La matematica non solo come manifestazione della ragione, ma anche come via per il recupero delle proprie radici spirituali. La straordinaria avventura umana di Florenskij è ricostruita dall’autore tenendo presente i due lati della sua personalità: la genialità matematica da una parte, la profonda fede dall’altra, testimoniata finché l’accusa di «controrivoluzionario» lo porta al gulag nel 1933 e alla condanna a morte durante le «purghe» staliniane del 1937.
Pavel Aleksandrovic Florenskij (1882-1937) è stato riscoperto in anni relativamente recenti, dopo l’eliminazione fisica e il tentativo di farlo scomparire dal panorama scientifico e filosofico.
Matematico per prima formazione, poi diplomato all’Accademia teologica di Mosca, ha preso in seguito i voti e si è dedicato soprattutto alla filosofia e alla teologia, orientando i propri interessi verso il chiarimento delle ispirazioni originarie, attraverso la filosofia della scienza, la critica d’arte, gli studi sulla simbologia e sul linguaggio. Ma la matematica non è mai scomparsa dal suo punto d’osservazione. È rimasta per lui la maniera concreta con cui si manifesta la ragione e lo strumento attraverso il quale è possibile il recupero delle proprie radici spirituali. Insufficiente per capire la complessità dei fenomeni, ma essenziale per intravederne la realtà, i limiti e forse oltre.
Esistono «due mondi» nella concezione di Florenskij, due sfere vitali dell’esistenza.
Quella terrestre, a cui si riferisce la razionalità, e la sfera dello spirito, che aspira all’infinito e che, pur trovandosi oltre i confini del mondo sensibile, lascia intendere la propria presenza con sintomi evidenti. Per giungere alla verità è necessario percorrere lo spazio intermedio fra i due mondi. In senso figurato, nel passaggio attraverso la frontiera, la verità si frantuma e giunge a noi indistinta e contraddittoria. Questo non significa che sia inutile la ricerca della verità, bensì che per intenderla nella sua integrità occorre raccogliere i frammenti e operare una ricostruzione spirituale. La sua convinzione è che il visibile sia la manifestazione concreta di un mondo inaccessibile. Come per il Platone che ha sempre amato, il visibile proviene dall’invisibile e la via d’accesso è fornita dalla matematica.
La consapevolezza di mantenere vivo il pensiero matematico viene espressa in numerose occasioni. In una lettera alla figlia Ol’ga, indirizzata dal lager delle Solovki nel novembre del 1933, pochi anni prima della morte, dice: «Per la matematica, cerca non solo di ricordare semplicemente cosa e come fare, ma anche di capirlo e di apprenderlo come si apprende un pezzo musicale. La matematica non deve essere nella mente come un peso portato dall’esterno, ma come un’abitudine del pensiero: bisogna imparare a vedere i rapporti geometrici in tutta la realtà e a individuare le formule in tutti i fenomeni. Chi è capace di rispondere all’esame e di risolvere i compiti, ma dimentica il pensiero matematico quando non si parla direttamente di matematica, non ha appreso la matematica».(1) E più avanti: «La matematica è la più importante delle scienze che formano il pensiero: essa approfondisce, precisa, generalizza e lega in un unico modo la visione del mondo, educa e sviluppa, dà un approccio filoso!co alla natura».(2)
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Renato Betti
(Ordinario di Geometria al Politecnico di Milano)
Note
- Non dimenticatemi. Dal gulag staliniano le lettere alla moglie e ai figli del grande matematico, filosofo e sacerdote russo (a cura di N. Valentini e L. Zák), Mondadori, Milano 2000, p. 68.
- Ibidem, p. 363.
© Pubblicato sul n° 35 di Emmeciquadro