La prima parte della conversazione con Bombieri è stata già pubblicata nel numero precedente della Rivista ed era dedicata al racconto della sua vicenda personale di ricercatore; in questa seconda parte, Bombieri risponde alle domande poste dagli studenti, che affrontano vari temi, da quelli più personali, per esempio le difficoltà e le motivazioni nello studio della matematica, a quelli più generali, come il concetto di verità scientifica, la collaborazione tra scienziati, la creatività in matematica.



La conversazione con Enrico Bombieri si è tenuta Lunedì 27 Aprile 2009 all’interno di un ciclo di incontri dal titolo: “Perchè fare matematica?” presso il Dipartimento di Matematica dell’Università degli Studi di Milano.

Rispetto al metodo con cui ci si muove nella ricerca, che rilievo ha essere in una comunità scientifica, cioè essere in rapporto e in amicizia con alcuni colleghi?



Oggi il lavoro da soli non si può fare. In realtà ci sono dei casi speciali: il matematico Perel’man (1) [immagine a sinistra] lavora da solo e ha fatto cose straordinarie. In generale tuttavia la collaborazione scientifica è fondamentale, permette di accorciare i tempi, evitare i passi falsi, le strade senza uscita ed è origine anche di nuove idee. Dunque leggere, leggere e leggere, aggiornarsi, informarsi degli argomenti di cui uno è interessato, sapere ogni mese quali sono i nuovi contributi: senza questo è difficile andare avanti. Anche i contatti personali sono molto importanti.
Ho già menzionato quanto ho imparato dai molti maestri che ho incontrato all’inizio della mia carriera, ma anche più avanti, quando uno ha già un po’ scelto la direzione in cui andare, gli scambi di idee sono importanti. Una cosa su cui fare attenzione: trovare le persone giuste con cui parlare. Purtroppo ci sono casi in cui parli troppo con persone che poi ti salutano, ti prendono tutto quello che è utile, ci aggiungono magari molte cose importanti, perché hanno una tecnica migliore della tua, e si affrettano a pubblicare il lavoro senza nemmeno un piccolo ringraziamento. Casi del genere si verificano, anche se non sono comuni e di solito non hanno particolari conseguenze; ma a me una volta è capitato che un matematico copiasse una pagina intera della mia conferenza fatta al Congresso Internazionale dei Matematici nel 1974, e che pari pari l’avesse inserita nel suo lavoro e poi lo avesse pubblicato senza citare da dove veniva. Di solito questo non si fa. Quindi occorre anche imparare a conoscere le persone con cui collaborare e chi trova un collaboratore «come si deve» trova veramente un tesoro.
Nella matematica troverete esempi di collaborazione, nella Teoria dei Numeri, come quello dei matematici Hardy e Littlewood (2) [immagine a destra] che hanno lavorato insieme gran parte del tempo; c’era chi diceva: «In Inghilterra ci sono tre grandi matematici: ci sono Hardy, Littlewood e Hardy-Littlewood».(3)  Se Hardy faceva delle cose per conto proprio, che non erano di interesse per Littlewood, pubblicava per conto proprio, Littlewood lo stesso, ma la maggior parte dei lavori sono stati fatti insieme. E a volte, se di interesse comune, il lavoro, anche se era fatto da uno solo, veniva pubblicato con i due nomi perché era quello il settore in cui lavoravano insieme. Ora, non occorre arrivare a questi livelli, però è importante tener presente che l’etica professionale è un fatto importante da considerare nella collaborazione.



Qual è il rapporto che c’è tra una verità scientifica, matematica, fisica, quindi una verità parziale, provvisoria, nel senso di suscettibile di prova, e il nostro bisogno umano di verità ultima, cioè di verità assoluta come destino?

Succede a tutti gli scienziati che arrivano a una certa età e si avvicinano alla pensione di cominciare a pensare riguardo ad argomenti un po’ al di fuori della ricerca pura e semplice. Così mi è capitato che, due anni fa, fossi incuriosito dall’idea «Che cos’è l’infinito?» e cose del genere. Ho cominciato a leggere un po’, a cercare di capire cosa sia l’infinito nella matematica e ho scritto un articolo che adesso è su Internet (4), anche se l’articolo finale è stato modificato notevolmente e verrà pubblicato, non so quando, in un volume apposito.
Allora, dato che questo esperimento era stato molto interessante, ho fatto il passo successivo: cercare cosa significhi la verità nella matematica. Il risultato è curioso. Innanzitutto verità non significa dimostrazione: la dimostrazione, la verifica di qualche cosa, non è una cosa che contraddistingue la verità, anche se naturalmente esistono dei teoremi di matematica. Fissato un linguaggio matematico ci sono dei teoremi che sono veri, ma non dimostrabili con questo linguaggio: per esempio già nell’analisi combinatoria c’è un teorema al finito che non è dimostrabile nel modello dell’aritmetica, che include la combinatoria di Peano (5), [immagine a sinistra] il principio di induzione, l’uso dell’infinito e così via. Per dimostrarlo occorre passare a un livello ben più ampio con il calcolo degli infiniti, la teoria degli insiemi, il modello standard di Zermelo-Fraenkel (6) con l’assioma della scelta [Abraham Fraenkel: immagine a destra].
Quindi il concetto di verità è molto delicato. Si può dare una definizione di verità in un modello matematico? La risposta è negativa. Per dare una definizione di verità in un modello matematico occorre ampliare il modello; nel modello ampliato, allora, si può dare una definizione che si applica al modello più piccolo dentro il modello grande. Ma questa definizione non è unica: diversi ampliamenti danno nozioni diverse di verità [Ernst Zermelo: immagine a sinistra].
  E quindi è anche pensabile che certi teoremi, che sono considerati validi perché verificati in un modello, non siano più validi in un altro. L’esempio classico è l’ipotesi del continuo. In questo caso la difficoltà è trovare insiemi intermedi tra il numerabile: 1, 2, 3, … infinito, e il continuo: la linea continua, cioè i punti di una linea. Esiste qualcosa a metà? La risposta dipende da come si definiscono gli insiemi; ci sono quindi modelli in cui puoi fare questo passaggio intermedio e modelli in cui non lo puoi fare.
La ricerca della verità assoluta va oltre la scienza. Anche nella matematica, scienza della logica, della razionalità, non puoi trovare una verità assoluta perché dipende da un linguaggio: devi accettare un linguaggio per poterne parlare, per descriverla.
Allora c’è una verità assoluta? A questo punto ci si inoltra in un livello diverso, un livello metafisico, religioso. Il mio parere, quello che sento personalmente, è che la verità assoluta ci sia, ma l’unico modo di raggiungerla è che ci raggiunga lei. Insomma, è una questione di fede: uno la può accettare o non accettare, ma sta a noi fare quest’ultimo passo.
Possiamo guardarci, pensare, aprire la mente e il cuore, e a volte riusciamo ad accettare anche quello che non possiamo dimostrare matematicamente. Questo è quello che penso io, è una cosa personale, è un’accettazione personale.

Durante questi anni mi sono accorto che il fare esercizi, lo studiare teoremi, rende palese e familiare quello che all’inizio sembra difficile e inaccessibile, tanto che uno si chiede come facesse prima a non vedere quello che alla fine è risultato così chiaro. Anche lei fa esperienza di questo e, se la risposta è positiva, come ciò avviene nel suo lavoro?

Come ho detto all’inizio, il mio primo incontro con l’Analisi è stato non con un libro diciamo di Analisi 1 o Analisi 2, ma con Esercizi di Analisi Matematica (7) di Picone e Miranda. Quindi cosa ho imparato lì? Ho imparato come si usa l’Analisi e, impacome si usa, ho capito come mai l’Analisi era fatta in quel modo; quindi è assolutamente indispensabile fare esercizi, avere tutti gli esempi disponibili di quello che va bene e anche quello che va male, cioè gli esempi in cui le cose non funzionano. Gli esercizi possono essere difficili e uno dice «ma perché fare questi esercizi?»; la risposta è «perché facendoli si impara a usare lo strumento», lo strumento teorico, e in questo modo riusciamo anche a capire come mai lo strumento teorico è fatto in quel modo e non in modo diverso. Quindi è una parte necessaria, a volte non tanto interessante, ma gli esercizi vanno fatti, c’è poco da dire: facendo gli esercizi uno impara, deve capire che sta imparando uno strumento. È come guidare la macchina: uno può leggere tutti i manuali, ma poi deve andare sulla strada, magari con il guidatore vero a fianco che gli dice «no, no, frena, frena». All’inizio fare esercizi è come imparare a guidare la macchina, dopodiché quando arrivi a dire «ma no, io li so fare benissimo, so guidare la macchina!», a quel punto inizi a fare il viaggio e vai dove vuoi tu.

 

Quale può essere il contributo della matematica e dei matematici nella società, per esempio nel mondo del lavoro?

 

Al momento vediamo che gli studenti si allontanano dalla scienza in generale e dalla matematica in particolare, certamente ciò avviene in America, quindi si assiste a una certa mancanza di giovani leve in questi settori. I motivi sono svariati.
Anzitutto mi sembra di osservare in generale una certa reazione verso la scienza; questo si vede nei giornali, nella televisione, nei media, nei film e così via. Vediamo per esempio (io sono rimasto molto sorpreso) che alla televisione prima del telegiornale c’è l’oroscopo. Superstizione e magia: la magia adesso è di moda nei film, nella letteratura di evasione; una volta c’era la science fiction, adesso c’è la fantasy fiction (quindi maghi, streghe, quello che volete); c’è anche una certa avversione indiretta contro la scienza.
Il fatto è che, almeno in America, ho visto molti giovani che avevano cominciato la carriera matematica e che hanno deciso di abbandonarla per diventare imprenditori (quelli che io chiamo gli «imprenditori d’assalto» o i «finanzieri facili dell’alta finanza»), per fare i miliardi il più possibile e si capisce anche perché: quando un matematico va a lavorare (adesso non so se succederà ancora) per una di queste grosse banche di investimento americane, come primo stipendio si prende duecentomila dollari all’anno e dopo due anni può fare mezzo milione di dollari. Ora, un matematico professionista nella sua vita potrà mettere da parte dall’uno ai due milioni di dollari, ma non di più, e non ha pensione, cioè quello che mette da parte è la sua pensione. Quindi si capisce che c’è una certa tendenza, anche da parte delle persone più dotate a dire: «io non ce la faccio così, voglio qualcosa di più facile». E questa è una difficoltà che va risolta, che andrà risolta in qualche modo.
Nel tentativo di usare la matematica in ogni aspetto della vita, nelle scienze sociali come nella finanza, c’è una difficoltà fondamentale: non esiste al giorno d’oggi un modo serio per fare un modello matematico del comportamento umano; cosa che abbiamo visto nel crollo del sistema finanziario mondiale. C’erano dei modelli che dicevano che questo non poteva succedere, che il rischio era ripartito dappertutto e così via. Mancava una cosa che c’è, una quantità che tiene insieme la società e che si chiama, in inglese, trust, la fiducia. Quando manca la fiducia crolla tutto e questa quantità non si può monetizzare in dollari o sterline. I modelli non hanno tenuto conto della persona che dice: «no, no, io con quella persona ci ho lavorato una volta e non ci lavoro più!». E questo è quello che è successo: un’incredibile reazione a catena che non è ancora finita, ma speriamo che se ne esca, tutto sommato, abbastanza bene e con una società più equilibrata in cui la matematica avrà il suo valore, verrà usata e non abusata.
La matematica è utilissima alla società ma va usata in modo che non danneggi la società stessa.

 

In base alla sua esperienza personale e anche alla collaborazione che lei ha sviluppato con tanti altri illustri matematici, qual è la caratteristica fondamentale della creatività in matematica? Lei ha parlato di «vedere avanti». Che cosa consente questo salto logico?

 

Dunque, teniamo presente che ognuno ha un modo di pensare, ognuno pensa a modo suo; il cervello è una cosa molto strana, è una macchina molto complicata. Non ci sono mai due persone che pensano allo stesso modo, questo anche nella pratica. Quindi, per rispondere, farò tre casi limite: il primo è il matematico Eulero.(8) Eulero è uno dei grandi fondatori della matematica moderna. Negli ultimi quindici anni della sua vita quando era completamente cieco, ha scritto il 55% delle sue opere.
Opere fondamentali: fondamenti dell’Idraulica, dell’Ottica, parte della Meccanica e così via, Analisi. Come faceva? Lui aveva uno scrivano e gli dettava parola per parola, formula per formula. Come noi scriviamo una lettera, lui scriveva un libro di matematica. E se guardate quanti sono i volumi delle opere complete di Eulero pubblicati al giorno d’oggi scoprite che sono 56 e non sono ancora tutti. Cosa si può dire? Che aveva una testa che funzionava in un modo completamente diverso da tutti noi, almeno credo.

Un altro era Riemann (Georg Friedrich Bernhard Riemann, 1826–1866) (9). Riemann [immagine a sinistra] era una specie di visionario che immaginava le cose; vedeva gli spazi a più dimensioni come noi vediamo il piano o lo spazio a tre dimensioni in cui viviamo; io lo spazio a quattro dimensioni non riesco proprio a immaginarlo veramente, lui, invece, a n dimensioni sì. E i contemporanei di Riemann si lamentavano perché il modo in cui scriveva era molto oscuro, pur capendo che scriveva cose fondamentali. E se al giorno d’oggi uno legge i manoscritti, proprio quelli scritti di sua mano, li trova veramente oscuri, anche se corretti quando uno guarda per bene. Per lui era evidente, mentre per noi ancora al giorno d’oggi, nonostante tutta la specializzazione, è piuttosto difficile da leggere. Il terzo esempio è di altra natura, è Ramanujan,(10) matematico indiano [immagine a destra] che scrisse lettere straordinarie ad Hardy, considerato uno dei più grandi matematici del momento, perché non riusciva a trovare nessuno in India con cui parlare di matematica ad alto livello. Egli scrisse queste lettere, dall’India a Cambridge, in cui elencava i risultati che aveva trovato. Hardy dopo aver guardato, si chiese: «sarà vero? Vediamo». E con fatica (poiché nella prima lettera c’erano, non mi ricordo, dodici o quindici teoremi), insieme a Littlewood, dopo averci passato sopra svariate giornate, riesce a dimostrarne sette o otto, e capisce che questo matematico è un genio. Poi arriva un’altra lettera simile, poi un’altra e allora Hardy lo chiama a Cambridge e lo interroga e Ramanujan risponde che lui si sogna queste cose, che è la dea della matematica che gli parla direttamente. Quindi, questo è un altro caso limite.
Ora questi sono tre esempi in tre secoli diversi. Al giorno d’oggi non ne conosco altri a questo livello. Però, per fare ricerca, occorre quella «cosina di più» che non tutti hanno.
Da ragazzo mi piaceva molto giocare a calcio ma non ci pensavo nemmeno a diventare calciatore professionista, nonostante tutti gli allenamenti che avrei potuto fare. Insomma, ognuno ha certe doti, l’importante è di capire quali sono; non occorre che siano doti che portano necessariamente al successo; uno può avere delle doti con la famiglia, con l’educare i figli, nel lavoro: ci sono delle persone che fanno assistenza sociale e che sono assolutamente straordinarie, che sono veramente un dono alla società. Ognuno deve fare quello che può fare.

 

Sono una studentessa del primo anno e sto facendo molta fatica perché mi sembra che la matematica sia una materia astratta, che non abbia un fine pratico in sé stessa e che sia poco umana. Per cui le chiedo: cosa la attrae di questa materia e perché ha deciso di spendere tutta la vita per questo?

 

La domanda è interessante [Enrico Bombieri: immagine a sinistra].
La matematica all’inizio è una cosa molto arida perché è un linguaggio; è come imparare a leggere dal sillabario. La lettera A, la lettera B, e poi scrivere, a scuola, forse oggi non si fa più, ma io ho i quaderni con cinquanta lettere A scritte con la penna e l’inchiostro, una dietro l’altra. Poi c’era la lettera B, poi la C e così via. E non era divertente. Poi la lettura. Erano cose non molto interessanti. Poi piano piano, a un certo momento, ho scoperto che c’erano i romanzi da leggere, c’erano delle cose bellissime, poesie e così via. Però le poesie le ho dovute anche imparare a memoria, ho dovuto imparare un canto di Dante a memoria e ripeterlo in classe, insomma quella parte non era divertente ma la lettura di Dante era molto interessante e anche molto bella.
Quindi, il problema della matematica è che è un linguaggio puro e semplice: è il linguaggio della razionalità e della logica. E come tale è limitata, non va oltre. Quindi la matematica non è tutto. Tuttavia non possiamo fare a meno di questo linguaggio. E quando uno raggiunge un certo livello capisce che questo linguaggio razionale e logico si ramifica, ha innumerevoli conseguenze da esplorare e da mettere insieme, arriva al punto di amare la matematica. Questa però è una strada lunga e faticosa; e se uno riesce ad arrivarci sarà ricompensato. Se si ferma a metà, va bene lo stesso, avrà imparato qualche cosa; ma la matematica non è l’unica cosa nella vita o nelle scienze, ci mancherebbe altro.

 

Secondo lei, come ci si dovrebbe muovere per capire se la ricerca possa essere effettivamente la propria strada?

 

Questa è una domanda a cui non è facile rispondere. [Enrico Bombieri: immagine a destra]
Però teniamo presente che, quando uno è giovane, è bene provare, tentare. La ricerca potrebbe non essere la strada giusta, ma se a uno piace la matematica magari può trovare un modo di usarla: per esempio, potrebbe essere una possibilità molto interessante riuscire a trovare degli sponsor nell’industria. Insomma, ci sono molti modi, molti aspetti interessanti della matematica, come per esempio il calcolo delle probabilità e le sue applicazioni, la statistica.
In generale la matematica nell’industria è molto importante. Si tratta, per esempio, della matematica che entra nella progettazione di una lattina di birra: è una matematica molto complessa, c’è molto calcolo variazionale per progettare queste lattine che da sé si schiacciano, ma quando hanno una bevanda gassata dentro diventano abbastanza solide e uno può metterle una sopra l’altra, in pile enormi, senza che si deformino; questo succede perché hanno un disegno speciale che è stato fatto risolvendo equazioni differenziali piuttosto complicate. Ora, questo è un esempio di come certa matematica, magari non ce ne rendiamo conto, possa apparire anche nella vita quotidiana.
Quindi il mio consiglio è: se c’è qualche direzione di ricerca, la prima cosa è che deve piacere. Se invece a uno non piace, potrebbe provare un altro tipo di ricerca, magari trovare un altro mentore se uno non è soddisfatto e se è possibile: non è sempre possibile. Comunque ci sono anche applicazioni pratiche della matematica che danno soddisfazione e sono importanti.
Quindi non bisogna scoraggiarsi e continuare a cercare la propria strada. Quando uno è giovane ha il tempo di farlo; è un duro lavoro cercare la propria strada, però va fatto.

 

 

Vai alla prima parte dell’articolo pubblicato sul n° 38 di Emmeciquadro

 

 

 

A cura dell’Associazione “Cultura Matematica” che ha promosso l’incontro di cui si riferisce nell’articolo e di cui sono stati moderatori Lorenzo Romanò e Matteo Bersanelli, studenti del C.d.L. in Matematica dell’Università degli Studi di Milano

 

 

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  1. Grigorij Jakovlevic Perel’man (Leningrado, 13 giugno 1966 – ) è un matematico esperto nel flusso di Ricci. Ha dimostrato la congettura di Poincaré, uno dei più importanti problemi insoluti della Topologia, nel 2002
  2. John Edensor Littlewood (Ro­chester (Kent), 9 giugno 1885 – Cambridge, 6 settembre 1977), matematico britannico. È noto soprattutto per i suoi contributi alla Teoria dei Numeri e in parti­colare al teorema dei numeri pri­mi. Dal 1911 collaborò con G. H. Hardy a molti lavori sull’Analisi Matematica e Teoria dei Numeri Analitica
  3. Nowadays, there are only three really great English mathema­ticians: Hardy, Littlewood, and Hardy–Littlewood”. Harald Bohr, Looking Backward, Collected Mathematical Works 1, 1952
  4. E. Bombieri, L’infinito matema­tico, www.math.it/eventi/bombie­ri.pdf
  5. Giuseppe Peano (Spinetta di Cuneo, 27 agosto 1858 – Torino, 20 aprile 1932) matematico e glottoteta italiano
  6. Adolf Abraham Halevi Fraen­kel (Monaco di Baviera, 17 feb­braio 1891 – Gerusalemme, 15 ottobre 1965), matematico tede­sco naturalizzato israeliano, noto per i suoi contributi alla logica.  Ernst Friedrich Ferdinand Zer­melo (Berlino, 27 luglio 1871 – Friburgo, 21 maggio 1953) ma­tematico e filosofo tedesco, reso celebre dai suoi contributi allo sviluppo della teoria assiomatica degli insiemi
  7. M. Picone, C. Miranda, Eserci­zi di Analisi Matematica, Tum­minelli Editore, 1957
  8. Leonhard Euler, noto in Italia come Eulero (Basilea, 15 aprile 1707 – San Pietroburgo, 18 set­tembre 1783), matematico e fisi­co tedesco. È noto per essere tra i più prolifici di tutti i tempi e ha fornito contributi storicamente cruciali in svariate aree: Analisi Infinitesimale, Funzioni Specia­li, Meccanica Razionale, Mecca­nica Celeste, Teoria dei Numeri, Teoria dei Grafi. Sembra che Pierre Simon Laplace abbia af­fermato «Leggete Eulero; egli è il maestro di tutti noi»
  9. Georg F. B. Riemann (Breselenz, 1826 – Selasca, 1866), matema­tico e fisico tedesco. Lavorò sul­la Geometria, della quale rivo­luzionò l’approccio allo studio, sull’Analisi (anche complessa) e sui numeri primi: celebre è la sua Ipotesi
  10. Srinivasa Aiyangar Ramanu­jan (Erode, 22 dicembre 1887 – Chennai, 26 aprile 1920), matematico indiano. Bambino prodigio, imparò la matematica in gran parte da autodidatta. Ramanujan ha lavorato princi­palmente nella Teoria Analitica dei Numeri ed è noto per molte formule di sommatorie che coin­volgono costanti come π, numeri primi e la funzione di partizio­ne. Spesso le sue formule erano enunciate senza dimostrazione e solo in seguito si rivelarono cor­rette. I suoi risultati hanno ispi­rato un gran numero di ricerche matematiche successive

 

 

 

© Pubblicato sul n° 39 di Emmeciquadro

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