Parlare di Natura sta diventando complicato.
Un concetto che fino a non molto tempo fa non non sembrava porre particolari problemi e di fronte al quale era facile trovare un’ampia corrispondenza, ora diventa fonte di continui equivoci, di incertezze definitorie, di confusione epistemologica. C’è chi ritiene ormai inadeguate le tradizionali distinzioni tra naturale e artificiale; chi tende a estendere la categoria di naturale a una vasta serie di oggetti e sistemi dove le componenti “naturali” convivono con altre frutto di trasformazioni operate dall’uomo in tempi più o meno lunghi. Per non parlare del medesimo concetto quando viene applicato agli esseri viventi e ancor più a quel particolare tipo di viventi che sono gli esseri umani: gli unici in grado di prendere coscienza del fatto di esserlo; l’unico ambito dove la natura riflette su se stessa e si interroga sulla sua origine e sul suo destino. Sembra terribilmente difficile oggi indicare comportamenti riconoscibili come distintivi della natura umana; e, prima ancora, descrivere che cosa può connotare la vita umana.
È pertanto prezioso e quanto mai opportuno il denso contributo di Flavio Keller, completato in questo numero, che si snoda sul delicato crinale che separa biologia e filosofia, segnalando i troppi sconfinamenti indebiti tra le due discipline ma anche le possibili e feconde interazioni.
Resta comunque preoccupante il fenomeno prima segnalato; e lo è al massimo grado per chi, insegnando discipline scientifiche, di natura e di vita deve parlare continuamente, rischiando però che chi ascolta interpreti quei termini in modi divergenti. Sì, perché l’evanescenza dell’idea di natura non si manifesta soltanto nel dibattito culturale “alto” ma si diffonde ormai ovunque e si insinua nelle pieghe del pensiero comune, veicolata dai mass media, dalla pubblicità, dal cinema, dalla letteratura “da viaggio”. Sono evidenti le implicazioni di un simile stato di cose; che apre le porte a ogni tipo di manipolazione e rende vani i (troppi) tentativi di arginare il problema a colpi di normative, di regolamentazioni, di riferimenti alla deontologia professionale.
La situazione fin qui descritta si sovrappone all’esperienza di molti giovani e giovanissimi, che fin da piccoli incontrano il volto artefatto e liofilizzato della realtà prima di imbattersi nella vivacità della natura. Ci sono studenti che hanno accostato certi fenomeni, anche non particolarmente rari o esotici, sempre e soltanto nella loro riduzione mediatica e virtuale e che fanno sempre più fatica a distinguere tra reale e fittizio. Questo che fino a qualche tempo fa era considerato un limite e uno strabismo da correggere, ora purtroppo viene giustificato teoricamente e il giovane viene “tranquillizzato” da molti che gli dicono di non preoccuparsi a cercare i criteri per operare quella distinzione.
Tutto ciò ha rilevanti ripercussioni in campo educativo e ancor più nell’insegnamento delle scienze. Se sfumano tutte le differenze, come sarà possibile additare agli studenti i fattori tipici e peculiari di un fenomeno fisico, di un ecosistema, di un comportamento biologico? Come si farà a destare il gusto dell’indagine e della scoperta, se qualunque simulazione può avere lo stesso valore di un avvenimento?
Non si tratta, certamente, di contrapporre natura a tecnologia, di ripudiare tutto ciò che sa di artificiale in nome di una purezza e di un candore originario. È però possibile affinare la nostra sensibilità e quella degli alunni e abituarci a leggere la natura nel suo carattere stratificato; individuarne aspetti e manifestazioni che la rivelano come “dato” e che mostrano l’irriducibilità di alcuni livelli ad altri. Ritrovando così, su un piano diverso e in modo forse meno semplicistico, gli stessi caratteri di unità e varietà che hanno colpito e attratto ricercatori e studiosi di tutti i tempi.



Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 32 di Emmeciquadro

Leggi anche

EDITORIALE n. 88 - Talento, Ricerca, ScopertaSCIENZAinATTO/ Leggere una grande storia nelle righe di uno spettro