DOMANDE E CERTEZZE
NELLA SCIENZA

Il carattere ambivalente, per non dire schizofrenico, della mentalità contemporanea diffusa è più che mai evidente nel modo con cui si affronta il tema della certezza nella scienza.
Da un lato si indica la scienza come unica fonte di certezze, garanzia di oggettività e razionalità, contrapposta alle altre forme di conoscenza che darebbero solo «credenze» e opinioni soggettive.
Dall’altro, soprattutto su temi sensibili come quelli biomedici, si fa appello alla natura fallibile delle teorie scientifiche e più ancora all’inevitabile margine di incertezza delle misure e degli esperimenti per giustificare i più diversi tipi di scelte e di comportamenti.



Non è inutile sottolineare come questa ambivalenza abbia riflessi quanto mai negativi in ambito educativo, dove la proposta di una via chiara e sicura è condizione per un cammino di conoscenza e di crescita.
Prima di perderci nei labirinti delle varie epistemologie, converrà affrontare la questione a partire dall’esperienza, osservando cioè in azione scienziati, insegnanti e studenti.



È immediato notare che tutti abbiamo bisogno di certezze per fare ricerca, per insegnare, per apprendere. Quando si pensa alla certezza, non ci si deve riferire soltanto al risultato finale di un’indagine, al momento magico della scoperta. Tutti i passi del lavoro, sia esso un grande programma di ricerca internazionale come alcuni illustrati in questo numero, sia una più modesta ma coerente esperienza scolastica come quelle spesso descritte in queste pagine, devono poggiare su certezze, procedono fissando passo dopo passo tanti piccoli o grandi punti fermi. Tradotto in slogan, si potrebbe dire: non è tanto la scienza che produce certezza ma sono le certezze che producono scienza.



Complementare a quanto detto è la considerazione che la certezza nella scienza non arriva come automatica conseguenza dei dati e neppure di grandi e complessi esperimenti; anche se questa immagine deterministica e riduttiva è quella che passa nei media e condiziona il pensiero degli studenti. Ne deriva la convinzione che la scienza sia un susseguirsi inesorabile di conferme e di risultati inappellabili e che quindi la certezza scientifica possa fare a meno del soggetto che gioca la sua libertà nei giudizi e nella fatica dell’interpretazione (come invece mostrano le ricostruzioni storiche delle pagine che seguono).
Quando poi, spesso sulla spinta di qualche filosofo, si arriva a problematizzare la possibilità della scienza di acquisire certezze, allora è facile scivolare nell’esaltazione di quello che sembrerebbe l’opposto della certezza e cioè il dubbio. Si cerca così di accreditare la visione di una scienza che procede di dubbio in dubbio, una scienza «liquida» come direbbe il sociologo Zygmunt Bauman, priva di punti fermi e di conoscenze solide. Ma ciò non trova riscontri significativi nella storia della scienza e non corrisponde alla scienza «vissuta».
Sul piano pedagogico poi, c’è da chiedersi come possa suscitare interesse e mobilitare le energie di un giovane la prospettiva puramente dubitativa rispetto invece alla ben più attraente possibilità di compiere, pur in modo critico, affermazioni positive su «come stanno le cose in realtà».

Giustamente è stato fatto osservare che il contrario della certezza non è il dubbio bensì la domanda. Questo ci conduce a un’ultima osservazione (e al titolo del presente numero). Le certezze della scienza sono «dinamiche» e sempre aperte, perché riguardano la realtà che è dinamica, complessa, multilivellare; ogni nuova conoscenza punta i piedi sulla solidità di nuovi territori ma spalanca nuovi orizzonti, apre nuovi interrogativi.
C’è un risvolto esistenziale di tale situazione. Sia per fissare dei punti fermi sia per gestire certezze aperte ci vuole il coraggio della verità e prima ancora il desiderio, per dirla come John Polkinghorne, «di un’approssimazione sempre migliore alla verità».

Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 41 di Emmeciquadro