In una scuola alla periferia di Milano si è sviluppato, durante un lavoro sul tema del galleggiamento proposto alle classi quinte della scuola primaria e alle classi prime della scuola secondaria di primo grado, un percorso di insegnamento della fisica che porta con sé i tratti più significativi del metodo scientifico utilizzato nella ricerca, al fine di condurre i bambini verso quell’evento unico che è la «scoperta»: l’accorgersi di qualcosa sempre visto ma mai compreso nel suo nesso significativo con il resto del reale. Gli esperimenti, opportunamente guidati, hanno posto a tema in modo diretto i nessi tra i diversi fenomeni e tra i diversi aspetti del fenomeno che il modello riesce efficacemente a esplicitare. Individuando livelli di conoscenza adeguati all’età dei ragazzi, il percorso ricorsivo è diventato occasione di ampliamento, di approfondimento delle conoscenze e di sviluppo del linguaggio: dall’osservazione e descrizione alla sintesi propria del linguaggio matematico.



Nell’istituto comprensivo nel quale insegno, mi è stato affidato il compito di favorire un raccordo tra una classe quinta della scuola primaria e una classe prima della scuola secondaria di primo grado; questo lavoro è stato l’occasione per la mia riflessione sul galleggiamento. L’interesse al tema era nato dalla lettura, su questa rivista, delle relazioni di due esperienze svolte nella scuola primaria da Paolo Di Trapani (Emmeciquadro n. 24, agosto 2005) e da Paolo Moraschini (Emmeciquadro n. 33, agosto 2008).
Il fascino dei due racconti e la modalità con la quale un argomento così complesso diventava esperienza scientifica accessibile ai bambini, mi ha fatto desiderare e pensare a un’esperienza di conoscenza che, rispettando la ricorsività tipica dell’indagine scientifica, potesse essere significativa per me e per gli alunni delle classi che avevo di fronte.
Così ho cominciato a progettare due percorsi, uno per la quinta primaria e uno per la prima secondaria, tenendo presenti, in generale, i «progressi» nel¬le capacità logiche e di ragionamento che il bambino compie a questa età. Ma restavano aperte questioni che, come vedremo, hanno trovato una prima risposta durante lo sviluppo del lavoro.
Quale era il passo adeguato per i bambini della quinta? E per i ragazzi della prima della scuola secondaria di primo grado? Cosa c’è (ci deve essere) di diverso perché si possa realmente compiere un passo avanti nell’apprendimento e conquistare nuova conoscenza?
In termini strettamente didattici, il nodo più problematico nel percorso di apprendimento che si compie nella scuola del primo ciclo è proprio il passaggio tra la scuola primaria e quella secondaria. Perciò, nel progettare il lavoro, occorreva avere ben chiari i criteri su cui fondarlo.
Ho sperimentato da molto tempo, nelle mie classi, un metodo basato sulle azioni chiave dell’indagine scientifica: «incontrare» la realtà (il mondo in cui viviamo e di cui insieme ai ragazzi facciamo esperienza), a cui «porre domande»; cercare di dare risposte alle domande utilizzando «esperimenti» progettati ad hoc; e, infine, «riflettere» sul lavoro compiuto per prendere coscienza del passo di apprendimento realizzato.
I percorsi, che descrivo in questo contributo, sono stati svolti nelle due classi separatamente e si sono raccordati in modo significativo: alla fine del segmento di quinta gli stessi alunni hanno raccontato il loro lavoro ai compagni della prima della secondaria di primo grado, in un incontro che è stato conclusivo per i primi e d’avvio per i secondi che, alla fine, in un altro incontro, hanno relazionato ai compagni più piccoli.



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Michela Brizzi
(Docente di Matematica e Scien­ze presso la Scuola Secondaria di Primo Grado dell’IC di Basi­glio (Mi))

© Pubblicato sul n° 37 di Emmeciquadro


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