Può sembrare un paradosso, ma studiando la crescita dei cristalli in termini sperimentali, ci si imbatte in fenomeni, come la formazione di calcite accoppiata a strati ordinati di aragonite nei molluschi bivalvi, che documentano l’irriducibilità degli esseri viventi «alle leggi della chimica-fisica che noi conosciamo». Le ricerche condotte dall’autore sui «biomorfi della silice» costituiscono uno stadio preliminare essenziale alla comprensione dei meccanismi di formazione dei biominerali e hanno avuto recentemente un ampio riscontro in campo internazionale. Da una parte perché si è dimostrata la possibilità di costruire in laboratorio un aggregato minerale dalla elegante morfologia auto-organizzata e composto da individui nanocristallini, chiarendo le ragioni termodinamiche e cristallografiche per le quali si forma. Dall’altra perché, confrontando il modello puramente inorganico di formazione dei «biomorfi della silice» col modello organico-inorganico di formazione della madreperla del mollusco bivalve Atrina serrata, risulta esaltata la differenza tra la prevedibilità delle leggi della crescita dei cristalli e i gradi di libertà caratteristici della termodinamica della vita.
La cristallizzazione nel mondo puramente inorganico è caratterizzata da una estrema varietà di taglie cristalline. Una visita in un museo di Scienze naturali pone sotto gli occhi campioni di meteoriti o di rocce vulcaniche: le taglie medie degli individui cristallini che le costituiscono sono micrometriche.
Così è per molte rocce metamorfiche: pensiamo alla splendida regolarità e alle dimensioni micro-millimetriche dei cristalli di calcite (CaCO3) costituenti i marmi saccaroidi di Carrara. Ma se passiamo a esaminare le rocce evaporitiche del Messiniano potremo osservare bellissimi geminati di gesso (CaSO4 • 2H2O) dalla taglia centimetrica. Nelle Minas Gerais brasiliane i cristalli di quarzo-α (SiO2) raggiungono dimensioni dell’ordine del metro, mentre nelle grotte di Naica (Messico) sono stati scoperti recentemente cristalli di gesso lunghi oltre 10 metri.
Sembra quindi che non possano essere definite delle regole sulle dimensioni e sulla forma dei cristalli che popolano il mondo inorganico, nemmeno a parità di sostanza: per esempio, i singoli cristalli di ghiaccio che crescono dal vapore d’acqua (la neve) hanno forma dendritica e dimensioni millimetriche, mentre quelli che fioriscono nei tunnel del forte di Chaberton (zona Monginevro) hanno le dimensioni di una mano e una forma perfettamente esagonale.
Cristalli giganti di gesso nella Miniera di Naica (Messico) [Archivio S&F/LaVenta/CProducciones]
Ma le cose non stanno così. Se potessimo attribuire agli oggetti del mondo inorganico un comportamento «antropomorfo», dovremmo dire che non c’è nulla di più obbediente dei cristalli alle leggi della termodinamica: essi nascono, crescono e muoiono non concedendosi nessuna fantasia.
Cristalli del mondo inorganico
I cristalli dei minerali naturali nati da un mondo inorganico hanno dimensioni variabili dal micron a qualche metro
In un ambiente chiuso e per una determinata temperatura di cristallizzazione Tc la frequenza di nucleazione tridimensionale, e cioè il numero J3D degli individui cristallini (per unità di volume e di tempo) che superano una dimensione critica (dnucleo) che consenta loro di poter crescere, si comporta come:
(1a)
Dove:
- γcs rappresenta la tensione interfacciale tra il nucleo cristallino (c) e la soluzione (s),
- β rappresenta la sovrassaturazione rispetto alla fase che si vuole cristallizzare. La sovrassaturazione è l’espressione di quanto una soluzione è lontana dall’equilibrio e quindi di quanto essa è disponibile a produrre cristalli.
La (1a) è un’espressione probabilistica e dice che, a una certa temperatura Tc, la possibilità che un nucleo cristallino si formi in una soluzione sovrassatura è tanto più alta quanto più alta è la sovrassaturazione β e quanto più bassa è la tensione interfacciale γcs. Ed è anche evidente che tra questi due fattori la parte del leone la fa la tensione interfacciale che pesa come (γcs)3, mentre la sovrassaturazione interviene solo come (logβ)2.
Simbolicamente potremmo scrivere che:
J3D ↑ se γcs ↓ e β ↑ (1b)
Accanto alla formula che regola la frequenza di nucleazione ce n’è un’altra, molto più semplice, che fornisce la dimensione critica (dnucleo) che un nucleo cristallino deve superare per poter avere il diritto di crescere fino a quando la soluzione madre resterà sovrassatura.
Tale dimensione dipende anch’essa dalla tensione interfacciale e dalla sovrassaturazione:
(2a)
Dalle relazioni (1a) e (2a) possiamo renderci conto che la tensione interfacciale e la sovrassaturazione controllano i primi stadi del processo di formazione di una fase cristallina e ce ne forniscono una lettura semplice: a parità di sovrassaturazione, quanto più bassa è la tensione interfacciale, tanto più alta sarà la frequenza di nucleazione cristallina e tanto più piccola sarà la dimensione media della popolazione cristallina che apparirà alla nostra osservazione.
Sempre simbolicamente la (1b) si completa:
J3D ↑ e dnucleo ↓ se γcs ↓ e β ↑ (2b)
Potrà sembrare semplicistico, ma in queste poche formule è descritta la grande variabilità delle dimensioni e della frequenza di ritrovamento di un cristallo minerale.
Per confermare questo concetto riprendiamo il caso del gesso. In un lago salato, sotto le alte temperature estive, la velocità di evaporazione dell’acqua è molto elevata: la concentrazione salina aumenta rapidamente in tempi brevi e si raggiungono così alte sovrassaturazioni. Di conseguenza precipiterà una intensa pioggia di cristalli di gesso di piccole dimensioni.
Immaginiamo invece di poter accedere a una delle grotte di Naica, in cui la temperatura si aggira attorno ai 60°C. La cavità sotterranea è riempita di soluzione salina satura; la velocità di evaporazione è incredibilmente bassa e si ottengono quindi bassi gradienti di concentrazione nel tempo. Le sovrassaturazioni che si possono raggiungere in queste condizioni sono molto deboli: precipiteranno pochissimi nuclei cristallini che potranno raggiungere dimensioni largamente superiori al metro.
I biomorfi della silice: aggregati di nano cristalli
In laboratorio abbiamo imparato a produrre cristalli minerali, di dimensioni nanometriche, capaci di aggregarsi in forme che richiamano un termine pieno di fascino: «auto-organizzazione»
L’esempio che segue sintetizza una serie di esperimenti recentemente condotti nel nostro laboratorio di Crescita cristallina.
Il carbonato di bario (BaCO3) che, come minerale, prende il nome di witherite, è un sale molto poco solubile in acqua e, quando cristallizza anche da soluzioni pure fortemente sovrassature, forma pochi individui esagonali prismatici la cui taglia media è largamente superiore al micron. Inoltre, come si vede nell’immagine tali individui sono generalmente separati tra loro.
[A sinistra: cristalli di carbonato di bario (BaCO3) in soluzione pura (SEM-scanning electron microscope)]
Ma, non appena introduciamo nella soluzione madre una quantità molto modesta (meno dello 0,5%) di un sale inorganico, il metasilicato di sodio (Na2SiO3 • 9H2O), la situazione cambia radicalmente: il numero degli individui nucleati ha un incremento incontrollabile e, contemporaneamente, la loro taglia media si riduce al punto tale che i prismi esagonali che li costituiscono hanno le basi non superiori ai 5 nanometri.
Non solo, ma i nanocristalli di BaCO3 si presentano riuniti in aggregati dalle forme geometriche eleganti e non rispettose della simmetria cristallografica che ricordano quelle di microfossili del Precambriano datati a circa 3.5 miliardi di anni.
[A destra: cristalli di carbonato di bario (BaCO3) in presenza di metasilicato di sodio (SEM-TEM transmission electron microscope)]
Questi aggregati policristallini ottenuti in laboratorio sono conosciuti fin dal 1979, e cioè dal tempo della tesi di laurea di Juan Manuel García Ruiz(1), che denominò questi bellissimi oggetti «biomorfi della silice».
Quale fenomeno è intervenuto a determinare una così drastica riduzione della taglia cristallina insieme a un contemporaneo aumento della frequenza di nucleazione?
Sicuramente la temperatura non può aver giocato alcun ruolo, in quanto è rimasta rigorosamente costante da un esperimento all’altro. Non restano che una variazione della sovrassaturazione o della tensione interfacciale tra la witherite e la soluzione madre.
Possiamo tranquillamente escludere il peso della sovrassaturazione (β) per due ragioni. Primo perché la percentuale di metasilicato di sodio non è tale da incidere sugli equilibri chimici della soluzione madre e secondo perché, quand’anche β aumentasse significativamente, il suo contributo nella relazione (1a) è fortemente schiacciato dalla dipendenza logaritmica, anche se il logaritmo compare al quadrato. Chi invece può esercitare un ruolo dominante è la tensione interfacciale (γcs) la cui diminuzione, anche se piccola, comporta enormi cambiamenti nella (1a), grazie alla dipendenza esponenziale da (γcs)3, e cambiamenti lineari nella (2a).
Siamo quindi in grado di capire come si possano produrre moltissimi cristalli di dimensioni nano-metriche: basta abbassare fortemente il valore della tensione interfacciale.
E per risolvere definitivamente il problema sarà allora suffciente individuare quale influenza ha il metasilicato di sodio sulla tensione interfacciale tra il carbonato di bario (cristallino) e la soluzione da cui esso nuclea. In altri termini, si tratta di rispondere a un’ultima domanda: Cosa succede al metasilicato di sodio quando si scioglie in acqua?
[A sinistra: esempi dell’epitassia tra quarzo-α e witherite; si possono facilmente notare le concordanze parametriche tra i due minerali]
Il composto idrato Na2SiO3•9H2O si dissocia in ioni Na+, in ioni silicato (SiO4)4- e in molecole d’acqua (a loro volta parzialmente dissociate). Gli ioni silicato, di forma tetraedrica, tendono a unirsi tra loro formando catene polimeriche le quali, a loro volta, si dispongono ordinatamente sulle nano-faccette dei nuclei di BaCO3 durante la loro formazione iniziale, tendendo ad assumere la struttura del quarzo-α (la cui formula è SiO2).
In chimica-fisica si dice che si realizza un adsorbimento ordinato delle catene di quarzo-α sulle faccette di BaCO3. Abbiamo calcolato che questo adsorbimento ordinato è possibile in quanto esiste un’ottima concordanza reticolare tra alcune facce del cristallo di witherite e le facce più importanti del quarzo.
Questo fenomeno prende il nome di epitassia.
All’epitassia corrisponde inoltre un’ottima adesione tra le catene silicatiche polimeriche e il cristallo di BaCO3 dovuta essenzialmente alla formazione di legami chimici tra gli ioni bario della whiterite e gli ossigeni dei gruppi silicato.
A loro volta gli ioni Na+ si uniscono con una parte dei gruppi CO32- che sono rimasti liberi in soluzione per formare il composto Na2CO3 che va a depositarsi sotto forma di isole bidimensionali e in perfetta relazione di epitassia, sulle parti non ancora coperte dei nuclei di witherite.
Questa nuova relazione epitattica, la cui esistenza abbiamo recentemente dimostrato, introduce un’ulteriore adesione tra la soluzione madre e i nuclei cristallini della nascente witherite.
Il risultato finale è un effetto cooperativo che comporta globalmente un forte abbassamento della tensione interfacciale tra i nuclei di BaCO3 e la soluzione madre con le conseguenze previste dalle relazioni (1a) e (2a).
Riassumendo:
- una percentuale limitata di ioni silicato e Na+ è in grado di modificare radicalmente la struttura di una soluzione sovrassatura rispetto al carbonato di bario;
- l’epitassia tra le catene silicatiche, il composto bidimensionale Na2CO3 e la struttura superficiale del carbonato di bario riduce la tensione interfacciale cristallo/soluzione provocando una precipitazione intensa di nuclei cristallini di dimensioni nanometriche: in pratica l’azione sinergica tra le catene silicatiche e le isole di Na2CO3 ha l’effetto di un «agente tensioattivo»;
- tra i nuclei cristallini di witherite si genera una membrana costituita dalle stesse catene silicatiche e dalle isole di carbonato di sodio che, una volta generati i nuclei, permette una loro crescita limitata tenendoli separati l’uno dall’altro.
Abbiamo così capito le ragioni termodinamiche e cristallografiche per le quali si forma un aggregato minerale composto da individui nanocristallini. Non abbiamo ancora compreso compiutamente quali cause promuovano le splendide forme che gli aggregati possono assumere e che sono state illustrate nelle pagine precedenti.
Abbiamo provato per certo che tali morfologie possono esistere solo in ambienti non agitati dal punto di vista idrodinamico, come i gel o le soluzioni stagnanti, in cui il meccanismo di trasporto dominante è la diffusione. In tali ambienti le variazioni ritmiche del pH che stanno alla base del meccanismo di sovrassaturazione-cristallizzazione possono imporre, nello spazio occupato dalla soluzione madre (e non perturbato da correnti convettive), gradienti di concentrazione distribuiti in modo non omogeneo. Si avranno quindi campi di diffusione non sferici, ma con simmetria piana o conica, con conseguente generazione di aggregati policristallini che assumono forme chiuse.
Ma tutto quest’aspetto morfologico, già oggi descrivibile con semplici equazioni di curve e superfici geometriche, necessita di studi molto più approfonditi prima di diventare oggetto di una prossima puntata.
I biominerali: nanocristalli dalle proprietà speciali
I cristalli che costituiscono i bio-minerali hanno dimensioni nanometriche, omogenee e funzionali alle proprietà necessarie per la strutturazione del vivente
I biominerali sono aggregati di nanocristalli inorganici (ma anche di particelle amorfe) tenuti insieme e contemporaneamente separati da una matrice organica la cui quantità, rispetto alla massa totale di un biominerale supera raramente poche unità percentuali. Quest’ultima è l’unica responsabile del controllo sulla precipitazione del minerale (cristallino o amorfo che sia).
Una prima domanda: come possono i componenti della matrice organica, nonostante la loro posizione fortemente minoritaria, avere la capacità di influenzare la nascita e la crescita della materia inorganica al punto tale che le proprietà del biominerale sono radicalmente diverse da quelle del minerale che porta lo stesso nome ma è stato generato in un ambiente rigorosamente inorganico?
Una seconda domanda riguarda il come il mondo dei viventi possa «produrre » in modo sistematico strutture nano-cristalline e, più raramente, microcristalline. Quale meccanismo sovrintende tale specificità?
La risposta a queste due domande non ha ancora raggiunto una forma definitiva, ma un grande passo avanti è stato fatto da quando si è accertato che l’organizzazione spaziale e temporale dei componenti la matrice organica è competenza del livello cellulare del vivente. Infatti la formazione di biominerali può avvenire secondo due modalità.(2)
Nel caso della formazione biologicamente indotta il biominerale è conseguenza dell’ interazione tra i processi metabolici della cellula (pH, pressione di CO2, prodotti della secrezione) e l’ambiente circostante: la cellula induce la formazione del minerale nell’ambiente circostante senza esercitare un controllo rigoroso né sulla taglia cristallina, né sulle morfologia dei cristalli e tanto meno sulla architettura e sull’organizzazione del biominerale.
La formazione biologicamente controllata si verifica quando il biominerale è il risultato di una specifica attività cellulare nel produrre nuclei cristallini fuori o dentro la propria membrana. Il controllo esercitato dalla cellula è molto elevato: i bio-minerali prodotti hanno strutture e funzioni ben definite; i nano-cristalli che li costituiscono hanno taglie molto uniformi; la loro organizzazione è fortemente gerarchizzata e dà origine a morfologie complesse. E poiché la nostra mente subisce il fascino della complessità descriveremo alcuni esempi del ricchissimo percorso che, attraverso il meccanismo del controllo, permette di strutturare la complessità.
Controllo sul polimorfismo
Nell’esoscheletro di molti organismi viventi differenti polimorfi cristallini (vedi il successivo riquadro) della stessa sostanza chimica possono nucleare, l’uno vicino all’altro, ma mai mischiati tra loro. È questo il caso di molti gusci marini in cui calcite e aragonite cristallizzano in domini spaziali rigorosamente separati pur costituendo, insieme, il guscio dell’organismo stesso (come, per esempio, per il mollusco bivalve Atrina serrata).
Calcite e aragonite sono i due polimorfi del carbonato di calcio (CaCO3) più diffusi in natura, e l’aragonite si trova molto raramente nel mondo a-biologico.
Inoltre, per via della sua struttura più compatta (la sua densità vale 2.95 g/cm3, contro i 2.71 della calcite) essa è stabile, a temperatura ambiente, solo ad alta pressione. Ora, nell’ambiente in cui vive Atrina serrata, la temperatura è quella della superficie marina e la pressione è quella atmosferica.
Struttura del guscio di Atrina serrata
A sinistra: i cristalli prismatici e colonnari di calcite costituiscono la parte più esterna del guscio del bivalve. La barra rappresenta 50 micron.
A destra: i nano-cristalli lamellari di aragonite costituiscono la parte più interna del guscio, la madreperla. La barra rappresenta 1 micron.
Come è possibile allora che la «potenzialmente instabile» aragonite possa non solo esistere, ma addirittura coesistere con la stabile calcite, nello spazio di pochi micron?
La risposta sta ancora una volta nelle relazioni (1a) e (2a) e nel ruolo fondamentale giocato dalla tensione interfacciale.
Quando in un guscio marino si forma l’aragonite (e non la calcite) sarà perché la soluzione madre da cui cristallizzava calcite si è arricchita di un nuovo componente la cui presenza è riuscita a fare scendere la tensione interfacciale tra l’aragonite e la soluzione madre più in basso del corrispondente valore per la calcite.
Simbolicamente deve realizzarsi la condizione:
γcs (aragonite) molto minore di γcs (calcite)
Da cui
Jnucleazione 3D (calcite) ↓ mentre, contemporaneamente, Jnucleazione 3D (aragonite) ↑
Si dice che una specie chimica (per esempio il carbonato di calcio, CaCO3) dà origine a differenti polimorfi quando, a seconda delle condizioni di cristallizzazione (temperatura, pressione, pH, tensioni interfacciali), presenta strutture cristalline diverse tra loro. In altre parole, tra un polimorfo e un altro la differenza consiste nella diversa disposizione relativa degli atomi (molecole) che lo costituiscono. Esempi celebri sono quelli del carbonio che può cristallizzare come grafite o come diamante; del composto SiO2, che può presentarsi come quarzo-α, cristobalite, tridimite, coesite, stishovite; del composto CaCO3 che cristallizza come vaterite, aragonite, calcite. Talvolta si dice che il composto cristallino CaCO3 • 6H2O (ikaite) è un polimorfo di CaCO3, ma questo è un errore in quanto la composizione chimica dell’ikaite è profondamente diversa rispetto al CaCO3. |
Il nuovo componente che svolge l’azione di controllo sul polimorfo che precipita (aragonite) proviene dai cambiamenti che avvengono nella matrice organica secreta dal vivente che, in questo caso, è composta da una telaio di beta-chitina, da un riempimento di proteine che hanno la struttura fibrosa della seta e da altre macromolecole solubili in acqua. L’insieme costituito dai nano-cristalli di aragonite e dalla matrice organica che li aiuta a nascere e che li avvolge (uno per uno) è la «madreperla».
[A sinistra: Sezione trasversale della struttura di un guscio di bivalve con i vari strati che lo costituiscono:
P → strato organico esterno (periostracum)
PR → strato prismatico di calcite colonnare
N → strato di madreperla
EPS → spazio riempito con soluzione acquosa, da cui cristallizzano calcite e aragonite
OE → strato di cellule dell’epitelio esterno]
Possiamo ora passare dalla trattazione schematica (di carattere chimico-fisico) all’esempio naturale da cui siamo partiti. La formazione della madreperla, descritta nei suoi dettagli conosciuti fino a oggi, ci permetterà, da un lato, di verificare che il nostro schema interpretativo ha ridotto all’essenziale il complesso meccanismo della natura e dall’altro che tale riduzione era necessaria per addentrarci in quel mondo di transizione rappresentato dall’interazione tra l’inorganico e l’organico vivente.
Struttura e proprietà della madreperla
Dalle immagini qui sopra riportate si evince che l’esoscheletro di Atrina serrata è costituito da due zone spazialmente separate. Lo strato esterno del guscio, insieme al suo bordo di chiusura, è fatto da grandi cristalli di calcite a forma di prismi colonnari (strato prismatico). Lo strato interno invece, la vera e propria madreperla, appare come una «parete a mattoni» di cristalli lamellari di aragonite il cui spessore raggiunge al massimo 500 nanometri.
Lo strato prismatico viene depositato per primo e quindi la madreperla viene aggiunta nel tempo, man mano che il guscio cresce in spessore. Si sa che il controllo sulla cristallizzazione dei due polimorfi (calcite e aragonite) è esercitato da uno strato compatto di cellule (l’epitelio esterno) che è separato dalla superficie interna del guscio da uno spazio riempito da una soluzione acquosa; ma di come funzioni questo controllo non si ha la minima idea; e poiché la selettività biologica sulla struttura del polimorfo che deve precipitare è di importanza chiave per comprendere gli aspetti funzionali della biomineralizzazione, il «problema calcite-aragonite » rimane in fondo un problema aperto.
Le singole lamelle di aragonite sono separate da una matrice organica che ha lo spessore di circa 30 nm, quasi venti volte più sottile dello spessore di una lamella. Paragonando la madreperla a un muro fatto di mattoni pieni (spessi 7 cm), è come se la malta che salda i mattoni tra loro fosse spessa non più di 3 mm! La matrice organica, abbassando la tensione interfacciale, ha la funzione di promuovere la nucleazione delle lamelle di aragonite, e dall’altro ne inibisce la crescita. Non solo, ma la sua presenza inibisce la propagazione di microfratture nella struttura del guscio, dissipando l’energia elastica nello strato di materia organica (che funziona da ammortizzatore), piuttosto che nei cristallini di aragonite (inorganica).
Il risultato è che la resistenza allo sforzo di un pezzo di materiale madreperlaceo è 3000 volte più alta di quella di un singolo cristallo di aragonite di uguali dimensioni: è come dire che un muro a mattoni e malta è molto più resistente agli sforzi di un solo (ipotetico) mattone che ne ha le stesse dimensioni.
La crescita a strati
Abbiamo già visto che la biomineralizzazione a madreperla è confinata nello spazio compreso tra lo strato di cellule epiteliali (EC) e il fronte cristallino di crescita.
[A destra: Meccanismo di formazione del guscio marino di un bivalve. I cristalli di aragonite sono rappresentati in nero pieno. (EC) sono le cellule epiteliali. (S) sono gli strati di cristalli di aragonite. (E) rappresenta la membrana organica che avvolge ogni singolo cristallo di aragonite]
Nell’immagine si può notare che tale spazio è ulteriormente suddiviso in una serie di strati di materia organica (S) più o meno paralleli allo strato di cellule epiteliali.
Gli strati S vengono secreti dal vivente in sequenza, in modo tale che il guscio cresce in spessore verso il suo interno man mano che nella matrice organica che riempie gli strati nucleano e crescono i nano-cristalli di aragonite. Ogni nano-cristallo, come si è detto, è interamente rivestito dalla membrana organica e ogni strato S, una volta che si è riempito di nanocristalli di aragonite, è pronto per accogliere su di sé la formazione di un nuovo strato.
È interessante notare alcune caratteristiche.
La forma dei cristalli di aragonite è quella di un prisma molto schiacciato, e cioè di una piattina con un rapporto larghezza: spessore di almeno 10 : 1. Le facce più estese della piattina sono le facce basali {001}, esattamente l’opposto di quanto si osserva nei cristalli di aragonite di origine inorganica, che hanno generalmente aspetto prismatico allungato e sono praticamente privi delle facce basali.
Questa diversità è imputabile al fatto che la matrice organica che favorisce la nucleazione dell’aragonite grazie alla sua forte energia di adesione epitattica sulle facce {001}, ne inibisce contemporaneamente la crescita. Invece le facce laterali del prisma, che hanno un’ adesione molto minore con la matrice organica sono più libere di crescere, entrando in competizione, al più, con le facce di prisma degli altri individui nucleati attorno a esse.
Le nano-piattine di aragonite hanno come unica orientazione comune la direzione perpendicolare alla piattina stessa, mentre sono libere di disporsi nel piano dello strato senza nessun azimut privilegiato, come le tessere pseudoesagonali di un pavimento costruito a opus incertum. E questo disordine azimutale, a sua volta variabile da strato a strato, contribuisce a incrementare la robustezza dell’intera struttura madreperlacea che arriva così a sopportare sforzi fino a 150 mega-Pascal prima di raggiungere il limite di rottura.
La struttura della matrice organica
Ogni nano-strato di matrice organica possiede a sua volta un’architettura a strati organizzati secondo una schema di base, come illustrato nell’immagine qui a sinistra.
[A sinistra: Sezione di uno strato di matrice organica e degli adiacenti cristalli di aragonite nella madreperla; i cristalli sono appiattiti e paralleli allo strato della membrana organica]
Nella parte centrale di uno strato di matrice organica c’è sempre un reticolo idrofobico di macromolecole insolubili con strutture e composizioni simili alle proteine che si trovano nelle fibre della seta (silk-fibroin-like proteins, SFLP, come nell’immagine qui a destra).
[A destra: Struttura schematica degli strati nelle proteine silk-fibroin-like (SFLP)]
Queste macromolecole, dall’alto peso molecolare ≈ 60.000), hanno un forte carattere strutturale e costituiscono la impalcatura portante della matrice organica e sono ricche in alanina e glicina. In alcuni tipi di madreperla uno strato di fibre di β-chitina è «pinzato» tra due strati SFLP.
La β-chitina è un polisaccaride a catene lineari la cui struttura è strettamente legata a quella della cellulosa, come indicato nell’immagine seguente.
Struttura della cellulosa (R= – OH) e della chitina (R= – NHCOCH3)
La parte periferica della matrice organica è costituita da strati il cui impianto è fatto da glicoproteine a carattere altamente acido (come la nacreina) e ricche in aspartato, glutammato e serina. Il loro compito non è strutturale, ma funzionale: infatti da un lato sono intimamente legati con le superfici di tipo SFLP e, dall’altro, essendo in contatto diretto con le soluzioni acquose circolanti, favoriscono la nucleazione orientata dei nano-cristalli di aragonite.
Forse sta qui il punto più delicato per la comprensione della transizione organico- inorganico del mondo biominerale, e cioè nel modello di quella zona di spessore addirittura inferiore al nano-metro in cui i gruppi CO32- e gli ioni Ca2+, entrambi provenienti dalla soluzione acquosa, si incontrano per dare origine al primo strato di una faccia {001} di aragonite (CaCO3) sul supporto preesistente costituito dai gruppi funzionali più esposti della matrice organica.
L’immagine che segue aiuta la lettura del modello.
Modello strutturale delle relazioni geometriche dell’epitassia nella madreperla
Nella parte sinistra dell’immagine è schematizzata la struttura di uno strato proteico di tipo SFLP. La vista è secondo l’asse perpendicolare allo strato della matrice organica.
Si notano due periodicità: la prima, aSFLP = 0.95 nm e la seconda, a essa perpendicolare, bSFLP = 0.69 nm. Osservando bene si vede che il periodo di 0.95 nm è associato a due catene identiche e antiparallele (di verso opposto tra loro) e quindi il semiperiodo relativo a una singola catena vale 1/2(aSFLP) = 0.475 nm.
Sulla parte destra dell’immagine è invece rappresentata la maglia elementare dell’aragonite relativa alla sua faccia basale {001}: i suoi parametri sono aAr = 0.496 nm e bAr = 0.797 nm. Di qui si ricava inoltre che il periodo lungo la diagonale della maglia {001} dell’aragonite vale dAr = 0.939 nm.
Il confronto tra le periodicità dei due reticoli considerati permette di dire che si possono immaginare delle «quasi-coincidenze». Infatti lo scarto tra aAr = 0.496 nm e 1/2(aSFLP ) = 0.475 nm raggiunge il +4.4%, mentre la differenza tra aSFLP = 0.95 nm e dAr = 0.939 nm non arriva nemmeno al +1.2 %. Questi valori così bassi delle differenze tra i parametri delle due strutture consentono di affermare che sono possibili almeno due orientazioni epitattiche per la nucleazione dell’aragonite sullo strato di matrice organica.
È come dire che i residui dell’acido aspartico (dello strato funzionale) che hanno adottato la disposizione periodica delle SFLP a cui sono legati, sono disponibili a loro volta ad accogliere secondo un ordine bidimensionale prestabilito gli ioni Calcio provenienti dalla soluzione circostante. Tale ordine corrisponde a diverse possibili orientazioni epitattiche della faccia basale {001} dei nanocristalli di aragonite che durante la loro nucleazione si disporranno comunque parallelamente agli strati delle proteine sottostanti.
Conclusione
Ora che abbiamo descritto un tipico esempio di madreperla, possiamo tornare all’esempio ottenuto nel nostro laboratorio (i biomorfi della silice). Ne abbiamo visto le profonde differenze, in quanto a complessità, ma ne abbiamo colto anche le somiglianze, in quanto ai processi di formazione dello stato cristallino.
È legittimo porsi a questo punto la domanda: quale relazione esiste tra i biomorfi della silice e i biominerali?
A prima vista nessuna: i primi sono il prodotto di una reazione di laboratorio puramente inorganica, mentre i secondi sono frutto dell’interazione tra mondo organico (vivente) e inorganico. Ma, se si guarda alle similitudini, ci si rende conto che esistono due dati comuni: tanto i biomorfi della silice che i biominerali sono costituiti da nano-cristalli; sia nei biomorfi che in gran parte dei biominerali finora studiati esiste una relazione geometrica e fisica (epitassia) che caratterizza l’interfaccia tra il cristallo che si forma e la sua fase madre.
Un aspetto ancora più interessante è che questi due dati sono interdipendenti. È l’epitassia che aumenta l’adesione tra cristallo inorganico e matrice organica; a sua volta l’aumento dell’energia di adesione genera un abbassamento della tensione interfacciale; tale abbassamento favorisce un’alta frequenza di nucleazione e una taglia nanometrica dei cristallini di aragonite.
Ma la differenza più profonda, ed è una differenza qualitativa, consiste nel fatto che i minerali puramente inorganici (e quindi gli stessi biomorfi della silice), nascono, crescono, si trasformano e ritornano a scomporsi negli elementi costituenti in totale obbedienza alle leggi della termodinamica classica. Il destino di un cristallo minerale che nasce nel mondo inorganico è quello di essere «abbandonato a se stesso» durante il suo intero ciclo di esistenza.
Non è così per il bio-minerale.
Come ci ricorda Flavio Keller(3), «[…] un organismo biologico è un sistema “termodinamicamente aperto” che è costantemente attraversato da un flusso di materia e di energia senza i quali l’organismo muore. In un sistema aperto, […] anche se complessivamente vale il secondo principio della termodinamica per il quale l’entropia aumenta costantemente nel tempo, si raggiungono localmente dei minimi di entropia dovuti all’insorgenza e al mantenimento dell’ordine in determinati punti (in apparente violazione del secondo principio) dando luogo a fenomeni di auto-organizzazione». Gli strati ordinati di calcite e di aragonite «costruiti» dal mollusco bivalve sono tipici fenomeni di un’auto-organizzazione deputata alla protezione del vivente stesso.
Citando Polanyi(4), «[…] mentre la materia inanimata si trova sotto il controllo di un unico ordine di principi (le leggi della fisica e della chimica), le macchine e gli organismi viventi si trovano sotto il controllo di due ordini di principi: un principio inferiore legato alle leggi della fisica e della chimica e un principio superiore, non riducibile a queste leggi».
Esemplificando, l’interruttore biologico (se così possiamo denominarlo) che permette al neonato mollusco di secernere i complessi organici che faranno cristallizzare alternativamente calcite o aragonite, non sembra sottoposto alle leggi della chimica-fisica che noi conosciamo.
Qui entra in gioco un grado di libertà, per quanto limitato, sconosciuto alla materia non vivente: stiamo entrando in un’altra logica, che non è in contraddizione né con le leggi deterministiche della fisica classica né con quelle probabilistiche della meccanica quantistica, ma che è in grado di inglobarle e di utilizzarle ai suoi fini.
Dino Aquilano
(Già Professore Associato di Mineralogia presso il Dipartimento di Scienze Mineralogiche e Petrologiche dell’Università degli Studi di Torino. Attualmente Professore a contratto presso la Facoltà di Scienze MFN della stessa Università per “Cristallizzazione e alterazione dei materiali” e “Crescita cristallina”. Si è laureato in Fisica a Torino; la sua attività di ricerca si è svolta sempre nell’ambito della Crescita dei cristalli. È autore di oltre un centinaio di pubblicazioni su riviste internazionali, sia a livello sperimentale che teorico. È referee di riviste internazionali di Cristallografia, Crescita dei cristalli e Scienza dei Materiali)
Note
- J. M. Garcia Ruiz et al. Morphogenesis of self-assembled nanocrystalline materials of barium carbonate and silica, Science 323 (2009) 362
- S. Mann, Biomineralization. Principles and Concepts in Bioinorganic Materials Chemistry, Oxford University Press 2001.
- Cfr.: F. Keller, Vita e percezione della vita, in Emmeciquadro n° 31 (dicembre 2007) e n° 32 (aprile 2008)
- M. Polanyi, La struttura irriducibile della vita, in Conoscere ed essere, Armando, Roma 1998, pp. 226-227
Le immagini che corredano questo articolo sono state ottenute dalle seguenti fonti:
- La Venta (Esplorazioni geografiche), Magliano Sabina (Rieti)
- John Kashuba
- Cristalli giganti di ghiaccio…, archivio SCAS – Bollettino speleologico «Lux in Tenebris» dello Speleo Club CAI Sanremo
- Osservazioni e foto di E. Bittarello – D. Aquilano
- S. Mann, Biomineralization. Principles and Concepts in Bioinorganic Materials Chemistry, Oxford University Press 2001
© Pubblicato sul n° 35 di Emmeciquadro