Nel dibattito che da molti anni contrappone, e spesso penalizza, scelte didattiche di tipo disciplinare e opzioni di trasversalità in cui i contenuti specifici vengono lasciati in secondo piano, offriamo ai lettori una documentazione, raccolta e pubblicata in lingua francese nel 2005, di come sia possibile insegnare discipline diverse, secondo la loro specificità anche metodologica e contemporaneamente raccordarle in modo che costituiscano arricchimento una per l’altra. Un contributo che racconta di attività realmente svolte, voluto e promosso dall’autore, per confermare la realizzabilità dell’articolo 3 della Carta della Trandisciplinarità adottata al Primo Congresso Mondiale della trandisciplinarità nel novembre 1994: «La trandisciplinarità è complementare all’approccio disciplinare; essa fa emergere dal confronto delle discipline l’esistenza di nuovi dati, che fanno da giunzione o snodo fra le discipline stesse; essa ci offre una visione della Natura e della Realtà. La trandisciplinarità non cerca il dominio delle discipline, ma l’apertura delle discipline a ciò che le accomuna e a ciò che le supera.»



L’articolo è stato pubblicato, in lingua francese, a firma Maria Elisa Bergamaschini, Giuseppe Del Re e Maria Cristina Speciani in: Bulletin Interactif du Centre Internatonal de Recherches et Études Transdisciplinaires (CIRETUNESCO) n. 18, marzo 2005. L’autore è stato tra i fondatori di questo centro di ricerca internazionale, che ha sede a Parigi.


Se si vuole che la transdisciplinarità sia più di un ponte tra discipline differenti, più dell’identificazione degli aspetti comuni o specifici degli ambiti disciplinari, più di uno sguardo dall’esterno su ambiti diferenti della costruzione del sapere, unire tutti questi aspetti e tradurli in una strategia didattica potrebbe aiutare l’apprendimento (e l’insegnamento) per incrementare quella conoscenza che fa crescere in una persona la consapevolezza di sé e del proprio posto nel mondo; essa mostrerebbe insomma la via per una formazione integrale e integrata dell’uomo nella nostra cultura spezzettata, frammentaria e spesso contraddittoria. Come ha fatto notare Edgar Morin(1), la specificità disciplinare resta un punto di partenza importante, perché ciascuna disciplina porta un contributo particolare alla conoscenza della realtà; per esempio, i contenuti delle scienze sperimentali sono «occasioni» per far nascere o tenere in vita il gusto di conoscere secondo il metodo della ricerca scientifica; ma la potenzialità formativa di una disciplina scientifica si realizza quando essa diviene un incontro con le domande, i problemi e le conquiste che hanno segnato il cammino di scoperta degli scienziati.
Gli esempi che seguono, relativi a esperienze didattiche sviluppate secondo le linee che abbiamo appena riassunto, riguardano diversi livelli di scolarità e permettono di evidenziare aspetti teorici e problemi che si presentano al momento di operare sul campo. Questi aspetti e questi problemi compaiono già al livello scolare dei bambini di sei anni. Abbiamo potuto verificarlo su un tema fondamentale della biologia.



Viventi e non viventi

La radice di qualsiasi sapere si trova in una sola domanda: «Chi sono io e qual è il senso di tutto quello che incontro?» L’incontro con la realtà pone interrogativi innumerevoli; nel momento in cui prendiamo in considerazione una domanda che ha un aspetto scientifico, si apre davanti a noi la porta di una disciplina specifica. Per questo la curiosità dei bambini verso la natura, in particolare di fronte a ogni forma di vita, è un ottimo punto di partenza per l’introduzione alla biologia.(2)
Certamente, il maestro sa già qual è la differenza tra viventi e non viventi, ma occorre che questa differenza diventi oggetto di curiosità consapevole da parte dei bambini. Occorre che dal fondo indistinto della realtà che è sotto i loro occhi emergano le domande che li guideranno sul loro percorso, non solamente «quali sono gli esseri viventi, quali sono i non viventi», ma anche «come identificare gli esseri viventi e come classi”care gli esseri viventi».
Questo lavoro di educazione a «dare i nomi alle cose» secondo il procedimento definito da Aristotele nel suo piccolo trattato sulle categorie, che in fondo non è altro che l’osservazione sistematica, è uno stadio transdisciplinare molto importante, perché dovrebbe permettere agli allievi di mantenere il riferimento a una prospettiva generale al momento del passaggio alle discipline scienti”che.
Osservando con i bambini i vermi scoperti nel giardino, il maestro fa rimarcare che i piccoli cumuli di terra arrotondati ne indicano la presenza nascosta. Il giorno seguente, un piccolo gruppo scava nel giardino per estrarli dal suolo e osservarli. I bambini hanno scoperto che dei bastoncini di legno potevano servire loro come strumenti di osservazione.
In seguito, come nel caso dei vermi, i bambini portano in classe – spontaneamente o su richiesta – i primi materiali che possono servire alle osservazioni sistematiche: sassi, minerali da collezione, foglie, conchiglie, lombrichi, insetti, pesciolini, criceti, eccetera. Si tratta ora di cominciare a classificare i vari campioni «seguendo un criterio», perché l’osservazione comincia quando si determinano esplicitamente le caratteristiche proprie di ciascun campione. Si dovrà osservare attentamente e possibilmente toccare ciò che è stato raccolto e si farà una lista dei dati interessanti sul comportamento, sulla provenienza, eccetera. Si dovrà insistere in particolare sulle proprietà fondamentali degli esseri viventi quali il ciclo vitale, la nutrizione, la riproduzione, che si possono osservare facilmente anche se, nel caso delle piante, restano dei dubbi in particolare sulla mobilità.
Esperienze ad hoc, appunti sui quaderni e disegni eseguiti personalmente da ciascun allievo completano questa fase.
Ecco quindi un percorso transdisciplinare verso la biologia; transdisciplinare, beninteso, a condizione che il maestro dia lui stesso l’esempio di una persona che tenta di sviluppare il suo rapporto con le cose lasciando alla conoscenza razionale il suo giusto posto, piuttosto che trasmettere la sensazione che il metodo scientifico aiuti l’uomo a liberarsi dalla «tirannia della soggettività».

Quanto alla chiave che permette di aprire le barriere che potrebbero innalzarsi tra l’impegno personale e l’osservazione, è in primo luogo la meraviglia, di cui ci si parla nel paragrafo seguente.

 

 

Plinio e l’arte della meraviglia

 

Oggi gli allievi provano difficoltà a mettere in relazione la propria esperienza con quello di cui si parla in classe.
Per un professore di latino del liceo, è persino una specie di provocazione, perché egli vorrebbe suscitare l’interesse degli scolari con proposte di lavoro adeguate.
[A sinistra: Plinio il Vecchio (23-79 d.C.)]
Una sperimentazione didattica con questa intenzione è stata realizzata in collaborazione da un professore di latino e da uno di scienze con allievi di quindici anni (una seconda classe di liceo). Si trattava di approfondire l’evoluzione nel tempo della figura dello scienziato.(3)
A partire dalla figura di Plinio il Vecchio, gli allievi sono arrivati a riflettere sulla passione per la scienza nell’epoca attuale.
Il lavoro è stato condotto seguendo due approcci convergenti: da una parte la lettura di brani dello stesso Plinio in latino e in italiano, che hanno permesso di incontrare personalità significative del mondo classico, dall’altra l’esame critico di certe definizioni che uomini dell’epoca moderna hanno dato della scienza e della figura dello scienziato. Questi approcci si sono riuniti in una discussione sulla figura del ricercatore.
Il primo risultato è stato una riscoperta del valore delle discipline scientifiche nell’antichità. La scienza greca – a parte la geometria e l’astronomia – è poco nota e persino la figura di Aristotele, biologo prima di essere filosofo, ha cominciato a essere rivalutata dal punto di vista scientifico soltanto dopo l’avvento (verso il 1960) della complessità; la scienza romana era piuttosto orientata verso la tecnica o una riformulazione della scienza greca.
Il lavoro ha preso quindi in considerazione la descrizione che Plinio ha lasciato dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.. Plinio assisté a questo fenomeno straordinario mosso da due motivazioni: l’una, umana, quella di andare in aiuto degli amici in pericolo, l’altra, scientifica, quella di documentare questo avvenimento naturale senza precedenti.
[A destra: «Erat Miseni ….»]
È ben noto che Plinio fu vittima del suo amore per la scienza; si conosce meno bene la sua attività di naturalista e la sua qualità di filosofo e di poeta davanti al mistero della natura. È così che il discorso su Plinio ha condotto a parlare della scienza come arte della meraviglia, a ritrovare quello che diceva Carlyle: la scienza senza meraviglia è un paio di occhiali dietro i quali non ci sono gli occhi.(4)

 

 

Fisica e storia alla scuola professionale

 

Sempre nell’ottica della formazione della persona, un gruppo di docenti di una scuola professionale(5) ha intrapreso un progetto destinato a far sì che gli allievi operino una sintesi di tre materie differenti – italiano, storia, fisica – tanto a livello delle conoscenze quanto a livello delle abilità: aver acquisito un metodo di studio efficace e flessibile, comprendere testi scientifici, storici, letterari, prendere appunti, lavorare in laboratorio. Il lavoro è stato realizzato con due gruppi di studenti.
Con una classe di allievi del primo anno, si sono presi come punto di riferimento i concetti di calore e temperatura. Questi concetti sono stati esaminati dal punto di vista teorico e dal punto di vista operativo, applicati a problemi tipo e approfonditi con un’attività di laboratorio tesa a mettere in evidenza la profonda interdipendenza tra l’ipotesi esplicativa e la verifica sperimentale. I docenti hanno scelto come testi di riferimento brani di Democrito, Platone, Aristotele, Jean Prévost, James Black, Benjamin Rumford, Sadi Carnot, Rudolph Clausius. La lettura commentata dei testi è stata sviluppata soprattutto nelle ore di italiano e di storia.
Con una classe di allievi del secondo anno, il coordinamento tra fisica e storia è stato centrato sul concetto di movimento, di cui si è seguita l’evoluzione a partire da Aristotele (che vi scorgeva soprattutto una forma di cambiamento e ignorava il suo aspetto quantitativo) fino a Galileo, che lo prese in considerazione soltanto in quanto cambiamento di posto e quindi misurabile, per il trionfo del determinismo meccanicista.
[A sinistra: Aristotele e Platone (Luca della Robbia)]
Qui, i brani letti provenivano da Asimov, Aristotele, Buridano, Galileo, Newton, Kant, Einstein e Infeld. L’attività in laboratorio ha avuto come specificità l’insistenza sull’aspetto «verifica di un’ipotesi già elaborata teoricamente» piuttosto che sull’aspetto «scoperta di fenomeni nuovi».
Come risulta da una valutazione periodica fatta con quesiti a risposta aperta, la maggior parte degli allievi ha colto lo spirito dell’iniziativa. Gli autori di questo articolo pensano che sarebbe ben fatto, in altre iniziative dello stesso genere, stabilire con il metodo tradizionale dell’interrogazione orale, che è eminentemente transdisciplinare, che cosa alla fine è stato acquisito a livello di crescita personale.

 

 

Una visita di istruzione e un open day

 

I rapporti fra le scuole e la società al servizio della quale esse funzionano sono spesso contrassegnati da iniziative straordinarie che, in quanto tali, possono mettere in evidenza la dimensione transdisciplinare sottostante all’insegnamento, anche se non sono state concepite esplicitamente in uno spirito di sintesi centrato sull’uomo. Del resto è questo lo spirito di molte iniziative del Palais de la Découvert.
I due esempi seguenti, che rientrano nel quadro dell’insegnamento della fisica, permettono di illustrare questa considerazione nel contesto dell’insegnamento della fisica in un liceo scientifico.(6)
Durante la preparazione di una visita a Elettra, il sincrotrone di Trieste, il cui interesse principale è la produzione della «luce di sincrotrone» si è chiesto a un gruppo di allievi di preparare delle relazioni sugli acceleratori di particelle cariche, sulla luce di sincrotrone e sull’utilizzazione di Elettra.

La dimensione transdisciplinare si è manifestata su due temi in particolare: le circostanze storiche e le personalità che hanno generato questo tipo di dispositivi; i concetti fondamentali in gioco, in particolare quello di «visione» nel caso di una radiazione che non ha le caratteristiche della luce ordinaria.
È qui che si è condotti a riflettere sul legame tra il mondo della fisica di questo estremamente piccolo, che è uno dei due infiniti di Blaise Pascal, e il rapporto dell’uomo con il mondo delle cose che lo circondano, a condizione, evidentemente, che il docente ne sia ben cosciente lui stesso.
[A destra: Basovizza (Triestre), Sincrotrone Elettra, l’anello di luce]
Gli open day, oggi molto diffusi, potrebbero essere occasioni perché lo spirito transdisciplinare entri nella mentalità sia dei giovani che delle loro famiglie. Questa possibilità è stata verificata nell’occasione di un open day per l’organizzazione di un exhibit che coinvolgeva i docenti di fisica e gli allievi (quindicenni) alla fine del secondo anno del liceo scientifico. Una rivisitazione critica degli argomenti studiati “no a quel momento ha permesso di scegliere la luce come un insieme di fenomeni che si potevano prestare per la presentazione a un pubblico senza conoscenze specifiche. Il percorso concettuale è stato illustrato attraverso un itinerario concreto scandito da tre fenomeni che si osservano in natura: la riflessione, la rifrazione e la dispersione della luce.
Ognuno di questi presentato su un pannello utilizzando una struttura e un linguaggio tali che tutti potessero comprendere il fenomeno, la modellizzazione geometrica e la verifica sperimentale. L’exhibit sfociava infine su fenomeni del tutto inusuali, la di!razione e l’interferenza della luce laser, i quali permettono di mostrare i limiti dell’ottica geometrica che, del resto, è alla base della teoria della prospettiva e delle proiezioni.
Fino a questo punto non si è realmente usciti dall’ambito scientifico; tuttavia si è arrivati a un livello dove la transizione a una prospettiva transdisciplinare è divenuta possibile; che cosa c’è di più transdisciplinare della presa di coscienza dell’importanza della luce in tutti gli aspetti della vita umana, dal raggio verde di un delizioso racconto di Giulio Verne, fino alla fisica dei campi elettromagnetici e “no alla luce della conoscenza che tutti noi cerchiamo anche quando crediamo di poterne negare la possibilità?

 

 

Conclusione: complessità e transdisciplinarità

 

Se si riflette un momento sulla cultura occidentale di oggi, ci si rende conto che il riduzionismo meccanicista domina le tendenze della pedagogia. Si tratta di quel punto di vista che risale a René Descartes e a Marin Mersenne, e secondo il quale il comportamento di un animale non è che una sequenza lineare di stimoli-reazioni.
Questa idea era accettabile nel XVII secolo, perché le conoscenze di fisiologia erano limitate, e per quello che riguarda l’uomo gli si attribuiva uno spirito indipendente dalla materia; oggi questa idea è scientificamente ridicola.
Malgrado questo progresso, dato che la specializzazione ha creato compartimenti stagni fra le discipline, in pedagogia trionfano le iniziative che rimpiazzano l’antica paideia, la «formazione dell’uomo libero», con la preparazione in vista della «vita reale» (real life), cioè l’applicazione del condizionamento stimolo-risposta per far sì che i giovani apprendano ad associare idee in modo totalmente automatico.(7)
È un punto di vista incredibilmente semplicistico, che elimina il soggetto pensante, considerato inutile, e pretende di collocarsi così su un piano di oggettività. […] La via transdisciplinare per uscire da questa situazione è stata aperta da Edgar Morin, che ha percepito l’origine dell’errore nell’assenza della dimensione «complessità» nel pensiero pedagogico dominante.(8)
Solo tenendo conto che un sistema educativo è un sistema complesso si ritrova l’uomo come soggetto pensante; e, dato che l’uomo è a sua volta un sistema complesso, non se ne può tener conto se non tenendo conto anche della dimensione etica ed estetica dell’uomo.
Se è qui che si ritrova l’essenza della transdisciplinarità, si comprende bene che occorrerà che le idee suggerite dagli esempi di cui si tratta in questo articolo e da altri simili divengano elementi essenziali della formazione scolastica.

 

 

 

Giuseppe Del Re
(Ordinario di Chimica Teorica presso l’Università “Federico II” di Napoli)

 

 

 

Note

  1. E. Morin, Quel savoirs enseigner dans les lycées (Paris: Centre National de Documentation Pédagogique, 1998), pp. 3-56.
  2. Paolo Moraschini, prima classe della scuola primaria, Cernusco sul Naviglio (Milano), anno scolastico 2003-2004, Viventi e non viventi, in: Emmeciquadro n. 30, agosto 2007.
  3. Lorenzo Motta, Liceo scientifico “Alexis Carrel”, Milano, anno scolastico 2002-2003, Plinio e l’arte della meraviglia, in Emmeciquadro n. 19, dicembre 2003.
  4. Thomas Carlyle, Sartor Resartus (1838) (London: Dent, Everyman’s Library 1973).
  5. P. Grisetti, P. Iotti, M. Pellegrini, Alla ricerca di nuovi cieli, in: Emmeciquadro n. 2, giugno 1998.
  6. Le iniziative qui descritte sono state realizzate al Liceo scientifico dell’Istituto “Sacro Cuore” di Milano.
  7. I nomi de J.B. Watson e B. Skinner, discepoli di John Dewey, sono emblematici di questa tendenza.
  8. M. Ceruti, E. Morin (a cura di), Simplicité et Complexité (suppl. 3/1988 a “50, rue de Varenne”), Mondadori, Milano 1988; per una rassegna degli aspetti pedagogici, cfr.: Basarab Nicolescu, La transdisciplinarité (Paris: Éditions du Rocher 1996).

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 36 di Emmeciquadro


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