cross-coupling in
organic synthesis”
Il premio Nobel per la Chimica del 2010 è stato assegnato con un’unica motivazione: «Per il cross-coupling catalizzato dal palladio in sintesi organica» a tre ricercatori, indipendenti tra loro, che hanno sviluppato metodi di sintesi differenti, ma unificati dall’uso di composti di palladio come catalizzatori di reazione di addizione di molecole organiche. Essi sono:
– Richard F. Heck, Università del Delaware (USA)
– Ei-ichi Negishi, Università J. Purdue (USA)
– Akira Suzuki, Università di Hokkaido (Giappone).
Con il termine organiche si indicano le sostanze le cui molecole sono, per la gran parte, formate da atomi di carbonio, per cui la chimica organica è essenzialmente la chimica del carbonio. Tra le molecole organiche troviamo, da una parte, quella semplicissima e piccolissima del metano, all’estremo opposto la gigantesca molecola del DNA nel mezzo si trovano le materie plastiche, le sostanze medicinali, quelle alimentari e persino i carburanti.
Il problema è antico; la prima sintesi di questo tipo risale a Adolphe Wurtz (1855). Già in questa sintesi si fa uso di un metallo, il sodio, e l’intervento di metalli, per «costringere» gli atomi di carbonio di molecole distinte a legarsi tra loro, è una costante che si è mantenuta fino ai giorni nostri. Il Nobel per la chimica del 1912, infatti, è stato dato a François Grignard per un metodo di sintesi imperniato su alogenuri di composti alchilici, o anche arilici, di magnesio che è stato utilizzato anche per formare legami carbonio-carbonio. Uno dei principali svantaggi è l’estrema instabilità dei reattivi di Grignard in presenza, come reagenti o come solvente, di composti in grado di liberare ioni idrogeno, al punto di essere sensibili anche all’umidità dell’ambiente.
I metodi sintetici, precedenti a quelli messi a punto dai tre premiati di quest’anno, presentano il difetto di essere eccessivamente reattivi e poco selettivi, cosa che rende impossibile selezionare in modo esclusivo l’atomo di carbonio coinvolto nella reazione e di conseguenza si ha la produzione di molti altri prodotti oltre quello desiderato, con il conseguente problema della purificazione, non sempre completa e comunque laboriosa. Le reazioni proposte, invece, sono molto selettive e avvengono in condizioni abbastanza blande, permettendo di instaurare sequenze di reazioni successive fino a formare composti anche molto complessi.
I catalizzatori sono composti chimici che intervengono in una reazione, facilitando il suo svolgimento, senza però entrare nei prodotti finali e potendo, quindi, essere riutilizzati per una nuova esecuzione della reazione. Nel caso in esame si tratta di complessi organo-metallici del palladio nello stato di ossidazione zero che dopo la reazione possono essere recuperati e rigenerati. Complessi di questo tipo sono delle strutture molecolari che non possono essere rappresentate secondo le usuali regole di Lewis; in effetti, nello stato di ossidazione zero il palladio si trova nello stato di ossidazione in cui si trova quando è nello stato metallico e il palladio metallico è un efficiente catalizzatore, usato per esempio nelle marmitte delle automobili.
Tutti e tre i metodi prevedono di utilizzare come reagente un alogenuro di una delle due specie che si intende legare mediante un legame C-C. Il palladio subisce un attacco elettrofilo da parte dell’atomo di carbonio direttamente legato all’alogeno, e quindi elettronicamente deficitario, diventando a sua volta attaccabile da un atomo di carbonio particolarmente ricco di elettroni perché legato, per esempio a un elemento meno elettronegativo: i due atomi di carbonio così legati all’atomo di palladio possono in seguito legarsi tra loro mediante un singolo legame «s».
Può sembrare strano che il riconoscimento del valore di queste scoperte sia avvenuto dopo ben trent’anni e più, ma il motivo del premio è da cercarsi nell’enorme successo che tali metodi hanno avuto nella sintesi di molte sostanze di grande utilità.
Negli ultimi anni sono state trovate diverse sostanze naturali, molto interessanti dal punto di vista farmacologico, che non è pensabile produrre per estrazione dagli organismi che le sintetizzano perché si avrebbero solo piccolissime quantità e si dovrebbero raccogliere in posti poco accessibili; le reazioni citate si sono rivelate essenziali per sintetizzarle in laboratorio.
La reazione di Hecke ha permesso la sintesi di più di cento sostanze naturali biologicamente attive. Per esempio una spugna trovata a 33 metri di profondità nel mar dei Caraibi produce una sostanza che si è rivelata un potente antitumorale, un altro organismo marino, un’ascidia, trovato nelle Filippine, produce una sostanza, anch’essa prodotta ora per sintesi chimica, attiva contro il cancro del colon; ancora una spugna, che vive nei mari italiani, ha portato a sintetizzare una sostanza antivirale, dragmacidina F, che sembra efficace contro l’herpes e l’HIV. Ma, ovviamente, questi metodi sintetici sono assolutamente generali e quindi hanno applicazioni un po’ in tutti campi della sintesi chimica; per esempio, sono stati utilizzati anche per produrre sostanze emettitrici per i diodi (OLED), emettitori di luce blu.
Va fatta un’ultima considerazione sulla linea, adottata dall’Accademia Reale Svedese, nell’attribuire il premio per la chimica.
Negli ultimi anni si sono privilegiate ricerche di indubbio valore, anche con un importante contenuto chimico, ma che erano essenzialmente un avanzamento nelle conoscenze biologiche: questo portava a favorire una visione della chimica come supporto della biologia e non come scienza autonoma, ancora in grado di progredire, con un suo ben definito campo d’indagine.
Quest’anno si è ritornati a privilegiare uno dei problemi essenziali della chimica, la sintesi, e infatti, come si è visto, il lavoro premiato affonda le sue radici fino all’inizio della chimica moderna.
Emanule Ortoleva
(Professore Associato di Chimica Fisica presso l’Università degli Studi di Milano)
© Pubblicato sul n° 40 di Emmeciquadro