“for groundbreaking
experiments regarding
the two-dimensional
material graphene”

Il premio Nobel per la Fisica 2010 è stato assegnato congiuntamente ad Andre Geim e Konstantin Novoselov «per i loro innovativi esperimenti su un materiale bidimensionale, il grafene». Sono trascorsi solamente sei anni da quando, nel 2004, i due scienziati russi hanno isolato questo nuovo materiale. Konstantin Novoselov ha la doppia cittadinanza, russa e britannica e con i suoi trentasei anni è tra i più giovani vincitori del Nobel; Andre Geim, nato in Russia cinquantadue anni fa, è di nazionalità olandese. Entrambi sono docenti all’Università di Manchester, dove operano da diversi anni.



Vi è una caratteristica comune tra questo premio e quello dello scorso anno: questo é stato motivato da una scoperta e quello da un’invenzione, nel grande mondo della scienza dei materiali, la disciplina scientifica che fa della conoscenza e del controllo delle proprietà dei materiali il proprio campo di applicazione.
Un aspetto però distingue i due premi. Si sono dovuti attendere circa quarant’anni per il riconoscimento dell’importanza dello sviluppo di dispositivi e sistemi con un forte contenuto innovativo e una grande ricaduta nella vita di tutti i giorni che ha motivato il premio Nobel per la Fisica 2009; mentre solo pochi anni sono bastati per valorizzare la scoperta del grafene. Non è comune il fatto che l’Accademia Reale Svedese delle Scienze attribuisca il premio a una così breve distanza di tempo dalla scoperta o dall’invenzione; questo fatto documenta la rilevante importanza che viene data alla scoperta del grafene e le significative attese per le sue potenziali ricadute tecnologiche.
Il contributo dei due neo Nobel è stato duplice: da una parte hanno sviluppato un metodo per ottenere il grafene, dall’altro ne hanno studiato e compreso le peculiari caratteristiche. [Immagine a sinistra: Konstantin Novoselov (1958 -)].
Il nome del grafene, apparentemente strano, è dovuto al fatto che questo nuovo materiale viene ottenuto a partire dalla comune grafite, con cui sono realizzate le mine delle matite che utilizziamo quotidianamente. La matita scrive in quanto la grafite, materiale con struttura laminare, è costituita dalla sovrapposizione di strati monoatomici di carbonio, molto debolmente legati l’uno all’altro, mentre il legame tra gli atomi di un singolo strato è molto forte. Facendo scorrere la matita sul foglio di carta, piccoli blocchi di questi strati vengono strappati dalla punta e depositati sul foglio stesso. Può essere capitato a chiunque, utilizzando una matita ordinaria, di aver depositato sul foglio di carta, senza rendersene conto, anche un singolo strato di atomi, il grafene appunto. [Immagine a destra: Andre Geim (1974 – )].
Geim e Novoselov hanno sviluppato un metodo per isolare dalla grafite, in modo controllato, uno di questi strati monoatomici; lo strato di spessore 0.35 milionesimi di millimetro (0.35 nm), visto dall’alto potrebbe sembrare un reticolo infinito di cellette, con struttura esagonale a nido d’ape. Una lamina di grafite spessa un millimetro consiste quindi di circa tre milioni di strati di grafene impilati uno sopra all’altro. Il metodo sviluppato è basato sulla cosiddetta tecnica del peeling, che sfrutta la debolezza del legame tra strati caratteristico della grafite e che essenzialmente consiste nell’assottigliare, strappandoli con nastro adesivo, i blocchi di strati di carbonio, fino a che non rimane uno solo strato. La tecnica era già nota, ma nessun altro prima era riuscito a ottenere in modo controllato fogli con lo spessore di singoli atomi.
Il reticolo esagonale di atomi di carbonio, permeato da un mare di elettroni delocalizzati, fornisce al grafene caratteristiche peculiari, mettendo così a disposizione un nuovo campo di indagine per lo studio di aspetti fondamentali della scienza dei materiali. Anche da un punto di vista applicativo il materiale è molto promettente: è sottile, resistente, leggero eppure densissimo, praticamente trasparente e flessibile; dal punto di vista elettrico è un ottimo conduttore, caratteristica che lo rende anche adatto a essere utilizzato nella microelettronica.
Quindi, le proprietà del grafene permettono di esplorare e «sognare» una varietà di possibili applicazioni.
Tra le più realistiche pare esserci il suo potenziale utilizzo nei touch screen, grazie alla favorevole combinazione della sua trasparenza, della sua robustezza e della sua capacità di condurre corrente. Però, più immediatamente allettante pare essere la possibilità di un’ulteriore riduzione di dimensioni dei componenti per circuiti integrati. In letteratura sono già apparsi articoli che descrivono la produzione di circuiti litografati di grafene. Per questo tipo di applicazioni, però, è fondamentale avere a disposizione non solo un ottimo conduttore, ma anche un buon semiconduttore. Al momento si sta lavorando sulla funzionalizzazione del grafene per renderlo semiconduttore tramite la deposizione di atomi di altri elementi.
L’interesse rispetto al silicio è dovuto al fatto che la disposizione estremamente regolare degli atomi di carbonio fa sì che le sue proprietà rimangano sostanzialmente inalterate anche se il foglio ha una dimensione molto piccola, mentre le proprietà del silicio cambiano radicalmente a dimensioni in cui si manifestano fenomeni di natura quantistica. Questo attualmente rappresenta un limite alle dimensioni dei transistor che potrebbe essere superato con l’utilizzo del grafene.
In poche righe si può dare solamente una visione sintetica e necessariamente approssimata di un nuovo materiale che, come si è accennato, è ricco di proprietà peculiari e che si candida per potenziali applicazioni di rilevante importanza.
Un approfondimento di questi aspetti può essere reperito sul sito dell’Accademia Reale Svedese delle Scienze alla pagina dedicata al premio Nobel per la Fisica 2010: http://nobelprize.org/nobel_prizes/physics/laureates/2010/#.



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Mario Guzzi
(Ordinario di Fisica Sperimentale, Dipartimento di Scienza dei Mate­riali, Università di Milano Bicocca)

© Pubblicato sul n° 40 di Emmeciquadro

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