«FARE SCIENZA» … A SCUOLA

Gli esempi di esperienze presentate in questo numero, condotte a tutti i livelli di scuola e su una varietà di temi, mostrano, se ce ne fosse bisogno, che è possibile «fare scienza» nella scuola italiana. In realtà forse c’è bisogno di segnalare e documentare tale possibilità, nel momento in cui la scuola, come nel caso della secondaria di secondo grado, si avvia a tradurre in pratica le nuove indicazioni nazionali e dagli studenti sale una confusa esigenza di incontrare un insegnamento più interessante ed efficace.
Abbiamo detto «fare scienza», non solo trasmettere i contenuti codificati nei manuali e sistematizzati in ambito accademico. Perché il modo migliore anche per trasmettere i contenuti è quello di percorrere direttamente, in prima persona, insieme insegnanti e studenti, i passi che ritmano il processo della conoscenza scientifica. È un cammino teso a rendere sempre più personale l’avventura conoscitiva, facendone emergere tutti i risvolti e tutte le connessioni col altre dimensioni del sapere e dell’esperienza umana nel suo complesso.
Si tratta di un approccio necessario anche per consentire allo studente di cogliere le specificità con cui le categorie portanti dell’unico metodo si declinano in una pluralità di discipline particolari.
Gli elementi specifici delle discipline sono messi ben in evidenza in alcuni contributi di questo numero.
Ripercorrere, per esempio, la storia di cinquant’anni di laser, è l’occasione per approfondire lo sviluppo della fisica del Novecento che, avendo assimilato le due rivoluzioni di inizio secolo si è affacciata al problema dei sistemi complessi. È anche un’opportunità per esplorare i legami tra scienza e tecnologia; legami che nelle attuali scienze di punta come le nanotecnologie sono sempre più stretti e sollevano stimolanti questioni in campo epistemologico. Una svolta epocale nella matematica è quella impressa dal giovane Bernard Riemann a metà dell’Ottocento e qui raccontata ricordandone la statura culturale e la profonda sensibilità umana. Una svolta improntata alla semplicità e al rigore, che ha mutato il nostro modo di rappresentare lo spazio, mettendo a disposizione di menti aperte come quella di Einstein un potente strumento per modellizzare il continuo spaziotemporale curvato dalla presenza della massa.
Un altro ponte è quello lanciato tra la geologia e la chimica nell’approfondimento sui minerali e lo stato cristallino: un’anticipazione delle riflessioni sui materiali vecchi e nuovi che ci accom¬pagneranno nel 2011 celebrando l’Anno Internazionale della Chimica proclamato dall’Onu per il centesimo anniversario dell’assegnazione del Nobel per la chimica a Maria Curie.
L’insistenza sul termine «fare» non deve tuttavia evocare un’immagine empirista, riduttivamente operativa e strumentale dell’insegnamento scientifico. Il problema è che ogni momento della vita scolastica sia impostato secondo una prospettiva educativa, orientata alla crescita della persona. Anche una lezione frontale può essere una occasione per «fare scienza». Purché si seguano i criteri suggeriti dal grande studioso russo Pavel Florenskij quasi un secolo fa e riproposti in queste pagine. La lezione come un momento vivo, libero, creativo, attento ai dettagli, capace di «fermentare» nell’allievo l’attitudine all’attività scientifica, il gusto per il concreto, la «contemplazione amorosa del concreto». E ciò può avvenire solo «per contagio», attraverso un «colloquio», una «passeggiata» curiosa, stimolante e non affrettata nei territori del sapere. «L’essenza della lezione – dice Florenskij – è la vita scientifica in senso proprio»; quindi imprevedibile, come la vita.



Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 40 di Emmeciquadro


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