli stimoli più circoscritti e tenui non portano mai alla luce un sintomo isolato collegato ad un unico organo. In ogni caso compare una sintomatologia di gruppo. È sempre un gruppo di organi che è chiamato a entrare in azione, e ciò in modo tale che gli effetti individuali siano combinati, in conformità con il principio del coordinamento sinergico».(10)
È importante notare che gli schemi comportamentali innescati dalla stimolazione elettrica dell’ipotalamo non riguardano solo i sistemi sensitivi e i sistemi motori, ma anche l’espressione di emozioni (almeno di emozioni elementari quali per esempio rabbia, paura, eccetera), appare dunque a questo livello di indagine la triade sensibilità-motricità-emozioni caratteristica degli animali superiori.
L’intuizione di Aristotele secondo la quale «pare che l’essere animato si distingua dall’inanimato soprattutto per due proprietà: il movimento e la sensazione»(11) appare tuttora sostanzialmente valida.

Come abbiamo visto, la percezione, l’elaborazione di informazioni provenienti dagli organi di senso, è necessaria affinché il movimento possa essere diretto verso un fine anche a fronte di circostanze esterne mutevoli e imprevedibili.

 

Movimento e percezione: il modello cibernetico

 

Sull’integrazione di movimento e percezione è basato il modello ciber¬netico dell’organismo vivente. Ci sono macchine costruite dall’uomo che, grazie all’integrazione tra percezione e movimento, sono in grado di perseguire dei fini in modo altamente «intelligente», senza necessità di una guida esterna.
Abbiamo già fatto l’esempio del robot costruito per trovare fughe di gas; possiamo ora pensare a un robot che cerca da solo pietre su Marte: tramite una telecamera il robot analizza la scena visiva e confronta le forme e i colori degli oggetti che appaiono nel campo visivo della telecamera con una libreria di forme che ha in memoria, se il confronto supera determinati criteri di corrispondenza, allora l’oggetto viene classificato come «pietra» e il robot attiva un programma motorio per raccoglierla.
Macchine «intelligenti» di questo genere rendono evidente che ciò che, in ultima analisi, guida l’integrazione tra movimento e percezione è il fine per il quale la macchina è stata costruita. In questo caso si tratta di un fine limitato che viene rigidamente perseguito: la macchina non condivide l’interesse per l’esplorazione di Marte con gli ingegneri che l’hanno costruita, non si pone domande, non si meraviglia, non è curiosa, non si appassiona alla ricerca; se compare un oggetto che non rientra nella categoria «pietra», la macchina lo scarta automaticamente, anche se, dal punto di vista dell’esplorazione di Marte, potrebbe essere molto più interessante di una volgare pietra, per esempio un oggetto smarrito da un eventuale abitante di Marte.(12)

 

Il fine guida l’azione dei viventi

 

Che la finalità interna, l’essere orientato intrinsecamente verso un fine, sia¬no caratteristiche essenziali della vita è stata riconosciuto da molti filosofi, antichi (Aristotele) e moderni (Hegel, Spaemann).
Una delle tesi fondamentali dell’opera di Étienne Gilson, Da Aristotele a Darwin e ritorno (Marietti, Genova-Milano 2003), è che il concetto di «adattamento», che è un concetto chiave della biologia moderna, ha di fatto lo stesso significato del termine «fine». Come esemplificano alcune frasi riportate nel riquadro seguente.

 

«Pulchrum index veri! Se ciò è vero per la fisica, quanto più dev’esserlo per la biologia! Non essendo la parola “finalità” più di moda, si preferisce parlare di adattamento, ma il significato è lo stesso.
Nel capitolo III de
L’origine delle specie Darwin non esitava a scrivere “Noi vediamo dei belli e curiosi adattamenti ovunque nel mondo organico” […].» (p. 37-38).
«Forse il filosofo può apprendere qualcosa da Lamarck. Cioè che qualsiasi adattamento può esser letto come una fina¬lità, e pure una finalità doppia a seconda che si consideri ciò che si adatta o ciò a cui esso si adatta.» (p. 78).
«L’adattamento di un organismo all’ambiente e alle sue condizioni di esistenza, e quello delle parti di un organi¬smo alle altre sue parti, non sono comprensibili se non dal punto di vista del loro risultato finale. In ciò consiste appunto l’essere ad-atto». (p. 135-136).

 

Occorre precisare che non si deve voler trovare a ogni costo una finalità in qualsiasi fenomeno biologico: esistono fenomeni biologici che non hanno uno scopo, ma derivano per esempio da «necessità costruttive», e rappresentano una «memoria storica» di un precedente stadio di sviluppo.
Per esempio il philtrum, la scissura del labbro superiore, è semplicemente dovuto al fatto che il labbro superiore è generato dalla saldatura delle due metà durante lo sviluppo embrionale, si tratta dunque di una «necessità costruttiva».
Riassumendo, possiamo affermare che è il fine che guida l’azione degli esseri viventi, e negli animali, dotati di sensibilità e movimento, interven¬gono come terzo elemento le emozioni, che non solo «colorano» l’esperienza soggettiva, ma anche determinano la «caparbietà» con la quale l’organismo persegue il suo fine e asserisce se stesso, in situazioni di avversità, per esempio per mezzo della ricerca di strategie nuove quando quelle vecchie si rivelano inefficienti.
Hans Jonas ha giustamente sottolineato che la «preoccupazione per il proprio essere», che si manifesta nei viventi inferiori attraverso il metabolismo, si esprime nei viventi superiori per mezzo delle «emozioni» (passioni, motivazione): «The cybernetical model reduces animal nature to the two terms of sentience and motility, while in fact it is constituted by the triad of perception, motility, and emotion. Emotion, more basic than the two it binds together, is the animal translation of the fundamental drive which, even on the undifferentiated preanimal level, operates in the ceaseless carrying-on of the metabolism […]. There is no analogue in the machine to the instinct of self-preservation – only to the latter’s antithesis, the final entropy of death.»(13)
Il ruolo essenziale della motivazione e della curiosità (che come detto appartiene al mondo delle emozioni o passioni) nell’apprendimento, è forse uno degli aspetti che differenzia maggiormente l’apprendimento umano – e in parte anche quello animale – da quello di un automa.

 

Agenti Autonomi/Organismi Naturali

I moderni robot non sono automi rigidi, «orologi»; dispongono di una notevole intelligenza interna insieme a capacità di interagire con l’ambiente e di apprendere per mezzo di imitazione; ciò permette di sviluppare comportamenti nuovi, che non sono pre-programmati; per definire questa nuova generazione di automi è stato coniato il termine «agenti autonomi». È evidentemente possibile ingannarsi e prendere per vivente una cosa che non lo è. È forse anche possibile scambiare un essere vivente per una macchina, come è successo a una ragazzina alla quale il nonno aveva regalato un gatto e, contentissima, aveva chiesto al nonno di fornirle anche le pile per il gatto! È pensabile che la robotica umanoide e animaloide arriverà a sviluppare agenti autonomi il cui comportamento risulti indistinguibile dal corrispondente organismo naturale (e allora si potrebbe riproporre il famoso test di Turing, per definire se un automa può essere considerato «vivo» oppure no). Questo agente potrebbe essere dunque essere considerato come un «essere vivente»? Penso di no.
Uno dei motivi mi sembra risiedere nel fatto che al concetto di vita biologica (vita come βιοζ) è strettamente connesso il concetto di un corpo biologico: cioè un corpo soggetto a generazione, accrescimento, differenziamento, decadimento e morte.
Un organismo artificiale che non fosse soggetto a questi processi non sarebbe vivo nel senso pieno del termine. Per esempio, oggi sono in corso ricerche per comprendere l’apprendimento nel bambino simulandolo con un robot dotato di capacità motorie simili a un bambino piccolo in grado di «gattonare», ma non di camminare. Tuttavia chi lavora con bambini sa benissimo che l’apprendimento non è un fenomeno lineare, ma è caratterizzato da salti improvvisi seguiti da lunghi periodi di stasi, che non hanno nessuna ragione apparente; inoltre si osservano spesso anche regressioni a stadi più primitivi, si tratta di un fenomeno normale se è temporaneo, patologico se è permanente (per esempio autismo regressivo).
I salti qualitativi hanno spesso origine dalla necessità del bambino di risolvere problemi, per esempio come raggiungere un oggetto di suo interesse, come manipolarlo in modo da ottenere il risultato voluto. Inoltre l’apprendimento avviene attraverso la strategia del trial and error. Inizialmente il bambino impara a manipolare l’oggetto in modo poco efficiente (per esempio impugnare la matita con tutta la mano), poi passa a una presa più precisa, a tre dita, però in certe situazioni regredisce alla presa più primitiva.

 

 

Caso e finalità nell’ontogenesi degli organismi pluricellulari

 

Gli organismi pluricellulari non sono immediatamente generati tramite fissione di una cellula, ma hanno origine da un organismo primordiale molto meno differenziato, che chiamiamo «embrione», attraverso due processi fondamentali: l’accrescimento (moltiplicazione cellulare) e il differenziamento (cellule indifferenziate danno origine a cellule specializzate).

L’ontogenesi si trova confrontata con due problemi fondamentali: il fatto che la scala dei tempi della morfogenesi è vari ordini di grandezza (giorni, settimane, mesi, a seconda della specie) maggiore rispetto alla scala dei tempi delle reazioni chimiche che avvengono nell’organismo; il fatto che l’organismo in fase di sviluppo si trova confrontato con circostanze ambientali mutevoli e imprevedibili.
La finalità intrinseca è particolarmente osservabile nell’ontogenesi e nei processi di auto-riparazione, entrambe caratteristiche degli essere viventi, che ci porta ad ammettere la necessità di un «piano interno» di sviluppo.
La natura inanimata non è capace di auto-organizzarsi: delle assi di legno non hanno la forza intrinseca di diventare lo scafo di una nave. Per fare un esempio della vita quotidiana, se porto la macchina dal meccanico per riparare un pezzo rotto, per esempio la ventola del radiatore, il meccanico sostituirà il pezzo con un altro ventilatore, non con un’elica di aereo. In questo caso il principio costruttivo è esterno alla macchina, era nella mente dell’ingegnere che ha progettato la macchina ed è passato, almeno nei suoi elementi essenziali, nella mente del meccanico. La macchina non può auto-ripararsi, per la stessa ragione che la macchina non si è auto-organizzata: non esiste una macchina embrionale, una macchina bambina, una macchina adulta e una macchina vecchia (diciamo che una macchina è «vecchia» in contrasto con «nuova»). La macchina viene costruita da un principio esterno, assemblando pezzi pre-esistenti che hanno già la loro forma propria.
È invece caratteristica degli organismi naturali o artificiali caratterizzati da auto-organizzazione che essi possono ripararsi da sé, perché il loro principio costruttivo è loro intrinseco.

 

Algoritmi Genetici nella Robotica Evoluzionistica

Un esempio avanzato di auto-organizzazione lo troviamo nei metodi di ottimizzazione basati sui cosiddetti «algoritmi genetici», che trovano una particolare applicazione nella robotica evoluzionistica: si tratta di forme robotiche che si evolvono in silico attraverso successivi processi di mutazione e selezione in base a una pres¬sione evolutiva, per esempio la necessità di percorrere una determinata distanza nel minimo tempo possibile (cfr. Brooks R., From robot dreams to reality; Nature 406: 945-947).
Per il momento si tratta di forme robotiche simulate, che devono essere poi fisicamente costruite dall’uomo; non è tuttavia impensabile che, in futuro, esse possano essere realizzate da un altro robot (come succede già oggi nell’industria automobilistica). Si tratta di una linea di ricerca particolarmente interessante, soprattutto perché potrebbe portarci a capire il contributo del nostro universo fisico, per esempio del campo gravitazionale terrestre, nel privilegiare determinate forme di organizzazione dei viventi piuttosto che altre. È possibile che in un differente campo gravitazionale si svilupperebbero forme di vita nuove. Dunque, anche l’universo fisico contribuisce a creare i paesaggi morfogenetici di cui si parla in altra sede.

 

Jacques Monod ha introdotto il concetto di «teleonomia» (che significa etimologicamente l’essere governato dai fini) per caratterizzare gli esseri viventi: «Una delle proprietà fondamentali che caratterizzano gli esseri viventi senza eccezione, è di essere oggetti dotati di un progetto che ad un tempo rappresentano nella loro struttura e realizzano nelle loro attività […]. Invece di rifiutare quest’idea, […] dovremmo riconoscerla come essen¬ziale alla definizione stessa di esseri viventi. Diremo che questi ultimi si distinguono dalle strutture di tutti gli altri sistemi presenti nell’Universo per questa proprietà, che chiameremo teleonomia.»(14)
Il modello di Turing della morfogenesi,(15) un modello matematico che, a partire da uno stato iniziale dove la concentrazione di segnali morfogenetici è uniforme, è in grado di generare delle variazioni spaziali di concentrazione di segnali, permette di capire in che modo uno stato iniziale indifferenziato possa evolvere in uno stato finale caratterizzato da una organizzazione precisa senza l’intervento di un principio estrinseco: a seconda delle condizioni iniziali (per esempio la topologia delle cellule che costituiscono il sistema) e di piccole differenze nei parametri scelti, il sistema si auto-organizza raggiungendo differenti stati finali, tutti caratterizzati da una distribuzione non omogenea dei segnali (per esempio le chiazze del pelo degli animali).
Il modello di Turing ha valore predittivo: per esempio arriva a predire correttamente come la forma delle chiazze cambia in funzione della taglia dell’animale. Già Turing suggeriva che un tale modello poteva rappresentare un meccanismo attraverso il quale i geni possono determinare la struttura anatomica dell’organismo. Dato un sistema di equazioni e i valori di determinati parametri, lo stato finale è già delineato all’inizio, anche se può essere impossibile predire rigorosamente quale sarà questo stato finale, a causa della non-linearità delle equazioni o della casualità delle perturbazioni.
Il fatto che ne possiamo fare una descrizione matematica con valore predittivo significa che abbiamo capito, almeno parzialmente, il meccanismo attraverso il quale un sistema biologico può evolversi, creando un artificio (in questo caso un costrutto matematico) che imita i processi naturali di sviluppo.
Per citare di nuovo Aristotele: l’arte imita la natura, dunque la natura deve avere delle analogie con l’arte. E Tommaso arriva a definire la Natura come ratio artis divinae indita rebus.
L’ontogenesi è un fenomeno particolarmente interessante per l’identificazione dello «specifico» della vita. Essa può essere intesa come un progressivo adattamento dell’organismo ad ambienti sempre più complessi, dapprima come zigote all’interno del corpo della madre, poi come neonato nell’ambiente genitoriale e familiare, poi come bambino nell’ambiente tipico dell’infanzia, poi nella scuola, nella società.(16)

 

L’ontogenesi: non solo DNA

 

Si è soliti affermare che tutta l’informazione necessaria per lo sviluppo di un organismo è contenuta nel suo DNA. Tuttavia il codice genetico, da solo, non è in grado di fare alcunché, se non ha una materia proporzionata da informare, la materia vivente appunto. La pura informazione genetica, per esempio quella deposta sotto forma di sequenze in un computer, è inerte.
Gli acidi nucleici possono agire solo mediante altre macromolecole come i lipidi e le proteine. Inoltre, come già accennato, si è recentemente scoperto che l’informazione genetica contenuta nel genoma non è inva¬riabile ma è plastica. Durante le prime fasi di sviluppo embrionale, il DNA viene modificato da fattori che dipendono dall’ambiente.(17)
L’ambiente agisce modificando il genoma in maniera unica e irripetibile.
In sintesi, il DNA non controlla deterministicamente la morfogenesi, ma fornisce solo delle condizioni al contorno, ossia dei piani costruttivi approssimativi per la morfogenesi. Michael Polanyi scrive che: «[…] il DNA evoca l’ontogenesi dei livelli superiori, piuttosto che determinare questi livelli».(18)
Richard Lewontin esprime lo stesso concetto in termini più precisi: «The organism is determined neither by its genes nor by its environment nor even by the interaction between them, but bears a significant mark of random processes. The organism does not compute itself from the information in its genes nor even from the information in it genes and the sequence of environments. The metaphor of computation is just a trendy form of Descartes’s metaphor of the machine. Like any metaphor, it catches some aspect of the truth but leads us astray if we take it too seriously».(19)
In termini di teoria dei sistemi complessi, si potrebbe dire che il programma genetico crea una serie di «paesaggi morfogenetici» specie-specifici che l’embrione percorre durante il suo sviluppo. Pur essendo costretto a rimanere all’interno di un particolare paesaggio – infatti uno zigote equino può dare origine solo a un cavallo, uno zigote umano solo a un uomo – l’embrione percorre il suo percorso individuale e irripetibile, a causa di due ulteriori fattori fondamentali: la variabilità dell’ambiente e il «rumore di fondo» che caratterizza i processi metabolici.
Lewontin parla di una «tripla elica» che guida l’evoluzione degli organismi viventi, formata dai geni, dall’ambiente e dal «rumore di fondo» dei processi di sviluppo (developmental noise).

L’individualità di ogni organismo non è da cercare, dunque, solo in una sequenza di basi unica, ma anche – e forse ancora di più – nel suo percorso evolutivo unico e irripetibile, nella sua traiettoria vitale, in breve nella sua storia.

 

Particelle/Batteri

L’idea della biologia come scienza storica è stata sviluppata dal fisico Mario Ageno, allievo di Enrico Fermi e professore di Biofisica all’Università di Roma. Riferisce a questo proposito un suo allievo, A. Giuliani, che Mario Ageno iniziava invariabilmente le sue lezioni di biofisica con il seguente quesito: «Immaginate questi due sistemi, il sistema A è un reattore nucleare con dentro un isotopo radioattivo che ogni tanto, in maniera singolarmente impredicibile ma con un’emivita statisticamente definibile si scinde in due parti e poi in quattro, otto, sedici, eccetera; il sistema B è invece un reattore biologico dove un batterio ogni tanto, in maniera singolarmente impredicibile ma con un tempo di raddoppio statisticamente definibile da vita a due cellule, poi a quattro, poi a otto, sedici, […] quale è la differenza essenziale tra A e B?»
Gli studenti rispondevano con ipotesi tipo «in uno devo mettere il cibo, nell’altro no». Ageno spiegava che questo non era essenziale in quanto anche la reazione nucleare andava «alimentata». Alla fine Ageno, con un sorrisetto, diceva: «Le particelle sono uguali a tutti gli effetti, i batteri sono uno diverso dall’altro e questo rende la biologia una scienza storica in cui noi raccontiamo quello che è avvenuto e avviene ma mai ciò che deve accadere».

Embriogenesi come processo non lineare

 

L’embriogenesi può essere considerata come un processo evolutivo molto sensibile alle condizioni iniziali che, grazie al fatto che si svolge lungo una scala di tempo estremamente lunga rispetto ai singoli processi sui quali essa si basa, porta all’amplificazione di piccolissime differenze iniziali, in modo che il risultato finale è molto differente, sebbene le condizioni iniziali differiscano di pochissimo.
L’embrione potrebbe dunque essere assimilato a un sistema dinamico non-lineare, nel quale compaiono traiettorie che non sono periodiche, essendo costituite da valori che non coincidono mai con un valore già ottenuto. La considerazione della morfogenesi come un sistema complesso non-lineare è coerente con l’idea dell’individualità e irripetibilità di ogni embrione, perché fa capire come persino le traiettorie di sviluppo di due embrioni geneticamente identici ed esposti allo stesso ambiente (situazione impossibile da raggiungere ma alla quale si avvicinano i gemelli mo¬nozigoti) possano arrivare a essere differenti.
L’embriogenesi è dunque un esempio biologico del noto «effetto farfalla», scoperto da Edward Lorenz,(20) meteorologo del MIT, secondo il quale un battito d’ali di una farfalla in California può provocare un uragano a migliaia di chilometri di distanza dopo alcuni giorni. L’effetto di Lorenz è un esempio di caos deterministico, ovvero di «determinismo senza prevedibilità», ovvero di contingenza.

 

L’effetto di Lorenz può essere descritto da un sistema di tre equazioni differenziali lineari, nel quale non interviene nessun termine aleatorio (nessuna funzione probabilistica). Piccolissimi errori di calcolo (per esempio introdotti dal calcolatore per l’arrotondamento dei decimali) oppure errori di misura dei parametri iniziali vengono amplificati dall’applicazione ripetuta delle equazioni, per cui il risultato finale diverge esponenzialmente.
L’espressione «determinismo senza prevedibilità» è di Etiènne Gilson, in op. cit., p. 173.

 

L’analogia dell’embriogenesi con il caos deterministico potrebbe aiutare a spiegare perché specie geneticamente molto simili, per esempio l’uomo e le grandi scimmie antropomorfe, che si distinguono «solo» per circa il 5% del patrimonio genetico, arrivino a essere fenotipicamente molto differenti.
Questa differenza di «solo» il 5% viene spesso portata, nella divulgazione scientifica, come prova della sostanziale identità tra uomo e primati. Che ciò avvenga è indice di una comprensione molto approssimativa delle pe-culiarità del rapporto tra genotipo e fenotipo di un organismo. Sottesa a questo «solo» è l’idea che ad una differenza del 5% a livello genotipico corrisponda una differenza equivalente delle caratteristiche fenotipiche, incluse quelle di alto livello, quali la cultura, il linguaggio, il pensiero.
Il punto è che il genotipo e il fenotipo sono due livelli di organizzazione molto distanti tra di loro e che conosciamo ancora molto poco delle «leggi» che collegano i due livelli. Inoltre nel fenotipo confluiscono un numero enorme di fattori elementari, che portano appunto al verificarsi di effetti contingenti. Come riportato nel riquadro seguente, scrive a questo proposito Cornelio Fabro.

 

«Né si nega l’esistenza delle leggi fisiche e biologiche: dette leggi si comportano come leggi statistiche e continuano ad avere nel mondo macroscopico una certezza di approssimazione che equivale a certezza “tout court”, dato il numero enorme di fattori che sono in gioco in tale sfera di esperienza: così si può sempre collocare con precisione praticamente assoluta la velocità della caduta di un grave nel vuoto, o l’effetto di una reazione chimica di laboratorio o di un incrocio fra due specie di piante o fra due razze di animali note. Soltanto che oggi sappiamo che questi non sono più da considerare fenomeni elementari ma globali, cioè essi sono la risultante globale di una quantità enorme di fenomeni elementari il cui comportamento – sia di ciascuno in se stesso come rispetto agli altri con i quali interferisce – è per l’appunto imprevedibile, perché polivalente e perciò indeterminato o contingente che dir si voglia».

(C. Fabro, “Contingenza” nel mondo materiale e indeterminismo fisico, in Il problema della scienza, Atti del IX Convegno di Studi tra Proff. Universitari, Gallarate 1953, Morcelliana, Brescia 1954) 

 

Il lavoro di Turing sulla morfogenesi è stato davvero rivoluzionario perché ha rappresentato un primo passo nella giusta direzione. Di fatto il modello di reazione-diffusione di Turing, e gli ulteriori sviluppi di questo modello, hanno permesso di capire come piccole variazioni iniziali di concentrazione di sostanze morfogenetiche possano dare origine a forme notevolmente differenti.
Studi teorici e sperimentali più recenti dimostrano che in molti casi di morfogenesi è necessario prendere in considerazione, oltre ai gradienti chimici di sostanze morfogenetiche (modello di Turing) anche le forze meccaniche generate tra le cellule migranti e la matrice extracellulare. Si parla in questo caso di modelli meccano-chimici della morfogenesi.(21)
L’insistere solo sulle differenze di patrimonio genetico per spiegare le differenze anatomiche tra uomo e animali, o peggio ancora per giustificare determinati comportamenti, è troppo riduttivo, perché trascura i contributi della moderna embriologia sperimentale. Significa di fatto accettare il paradigma del determinismo genetico che domina la «scienza popolare» contemporanea, che però, come abbiamo appena visto, è assolutamente ingiustificato. Steven Pinker ha espresso questo in una battuta: «Se ai miei geni non piace quello che faccio, possono anche buttarsi a mare».(22)

 

Il paesaggio morfogenetico

 

Anche nella morfogenesi vediamo che il caso viene imbrigliato affinché lo sviluppo dell’embrione segua il corso previsto. L’embrione può essere paragonato a un sistema fatto da numerosissimi elementi che lasciati a sé si comporterebbero in modo aleatorio, ma che all’interno di un «paesaggio morfogenetico» gli elementi si comportano come un sistema coerente unitario.
Lo sviluppo embrionale potrebbe essere perciò paragonato a un gioco nel quale vengono costantemente gettati dei dadi (e ciò rappresenta il «rumore di fondo»), e sull’esito del lancio influiscono sia il patrimonio genetico che le condizioni ambientali.
Un esempio reale che le cose stanno effettivamente così è fornito dalla determinazione della asimmetria destra-sinistra del corpo. La causa della asimmetria è un segnale morfogenetico diffusibile che in condizioni normali viene deviato dal battito di ciglia verso una delle due metà dell’embrione. In assenza di questo movimento il risultato non è, come ci si potrebbe aspettare, l’inversione della posizione degli organi nel 100% dei casi, ma solo nel 50% dei casi: la posizione degli organi risulta casuale, come se fosse stabilita dal lancio di una monetina.(23)

Abbiamo qui, mi sembra, un esempio di controllo duale, dove le leggi della fisica e della chimica, che a questo livello non hanno una direzione preferenziale di azione (sono aleatorie), sono imbrigliate da «paesaggi morfogenetici».(24)
Questi paesaggi possono essere compresi come qualcosa di simile ai «paesaggi di energia» nei sistemi complessi. Dunque il «rumore di fondo» è il terzo elemento che si aggiunge al codice genetico e ai fattori ambientali, e svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo degli organismi.
Come vedremo più avanti, la teoria della «risonanza stocastica» ci fornisce una chiave di lettura del ruolo del rumore di fondo come meccanismo di amplificazione dei deboli segnali morfogenetici che guidano l’ontogenesi.

 

Gli attrattori caotici

 

Lo studio dei sistemi caotici ha portato alla scoperta di attrattori cao¬tici, ossia configurazioni che il siste¬ma tende a raggiungere a partire da qualsiasi punto. Gli organi (il cuore, il fegato, eccetera) nei quali vanno configurandosi i tessuti embrionali potrebbero essere considerati ap¬punto come degli attrattori caotici.
La forma stessa dell’embrione (umano, equino, eccetera) potrebbe essere concettualizzata come un attrattore caotico. Gli attrattori caotici dimostrano che in natura possono agire anche cause finali, e non solo cause meccaniche. Per questo motivo mi sembrerebbe interessante per la filosofia sviluppare una vera e propria ontologia dei sistemi complessi non deterministici.
È importante sottolineare che la forma anatomica degli organi è molto importante e può rendere possibile «salti evolutivi» perché rende una determinata specie capace di qualcosa di totalmente nuovo e ricco di conseguenze: pensiamo alle caratteristiche strutturali specifiche del corpo umano, quali per esempio la locomozione bipede, la forma e mobilità della mano, la struttura dell’apparato fonatorio, eccetera, che rendono possibile lo sviluppo di capacità meta-genetiche (o meta-biologiche), quali il linguaggio, la storia, le teorie scientifiche, le istituzioni sociali, le opere d’arte, eccetera, che permettono all’uomo di liberarsi, almeno entro certi limiti, dalla «schiavitù» dei processi vitali inferiori (pensiamo per esempio alla nutrizione artificiale, alle protesi, agli organi artificiali che possono aiutare o persino sostituire la funzione di organi corporei malati). È in questa prospettiva, più che in quella genetica, che emergono chiaramente l’unicità e il carattere trascendente dell’essere umano.
Per concludere questa sezione, possiamo affermare che una caratteristica fondamentale della vita è quella di «imbrigliare» processi di tipo aleatorio, non orientati oppure orientati in maniera poco precisa, per ottenere fini precisi. In questo senso l’ontogenesi e il funzionamento degli organismi appaiono simili a un gioco. È perciò probabile che la teoria dei giochi possa in futuro aiutarci a comprendere con maggiore profondità la natura dei processi vitali.
Ha ragione Max Born quando afferma: «If God has made the world a perfect mechanism, he has at least conceded so much to our imperfect intellect that in order to predict little parts of it, we need not solve innumerable differential equations, but can use dice with fair success».(25)
Espressione che in italiano suona: «Se Dio ha fatto del mondo un meccanismo perfetto, ha per lo meno fatto questa concessione al nostro intelletto imperfetto: che al fine di predire piccole porzioni di esso, non dobbiamo risolvere innumerevoli equazioni differenziali, ma possiamo usare i dadi con un certo successo».

 

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Flavio Keller
(Ordinario di Neurofisiologia presso l’Università “Campus Biomedico”, Roma)

 

 

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Le immagini che corredano questo articolo sono fotografie di Anna Camisasca.

 

 

Note

  1. E. Schrödinger, Che cos’è la vita?, Sansoni, Firenze 1998, p. 10.
  2. E. Schrödinger, op. cit., p. 21.
  3. Ovviamente il laser, il microscopio e altri «amplificatori» costruiti dall’uomo sono frutto della mente dell’uomo, che riesce a conoscere le proprietà della luce e a utilizzarle per ottenere uno scopo
  4. Cfr.: D.W. Thompson, Crescita e forma, Bollati Boringhieri, Torino 1969.
  5. Cfr.: Rodd, J. M., Bright, P., & Moss, H. E. (2002), Tigers and teapots: What does it mean to be alive? Trends in Cognitive Sciences, 6(10), 409-410.
  6. Johansson G., Visual percep¬tion of biological motion and a model for its analysis, Percept Phychophys 14, 201-211 (1973).
  7. Può essere difficile percepire il movimento quando esso è molto lento: così, per esempio, anche le piante sono in grado di muoversi, per quanto molto lentamente (pensiamo ai girasoli, oppure alle foglie che si aprono e si chiudono a seconda dell’umidità). È indubbio che, soprattutto oggi, tendiamo ad associare la capacità di muovere se stessi, la mobilità, con la bellezza e la «qualità della vita», e la perdita di questa capacità con una perdita di qualità di vita, come dimostrato dal dibattito sull’eutanasia in casi di malattie paralizzanti.
  8. Anche la metafisica dice che il movimento, per quanto causato dall’interno, non può essere l’unica caratteristica della vita: infatti Dio, il Vivente per antonomasia e fonte di qualsiasi vita, atto puro e primo motore di qualsiasi altro atto, non è soggetto a cambiamento, sebbene sia perfetta attività spirituale di conoscenza e amore.
  9. L’ipotalamo è un’area diencefalica situata tra il talamo e l’infondibolo dell’ipofisi, che nell’uomo raggiunge un volume di alcuni centimetri cubici.
  10. W.R. Hess, op. cit.
  11. Aristotele, De Anima, A, 2, 403 b, ed. italiana, Rusconi, Milano 1996.
  12. L’esempio del robot sviluppato qui mi è stato suggerito da Christian Cherubini, al quale vanno i miei ringraziamenti.
  13. Cfr.: Hans Jonas, Cybernetics and Purpose: a Critique, In The Phenomenon of Life. Toward a Philosophical Biology, cap. 5. Northwestern Unversity Press 2001.
  14. J. Monod, Il caso e la necessità, Mondadori, Milano 2001 (sesta ed.), p. 22.
  15. A. M. Turing, The Chemical Basis of Morphogenesis, Philos. Trans. Royal Soc. B 237, 37-72, 1953.
  16. Si veda per esempio: C. Trevarthen, K. Aitken, M. Vanderkerckhove, J. Delafield-Butt, E. Nagy, Collaborative regulations of vitality in early childhood: stress in intimate relationships and postnatal psychopathology, in Cicchetti & Cohen (Eds.) Developmental Psychopathology, 2nd Ed. Wiley, 2006.
  17. Tra l’altro questa recente scoperta getta ombre preoccupanti sulla tecniche di fecondazione in vitro, in quanto le prime fasi dello sviluppo di uno zigote fecondato in vitro avvengono in un ambiente totalmente differente da quello fisiologico; allo stato attuale non è possibile prevedere le conseguenze a lungo termine di queste modificazioni epigenetiche precoci del genoma.
  18. M. Polanyi, La struttura irriducibile della vita, in Conoscere ed essere, Armando, Roma 1988, p. 275.
  19. R. Lewontin, The Triple Helix. Gene, Organism, and Environment, Harvard University Press, Cambridge 2000, p. 38.
  20. E.N. Lorenz, Deterministic nonperiodic flow, in Journal of the Atmospheric Sciences 20, 130-141, 1963.
  21. Si veda, per esempio: J.D. Murray, P.K. Maini, R.T. Tranquillo, Mechanochemical models for generating biological pattern and form, in Phys. Reports 171, 60-84, 1988.
  22. È importante non cadere in una forma di determinismo genetico-ambientale. Introdurre l’ambiente come fonte ulteriore di varianza, in aggiunta a quella dovuta alle differenze di patrimonio genetico tra individui, porta solo a una versione più raffinata di determinismo. D’altra parte, né un mondo dominato dalla necessità, e nemmeno un mondo dominato dal caso sono in grado di dare una spiegazione soddisfacente della maggior parte delle esperienze umane significative, prima fra tutte l’esperienza straziante della morte di una persona cara. Solo un mondo contingente del quale possiamo avere fiducia che è incamminato verso un fine «onesto», che però possia¬mo solo intuire oscuramente, è un mondo che ci può soddisfare.
  23. J. Chen et al., Mutation of the mouse hepatocyte nuclear factor/forkhead homologue 4 gene results in an absence of cilia and random left-right asymmetry, in J. Clin. Invest. 102, 1077-1082, 1998.
  24. Ciò non toglie che ad altri livelli una legge fisica o chimica possa manifestare una direzione specifica, cfr. per esempio la già menzionata chiralità degli aminoacidi, oppure la chiralità del neutrino. È tuttavia improbabile che questo tipo di chiralità sia determinante nella determinazione del piano corporeo.
  25. Max Born, citato in H R Pagels, The Cosmic Code, Pantam Books, 1983.

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 32 di Emmeciquadro

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