La ricerca biologica procede ormai a un ritmo talmente elevato e a livelli talmente specialistici che risulta difficile, anche per chi ha una preparazione specifica, capire cosa sta succedendo in molte aree di indagine e cogliere la portata e le implicazioni di nuove scoperte. È il caso, per esempio delle cellule staminali pluripotenti indotte (induced Pluripotent Stem cells, iPSc) che oggi possono essere ottenute riprogrammando cellule adulte senza impiego di virus e quindi, in teoria potrebbero essere utilizzate in terapia, anche sull’uomo, con meno rischi per lo stabilirsi di percorsi collaterali. Ma non tutti i problemi sono risolti. Perciò abbiamo chiesto a chi ricerca sul campo di aiutarci a «fare il punto» e a capire potenzialità e limiti delle iPS.
Si definiscono pluripotenti quelle cellule staminali che possono specializzarsi in tutti i tipi di cellule che sono presenti nell’individuo adulto. Si dicono pluripotenti indotte quelle cellule staminali pluripotenti (induced Pluripotent Stem cells – iPSc) che sono ottenute da cellule adulte mediante trasferimento di virus ricombinanti secondo una tecnica introdotta nel 2007 da un gruppo di ricercatori dell’Università di Tokyo [1]. Tale scoperta, pur sensazionale, non ha mai trovato applicazione nell’uomo in quanto l’utilizzo di virus implicava il rischio che, in determinate situazioni, le cellule potessero diventare cancerose e il conseguente rifiuto di larga parte del pensiero bioetico.
In uno degli ultimi numeri di Nature, una delle più importanti riviste scientifiche internazionali, sono usciti due articoli, uno dall’Università di Edimburgo [2] e l’altro dall’Università di Toronto [3], che riportano come cellule staminali pluripotenti siano state adesso ottenute con una tecnica innovativa che non richiede impiego di virus.
Al fine di trasferire in cellule adulte geni che le facciano regredire allo stato di cellule staminali pluripotenti è stato impiegato un particolare vettore, chiamato piggyBac, costituito da una sequenza di materiale genetico (transposone) capace di spostarsi da una posizione all’altra del genoma. Benché la sperimentazione condotta su alcuni topi abbia dato ottimi risultati, una sua possibile applicazione sull’uomo è ancora lontana.
È probabile e auspicabile che, grazie a ricerche di questo tipo, si possa, in futuro, intervenire nella rigenerazione/riparazione d’organi e tessuti danneggiati da patologie oggi ritenute incurabili. Tuttavia ciò non deve essere fonte di confusione e non deve alimentare l’illusione (soprattutto nei malati) che la strada sia facile e breve.
Anche di fronte a questi risultati positivi occorre considerare alcuni fondamentali aspetti critici tra i quali è opportuno segnalare i seguenti: in questi esperimenti sono state usate ancora cellule fetali; la sicurezza dei trasposoni (sebbene di gran lunga maggiore di quella correlata all’uso di retrovirus) non è stata ancora provata con certezza; in ogni caso, alcuni geni correlati alla pluripotenza (per esempio c-myc) sono molto sospetti a causa della loro potenziale tumorigenicità; ammesso di poter superare il problema etico evitando l’uso di embrioni e feti, rimane il serio problema del controllo biologico delle cellule staminali pluripotenti, che, indipendentemente da come siano state ottenute, devono essere conosciute in modo esaustivo prima di essere utilizzate in clinica.
Una recente interessante pubblicazione sulla rivista Cell (Zarzeczny et al., iPS Cells: mapping the policy issues. Cell, 139:1032-1037, 2009) pur tralasciando la mole di considerazioni di tipo biologico ha cominciato a porre una serie di problemi di natura etica, legale e sociale sollevate dal potenziale uso delle cosiddette induced Pluripotent Stem cells (iPSc) e cioè di cellule adulte riprogrammate che presenterebbero caratteristiche molto simili alle cellule embrionali. Questa metodologia è stata giustamente salutata come una vittoria etica essendo una modalità che permette di ottenere cellule «simil-embrionali» senza la necessità di creare e distruggere embrioni umani. Vari metodi sono stati usati per riprogrammare le cellule adulte mediante vettori virali e transposoni e, ultimamente, anche metodi farmacologici.
Resta, tuttavia, da riconoscere che poco o nulla si conosce della biologia e della stabilità genetica di queste cellule «pluripotenti» e, sebbene esse abbiano suscitato un legittimo entusiasmo questo è talvolta risultato essere alquanto acritico. In buona parte a questo filone va ascritto anche quanto recentemente è stato enfatizzato circa la possibilità di ottenere «neuroni» partendo da fibroblasti adulti. Molti aspetti lasciano infatti intravedere che la via delle iPS non sarà del tutto semplice da percorrere e che per giungere a un loro uso in terapia dovranno essere affrontati e superati sia problemi di carattere biologico di base correlati alla loro sicurezza, ma anche i diversi aspetti di carattere etico che non si possono trascurare.
In questa breve nota vorrei riproporre alcuni di questi temi cui il succitato articolo fa riferimento e la cui portata non deve essere sottovalutata anche per non generare illusorie speranze in malati indotti a supporre rivoluzionarie applicazioni terapeutiche in tempi brevi.
Due aspetti critici
Due aspetti critici generali, ma essenziali, riguardano il problema della «privacy» e del «consenso» conseguenti al fatto che le linee cellulari iPS contengono informazioni genetiche del suo donatore. La proposta di rendere anonime queste linee cellulari induce a molte perplessità sia perché il loro imprinting genetico resta identificabile e riconducibile al donatore ma, soprattutto, perché proprio lo scopo per cui esse sono «costruite» e utilizzate (la cura) prevede come essenziale la loro «tracciabilità» e quindi anche il legame con il donatore.
Potrebbe essere importante verificare lo stato di salute del donatore le cui cellule sono utilizzate in terapia oppure corrispondere al diritto del donatore di essere informato su dati inattesi che ricerche sulle sue cellule avessero evidenziato (per esempio la predisposizione a una determinata patologia). Un aspetto quanto mai importante perché mette in discussione la stessa natura e lo scopo del consenso è la risposta alla domanda: il consenso informato del donatore deve essere considerato definitivo e permanente oppure limitato nel tempo (il donatore deve avere il diritto di «ritirare» il consenso?).
D’altra parte un generico consenso a «fare ricerca» sulle proprie cellule non sarebbe realmente un consenso «informato» perché non in grado di comprendere anche future, non previste, informazioni. Queste, infatti, potrebbero essere importanti per il paziente e per il donatore e quest’ultimo potrebbe non considerare coerenti con le proprie convinzioni culturali e morali nuove applicazioni fatte con le sue cellule. Già allo stato attuale delle cose, un generico consenso non protegge dal rischio di applicazioni discutibili che si possono fare con queste linee come la produzione di gameti o di embrioni per citarne alcune.
A quanto sopra si aggiungono poi i problemi connessi alla forte spinta brevettuale per la commerciabilità di queste tecnologie (per esempio licenze multiple, contenziosi, eccetera) che potrebbe anche incidere negativamente sui presunti benefici sociali dell’utilizzo delle iPSc. Negli Stati Uniti alcuni donatori hanno già preteso diritti economici per cellule da loro donate e fatte uso di prodotti commerciali ma le loro ragioni non sono state accolte.
Utilizzo delle iPS
A fronte dei problemi sopra riportati ve ne sono altri ancora più gravi e insidiosi (anche complicati dalla continua evoluzione delle tecnologie) riguardanti gli aspetti etici connessi all’utilizzo delle iPS. La stessa possibilità di utilizzare in terapia queste linee cellulari (cui tutti plaudono) richiederà necessariamente lo studio delle iPS in modelli animali e quindi la probabile necessità di creare chimere e ibridi uomo animale. Inoltre la domanda cruciale cui si deve ancora rispondere, e che riguarda proprio l’equivalenza tra iPS e cellule embrionali, ha già comportato l’invocazione di maggiori ricerche sulle cellule embrionali umane. Anche la derivazione di gameti a partire da iPS, aprendo la strada alla loro applicazione nel campo degli studi sulla fertilità, ha posto la necessità (prima delle applicazioni cliniche) di verificarne la funzionalità e quindi di dover creare e distruggere in laboratorio altri embrioni umani.
Da ultimo, ma non meno importante, va considerato che la forte pressione commerciale che sta dietro queste nuove tecnologie potrebbe anche rallentare od ostacolare importanti approfondimenti clinici e biologici che occorre siano condivisi per poter giungere a stabilire criteri standardizzati di efficacia e di sicurezza nelle terapie cellulari.
Un esempio, altamente negativo, è quanto accade negli USA dove (per ragioni brevettuali) i dati ottenuti in trial clinici dalla compagnia Geron con cellule embrionali umane sono conosciuti «confidenzialmente» solo dalla agenzia statale FDA (Food and Drug Administration).
Poiché non si conoscono i dati (sull’efficacia, sulla sicurezza e sulle procedure di preparazione) nessuna nuova applicazione può tenere in conto queste informazioni che dovrebbero, al contrario, essere patrimonio comune per chi inizia fasi cliniche in pazienti. In questo caso specifico significa che altri studi con embrioni umani possono iniziare senza nemmeno tenere conto di quanto già si è ottenuto con precedenti studi e quindi ripetendo anche cose già fatte.
Il modo aggrovigliato (ma sottile) con cui questi problemi si stanno affacciando non arrivano facilmente a essere colti dall’opinione pubblica. Tuttavia essi devono indurci a una seria riflessione perché siano affrontati senza pasticci e senza cadere nella tentazione di prendere scorciatoie pericolose.
Soprattutto occorre mantenersi «realisti» perché, come scrive Maria Zambrano, «Quando la coscienza si distacca dalla realtà, si insinua lo stato di sogno: è quando si commettono i grandi equivoci prodotti dalla distrazione che è più che mai disattenzione, abbandono, mancanza di contatto con la realtà.»[5].
Augusto Pessina
(Presidente Associazione Italiana di Colture Cellulari (AICC) Dipartimento di Sanità Pubblica, Microbiologia,Virologia, Università di Milano)
Indicazioni Bibliografiche
Takahashi K, Tanabe K, Ohnuki M, Narita M, Ichisaka T, Tomoda K, Yamanaka S. Induction of pluripotent stem cells from adult human fibroblasts by defined factors. Cell. 131:861-72, 2007.
Zaehres H, Schöler HR. Induction of pluripotency: from mouse to human. Cell 131:834-835, 2007.
Michael IP, Mohseni P, Desai R, Mileikovsky M, Hämäläinen R, Cowling R, Wang W, Liu P, Gertsenstein M, Kaji K, Sung HK, Nagy A. piggyBac transposition reprograms fibroblasts to induced pluripotent stem cells. Woltjen K, Nature. 2009 Mar 1. [Epub ahead of print] del Samuel Lunenfeld Research Institute, Mount Sinai Hospital, Toronto, Ontario M5G 1X5, Canada
Kaji K, Norrby K, Paca A, Mileikovsky M, Mohseni P, Woltjen K. Virus-free induction of pluripotency and subsequent excision of reprogramming factors. Nature. 2009 Mar 1. [Epub ahead of print] del MRC Centre for Regenerative Medicine, Institute for Stem Cell Research, University of Edinburgh, Edinburgh EH9 3JQ, UK)
M. Zambrano, Per l’amore e per la libertà, p. 148, Marietti 1820, 2008.
© Pubblicato sul n° 38 di Emmeciquadro