Sono molteplici i fili della storia che si intrecciano nelle pagine di questo numero: sono quelli che partono dai due grandi anniversari scientifici del 2009 – la duplice ricorrenza darwiniana e i 400 anni del cannocchiale galileiano – ma anche quelli che arrivano fino ai nostri giorni, dentro le aule di un liceo di Varese, di una scuola primaria di Forlì, o nei licei di Città del Messico e di Santiago del Cile, dove «può accadere in classe qualcosa che supera le stesse aspettative del docente».
C’è da augurarsi che i due anniversari più celebrati, col loro contorno di mostre, convegni e pubblicazioni, non portino nelle nostre scuole soltanto l’eco di vecchie polemiche rispolverate per l’occasione ma, di per sé, poco utili alla formazione scientifica dei giovani e spesso cariche di messaggi fuorvianti e riduttivi. Mentre ci sarebbero tanti aspetti da recuperare, con interessanti risvolti educativi, sia nell’una che nell’altra vicenda.
La straordinaria esperienza di Galileo, concentrata nelle assidue osservazioni celesti nelle notti invernali tra il 1609 e il 1610, può illuminare altri momenti cruciali nella storia della scienza, quando l’evidenza osservativa si è imposta agli occhi dei ricercatori più attenti e ha aperto nuove strade di conoscenza. Sono momenti che portano in primo piano la stretta interazione tra le diverse dimensioni del lavoro scientifico e invitano a concepire sia l’elaborazione teorica che la genialità sperimentale come risposte a fatti che accadono, a una realtà che si impone e indica alla ragione l’oggetto al quale applicarsi.
Quanto a Darwin, si farebbe un torto alla sua passione per la scoperta se ci si limitasse a una «difesa» delle teorie evolutive classiche, senza mostrarne i limiti e senza indicare le promettenti piste di ricerca che prospettano nuove spiegazioni per i meccanismi evolutivi, coinvolgendo altri fattori della storia dei viventi che non siano solo le mutazioni genetiche casuali. Ma i fili della storia richiamati nelle pagine seguenti si annodano anche attorno a un personaggio tanto grande quanto ancora poco conosciuto, nonostante non manchino ormai le traduzioni delle sue opere anche in italiano.
Parliamo di Pavel Florenskij, matematico russo, morto nel gulag staliniano: una delle menti più fertili e acute del Novecento, in grado di muoversi con disinvoltura tra le pieghe della relatività einsteiniana e delle geometrie non euclidee, ma anche di percorrere le nuove vie che si aprivano nella fisica e nella biologia; senza rinunciare ad approfondire la storia dell’arte, la filosofia e la teologia. Il tutto con una carica umana straordinaria e con una sensibilità religiosa spiccata, che gli ha permesso di non accostare nulla in modo superficiale e di sopportare con dignità la terribile situazione della prigionia, dove peraltro ha continuato a studiare, a riflettere e a sviluppare un pensiero rigoroso quanto profondo.
É a uomini come lui che si è ispirato Giuseppe del Re, indimenticabile amico e collaboratore della nostra rivista recentemente scomparso, dal cui insegnamento avremo ancora tanto da imparare ripercorrendo il suo itinerario culturale, rileggendo i suoi contributi e ripensando ai suoi interventi anche nell’ambito del dibattito sul rinnovamento (non osiamo parlare di riforma) della scuola italiana.
Accanto a questi pilastri del pensiero e della vita scienti!ca, non sarà meno stimolante l’incontro con persone impegnate in settori d’avanguardia della ricerca internazionale: come Cecilia Ceccarelli, che dal Laboratoire d’Astrophysique di Grenoble studia la formazione dei pianeti; con le potenti risorse offerte dai nuovi strumenti di osservazione, terrestri e spaziali, e con suggestive analogie con l’esperienza di Galileo.
Mario Gargantini
Direttore della Rivista Emmeciquadro
© Pubblicato sul n° 35 di Emmeciquadro