Tecnoscienza. Il termine sta ormai entrando prepotentemente nel linguaggio dei media e di tutti coloro che cercano di descrivere le tendenze in atto nella società e nella cultura dei nostri giorni. È un termine che indica il connubio stretto tra ricerca scientifica e applicazione tecnologica ed esprime la situazione sempre più diffusa in settori quali le biotecnologie, le nanotecnologie, le bioscienze, l’informatica. Ma non riguarda solo questi settori avanzati.
Più che una definizione di tipo sociologico, il termine segnala una trasformazione culturale in atto e tende a invadere un po’ tutti gli ambiti che un tempo viaggiavano tranquilli sulla solida distinzione tra una scienza rivolta alla pura conoscenza della realtà e una tecnica preoccupata solo di trasformarla. Ora le due dimensioni sono strettamente intrecciate e spesso è difficile dire dove termina l’una e inizia l’altra.
A ben vedere però, l’abbinamento dei due termini, tecnologia e scienza, non è espressione di una situazione paritaria; sia nella pratica che nella sensibilità dei tecnoscienziati, c’è uno sbilanciamento implicito a favore del primo dei due vocaboli: non è assente dal loro orizzonte l’intento conoscitivo; solo che è fin dall’inizio subordinato al risultato applicativo, alla possibile realizzazione di nuovi artefatti o alla modifica di quelli esistenti. Questa prevalenza non è priva di conseguenze, sia a livello personale, della pratica scientifica, sia sul piano sociale.
Sul primo versante, c’è una pressione esasperata sull’esito, sulla fattibilità immediata (spesso precaria), sulla competizione accanita; e ciò a scapito di un approfondimento, di una riflessione sul valore e sul senso delle singole ricerche, di una visione ampia che sia attenta ai molteplici nessi e alle implicazioni di quanto si sta realizzando.
Sul versante sociale, proprio in coerenza con le finalità della tecnologia (in ambito industriale un imperativo categorico è ridurre il time to market, cioè il tempo di arrivo sul mercato di una innovazione), si verifica un accorciamento dei tempi di impatto delle nuove soluzioni tecnoscientifiche.
Ciò determina una continua inadeguatezza dei controlli e delle normative e una vana rincorsa alla elaborazione di nuove regole e di apparati per garantirne il rispetto. Un risvolto importante dal punto di vista culturale è messo in risalto nei contributi della prima parte di questo numero, che delineano in modo drammatico l’avanzata inesorabile della tecnoscienza verso i territori, un tempo inviolabili, della natura umana, dell’individualità di ciascuno di noi, di tutto ciò che caratterizza l’uomo come soggetto unitario, libero e consapevole. Rendendo così legittimo l’inquietante titolo dell’articolo Oltre la specie e arrivando a tentare l’assalto a quello che comunque per ora resta «il mistero della coscienza».
Un simile scenario, quali problemi pone agli educatori? Parliamo di educatori in generale, perché è evidente che la questione non riguarda solo gli insegnanti di materie tecnico-scientifiche. Come ammoniva il titolo di un saggio di C.S. Lewis, la prospettiva, non tanto mascherata, è L’abolizione dell’uomo: è il soggetto che tende a venir meno nell’orientare e gestire la ricerca; ed è l’uomo nella sua integralità che abbandona il ruolo di destinatario dell’innovazione tecnologica.
Il compito allora dovrà essere nella direzione di un irrobustimento del soggetto, di una maturazione di consapevolezza della propria identità, quindi di ciò che è indisponibile per ogni manipolazione, di ciò che è irriducibile a qualunque modello, a qualunque procedura, a qualunque progetto di ottimizzazione.
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 34 di Emmeciquadro