Secondo alcune correnti della storiografia moderna la propensione di Galileo per il moto circolare (si veda il suo rifiuto delle orbite ellittiche di Keplero) lo avrebbe portato a ritenere come «moto naturale» il moto circolare uniforme e non il moto rettilineo; quindi a Galileo non si potrebbe attribuire il principio di inerzia. L’autore, dopo aver riportato le varie opinioni degli storici della scienza, attraverso un’attenta analisi degli scritti galileiani, riafferma con decisione la paternità di Galileo del principio di inerzia e del conseguente principio di relatività.
È noto a tutti quello che molti storici chiamano l’errore di Galileo, «uno dei pochissimi nella splendida opera omnia di Galileo» come dice il fisico e storico della scienza Gerald Holton: il rifiuto delle orbite ellittiche dei pianeti, che Keplero stesso era stato costretto a ipotizzare in seguito all’analisi dei suoi numerosissimi e accurati dati osservativi, in parte ereditati dal suo maestro Tycho Brahe. Una grave rinuncia da parte di Galilei, perché proprio le leggi di Keplero gli avrebbero fornito validissime argomentazioni a favore del copernicanesimo.
Il fascino del cerchio
Ma perché Galilei rifiutò di prendere seriamente in considerazione le leggi di Keplero, che oltretutto era un suo grande ammiratore? Dice il fisico e storico della scienza Giorgio de Santillana: «Devono aver fatto scattare nella mente [di Galileo] un meccanismo protettivo». Dunque la ragione sarebbe sepolta nei meandri imperscrutabili dell’inconscio o del subconscio. È uno storico dell’arte a illuminarci in proposito, Erwin Panofsky(1), che rifacendosi proprio alla robusta educazione umanistica di Galilei, ha ipotizzato che il rifiuto delle leggi di Keplero non fosse altro che il rifiuto dell’ellisse, figura geometrica che contrastava con i suoi gusti estetici, legati saldamente al classicismo rinascimentale. Galileo, infatti, aborriva il Barocco, almeno nelle sue espressioni artistiche, e probabilmente avrebbe condiviso il giudizio di Leonardo Sinisgalli: «Il Barocco è un’irritazione della pazienza classica, un dubbio sull’olimpicità […] disgusto alessandrino del pacifico letargo euclideo».(2)
In particolare è documentata la sua avversità verso il Manierismo, che con il suo anticlassicismo e le sue distorsioni artistiche gli ripugnava. Al Manierismo – sostiene Panofsky – Galilei forse, nel subconscio, associava proprio l’ellisse, che alla sua estetica rinascimentale imbevuta di razionalità, semplicità e armonia doveva apparire probabilmente come un’inaccettabile deformazione della circonferenza, paragonabile nella musica a una dissonanza. La circonferenza, curva senza inizio e fine, tratta equamente tutti i suoi punti, ciascuno dei quali può vantarsi d’essere inizio, fine e punto medio. Ma questa parità di cittadinanza è anche di qualunque altra curva chiusa. Allora cos’ha di più la circonferenza? Fra le curve chiuse essa è l’unica che non concede nessun altro particolare privilegio ai suoi punti, essendo tutti ugualmente distanti dal suo «unico» centro di curvatura. Fu Leon Battista Alberti, nell’opera De re aedificatoria, a teorizzare il primato del cerchio e delle figure poligonali centrali nelle piante delle chiese, tutte inscrivibili nella circonferenza: quadrato, esagono, ottagono, decagono e dodecagono regolare.
La questione del principio di inerzia
Galileo subì certamente il «fascino della circolarità», che ebbe una notevole influenza non soltanto sul suo rifiuto delle orbite planetarie ellittiche ma anche, secondo la più recente storiografia della scienza, sulla sua fisica, non permettendogli di formulare correttamente il principio d’inerzia.(3) Secondo tale lettura, infatti, Galileo avrebbe asserito che il «moto naturale», cioè quello in assenza di una forza esterna,(4) è un moto uniforme circolare e non rettilineo, come invece vuole il principio d’inerzia nella formulazione, attualmente accettata, che ne diede Isaac Newton nei suoi Philosophiae naturalis principia mathematica, presentandolo come la prima delle leggi fondamentali della dinamica.(5) Accettando tale critica, la gloria della scoperta del principio d’inerzia spetterebbe pertanto allo scienziato inglese e non all’italiano.(6)
Sulla questione della paternità del principio d’inerzia gravano certamente sia elementi nazionalistici sia ritorni di antigalileismo. Galilei, in vita, dovette fronteggiare molti nemici: l’antigalileismo della sua epoca culminò con René Descartes ed ebbe termine soltanto quando Newton, che notoriamente non era molto incline a riconoscere i meriti altrui, affermò, senza mezzi termini, che il principio d’inerzia e il secondo principio della dinamica erano scoperte di Galilei.
Nella sua monumentale opera, già citata, presentata alla Royal Society a Londra il 25 aprile 1685, nello scolio del capitolo Assiomi o leggi del moto, contenente i tre principi della dinamica, Newton afferma: «Tutti questi principi sono accettati da ogni matematico, e confermati da molteplici esperienze. Per mezzo delle prime due leggi [cioè il principio d’inerzia e il secondo principio della dinamica o legge fondamentale della dinamica, n.d.A.], Galileo trovò che la discesa dei gravi è proporzionale al quadrato del tempo, e che il moto dei proiettili è parabolico».(7)
Dopo tale autorevole riconoscimento, Galilei fu universalmente considerato il «padre della scienza moderna» anche nella stessa Francia che tanto ostile gli si era mostrata.
Il principio di inerzia non è di Galilei?
Tuttavia, nel tardo Ottocento si è avuta una recrudescenza di antigalileismo da parte di storici positivisti. Ma sono stati soprattutto i francesi, con Pierre Maurice Duhem, ad avanzare rivendicazioni nazionalistiche di paternità riguardo la nascita della scienza moderna, attribuendo il primo sviluppo della meccanica, fondata sul principio d’inerzia, ai francesi Giovanni Buridano (filosofo e rettore dell’Università di Parigi) e al suo successore Nicola Oresme, nel secolo XIV.
Secondo Duhem, quest’ultimo avrebbe formulato per primo le leggi sulla caduta dei gravi, sul moto dei proiettili e sull’accelerazione di gravità. Tale tesi, però, è stata contestata da molti studiosi italiani e stranieri, i quali hanno dimostrato come fosse una conseguenza di un errore d’interpretazione di concetti fisici di età ancora medievale (fra cui la teoria dell’impetus di Buridano). Fra tali studiosi si è particolarmente distinto il russo-francese Alexandre Koyré, il quale, tuttavia, nei suoi Études galiléennes (traduzione italiana: Einaudi, Torino 1976), ha defraudato per primo Galilei del principio d’inerzia, affermando che nelle sue opere parla sempre di «inerzia circolare». Koyré, invece, rivendica al connazionale Descartes la prima formulazione esatta del principio d’inerzia e definisce suo primo inventore Bonaventura Cavalieri, ignorando che questi lo aveva desunto da Galilei, suo maestro.(8)
Infatti, in diverse redazioni, che si collocano nei periodi 1588-1592, 1604-1609, 1611-1615, Galileo scrisse in latino l’opera De motu locali,(9) suddivisa in tre libri: De motu aequabili, De motu naturaliter accelerato, De motu proiectorum. In quest’ultimo Galileo spiega il moto parabolico dei proiettili come risultante dalla composizione del moto d’inerzia «rettilineo» orizzontale e del moto uniformemente accelerato verticale dovuto alla gravità. Com’era nelle sue abitudini, prima ancora di pubblicarlo, dette da leggere il suo manoscritto al Cavalieri, suo fedele allievo.
Il De motu locali, infatti, sarà pubblicato (in latino) molti anni dopo, nel 1638 a Leida, come terza e quarta giornata dell’opera summa di Galileo, i Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica ed i movimenti locali, stilati, per le altre giornate, nel magnifico volgare galileiano.
Ma il Cavalieri, senza citare il maestro, espose i risultati già contenuti nel De motu proiectorum nella sua opera Specchio Ustorio, pubblicata nel 1632 (lo stesso anno del Dialogo galileiano) suscitando un fortissimo risentimento da parte di Galilei, che fece rimostranze sull’accaduto a Cesare Marsili, in una lettera dell’11 settembre 1632: «Tengo lettere dal P. Fra Buonaventura, con avviso come S. P. ha nuovamente stampato un trattato dello specchio ustorio, nel quale con certa occasione dice havervi inserito la proposizione e dimostrazione della linea descritta da i proietti, provando come è una linea parabolica. Io non posso nascondere a V. S. Ill.ma, tale avviso essermi stato di poco gusto, nel vedere come di un mio studio di più di 40 anni, conferitone buona parte con larga confidenza al detto Padre, mi deva ora esser levato le primizie […].»(10)
Il Marsili insegnava a Bologna ed era collega di Cavalieri, il quale, saputo della lettera, risponde dieci giorni dopo, il 21 settembre, al vecchio maestro scusandosi in mille modi e giustificandosi dell’accaduto con il timore che, citandolo come autore della scoperta della legge sul moto dei proiettili, avrebbe potuto attribuirgli involontariamente e ingiustamente degli errori di esposizione: «È ben vero ch’ella dirà forsi ch’io dovevo spiegare un puoco più chiaro che il pensiero della detta linea parabolica fosse di V. S. Ecc.ma; ma sappi che il dubbio ch’havevo di non concordarmi forsi onninamente con la sua conclusione, fece che io non ardissi con parole specificate di ascriverli quello che havesse poi havuto lei a rigettare come cosa non sua […].(11)»
Cavalieri era, inoltre, convinto che Galilei avesse già pubblicato quei risultati in altre sue opere, sembrandogli quindi «talmente divulgata e la conclusione» che ne fosse «l’autore, che non potesse cadere dubbio alcuno»(12). Infine si dichiara disposto a bloccare la vendita del libro e fare qualunque cosa per riparare l’offesa recata: «Vega pur quello vole ch’io facci per darli sodisfattione, chè io sono prontissimo a farlo. Ne ho dato fuori solo alcune copie qua in Bologna; fra tanto io non ne lascerò uscire altre […].»(13)
È persino disposto a bruciare «tutte le copie, perché si distruga con quelle la ragione, per quanto è possibile, di haver dato disgusto» a Galileo(14).
Il Koyré sembra ignorare tutta questa vicenda. Ancor oggi la sua tesi sulla «circolarità» dell’inerzia galileiana ha importanti proseliti e la paternità del principio d’inerzia è tutt’altro che risolta definitivamente. Vale la pena, quindi, di accennare alle argomentazioni a favore(15) e a sfavore(16) della sua attribuzione a Galilei.
Normalmente si individua nell’incipit della Giornata Quarta dei Discorsi e dimostrazioni matematiche (nella quale confluì il De motu proiectorum) il primo riferimento completo al principio d’inerzia.(17) La «rettilinearità» di tale principio è evidente nelle parole: «Mobile quoddam super planum horizontale proiectum mente concipio, omni secluso impedimento […] illius motum aequabilem et perpetuum super ipso plano futurum esse, si planum in infinitum extendatur». Inequivocabilmente è ravvisabile nell’identificazione dei due componenti del moto di un proiettile: «mobile, quod gravitate praeditum concipio, ad plani terminum delatum, ulterius progrediens, aequabili atque indelebili priori lationi superaddet illam quam a propria gravitate […]».
Gli storici che attribuiscono a Galilei l’errore della circolarità, nel suo principio d’inerzia, disconoscono pure, per lo stesso motivo, la sua paternità nei riguardi del principio di relatività classica(18) espresso per bocca di Salviati nella Giornata Seconda del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano. (19) Galileo stesso spiega il principio di relatività proprio ricorrendo al principio d’inerzia, dal quale soltanto può derivare: «E di tutta questa corrispondenza d’effetti ne è cagione l’esser il moto della nave comune a tutte le cose contenute in essa ed all’aria ancora, che per ciò dissi io che si stesse sotto coverta; ché quando si stesse di sopra e nell’aria aperta e non seguace del corso della nave, differenze più e men notabili si vedrebbero in alcuni de gli effetti nominati […]».(20)
Secondo Paolo Rossi, tuttavia, Galilei non avrebbe mai formulato il principio di relatività classica e per il «gran navilio» non avrebbe considerato un moto rettilineo e uniforme.(21) Per Rossi il moto «non fluttuante in qua e in là», di cui parla Galileo nell’esempio della nave, vuol dire «moto retto o diritto o procedente lungo il medesimo meridiano terrestre», e denuncia come una forzatura intenderlo come moto rettilineo, facendo notare che quest’ultimo termine è invece altrove e più volte impiegato da Galilei.
In difesa di Galilei
Tuttavia, l’interpretazione del termine «non fluttuante» data da Paolo Rossi non è anch’essa una forzatura? Dove, Galilei, lo definisce come «procedente lungo il medesimo meridiano terrestre»? D’altra parte, perché mai avrebbe dovuto considerare il caso particolarissimo di una nave che si muova lungo un meridiano? Inoltre, se avesse voluto significare «curvo» o «circolare», perché avrebbe dovuto usare «non fluttuante» in luogo di quei termini, già da lui numerose altre volte usati? Nel Dialogo Galilei usa la parola «circolare» in ben 106 contesti.
Rossi afferma che Galileo ha più volte impiegato altrove il termine «rettilineo», ma dove? Dall’applicazione, personalmente da me effettuata, di programmi per l’analisi del testo letterario a versioni digitali del Dialogo e del Saggiatore è risultato quanto sotto riferito. Nell’approfondimento di questo articolo sono riportati tutti i contesti associati alle occorrenze indagate. Qui basta ricordare che la ricerca per famiglie di parole è stata effettuata con distanza massima di 10 parole fra i termini e lunghezza del contesto di 10 parole. Ricerche effettuate con valori maggiori di tali parametri hanno prodotto un maggior numero di occorrenze, ma è evidente che, aumentando ulteriormente la distanza fra i termini, aumenta anche la probabilità di una perdita di nesso fra di essi.
Nel Dialogo il termine «rettilineo» è risultato utilizzato soltanto tre volte e mai riferito al moto.
SALVIATI: «Do altro in infinito più acuto, ma però sempre “rettilineo”; ma la diminuzione degli spazii per li quali il mobile […]»(Giorn. 2.471);
SALVIATI: «…contengono un angolo infinitamente più stretto ed acuto di qualsivoglia acuto “rettilineo”, quale sarà questo. Piglisi nella perpendicolare A C qualsivoglia […]» (Giorn. 2.471);
SALVIATI: «[…] per minime che elle siano e comprese dentro ad angustissimo angolo “rettilineo” delle quali parallele le parti che restano tra l’arco e […]» (Giorn. 2.471).
L’espressione «moto rettilineo» non figura mai sia nel Dialogo sia ne Il Saggiatore. Risultato negativo anche per le occorrenze di espressioni del tipo «moto lungo (o secondo) un meridiano»; la parola «meridiano» compare 32 volte nel Dialogo,ma mai riferita al moto.
Invece l’espressione «moto circolare» è ripetuta ben 66 volte nel Dialogo e 4 volte ne Il Saggiatore.
Quanto all’espressione «moto retto» (che secondo Rossi significherebbe per Galilei «moto lungo un meridiano») essa è utilizzata 52 volte nel Dialogo e 25 ne Il Saggiatore e il suo uso al posto di «rettilineo» risulta chiaro in più contesti, come per esempio nella Giornata 1.28 del Dialogo:
SAGREDO: «[…] ma di già abitato da noi. Che se il “moto retto” è semplice per la semplicità della linea retta, e […]».
Oppure ne Il Saggiatore, 10.5: «[…] manchevole la scusa del Sarsi, perché non solamente il “moto” veramente “retto” apparisce per linea retta.» Galileo, senza possibilità di alcun dubbio, attribuisce il moto retto al moto «lungo una retta», e la retta cui si riferisce è certamente quella euclidea, in quanto non è pensabile che intendesse per retta un meridiano, perché altrimenti avrebbe anticipato di oltre un secolo la geometria non-euclidea ellittica! Ma sappiamo bene che Galileo non è un antesignano dei geometri non-euclidei.
Nei Frammenti attenenti al dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (in calce al Dialogo nel VII volume dell’edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei curata dal Favaro) Galilei, per bocca di Salviati, fa osservare che tutti i moti naturali non sono retti ma circolari. Risulta però evidente che da una parte Galileo considera «naturali» semplicemente i moti che si possono osservare in natura, il che non significa che siano quelli di corpi non soggetti ad alcuna forza (da intendersi più in generale risultante di un sistema di forze esterne); al contrario, come si evince dagli esempi portati, si tratta di corpi non isolati: il moto circolare è il risultato di una costrizione! Dall’altro canto, nel passo di seguito riportato, risulta chiaro che, contrariamente a quanto affermato da Paolo Rossi, il moto retto per Galileo non è quello lungo un meridiano terrestre che indica invece chiaramente come «circolare»: «SALVIATI: Io dico che nissuna cosa si muove naturalmente di moto retto. Cominciamo a ricercar discorrendo: i moti di tutti i corpi celesti son circolari; le navi, i carri, i cavalli, gli uccelli, tutti si muovon di moto circolare intorno al globo terrestre; i moti delle parti degli animali son tutti circolari: ed in somma noi ci riduciamo a non trovare altro che gravia deorsum et levia sursum sembrino muoversi rettamente; ma né di questi siamo sicuri, se prima non si dimostra che il globo terrestre stia immobile.»
Tuttavia è doveroso riconoscere che esistono passi, nelle opere di Galilei, dai quali emerge chiaramente la sua incredulità nei riguardi di un moto rettilineo ab aeterno e ad aeternum, offrendo così argomentazioni a favore della tesi della sua inerzia circolare.
Mi si consenta, a tal proposito, una riflessione personale. In fisica il concetto di infinito, pur ponendo molti interrogativi, non trova cittadinanza: ogni esperienza fisica è necessariamente limitata nel tempo e nello spazio. In tale spirito, ciò che noi giudichiamo moto rettilineo in realtà potrebbe essere una estrema approssimazione di un moto circolare con raggio di curvatura talmente grande da essere mascherato dagli inevitabili errori di misura della «rettilinearità».
Inoltre, anche ammettendone la reale esistenza, è plausibile muovere nei riguardi del moto rettilineo, affermato nel principio d’inerzia, la stessa obiezione lecitamente posta al V postulato di Euclide (postulato delle parallele): nessun esperimento potrà mai né confermarlo né confutarlo, perché richiederebbe un processo infinito, quindi sperimentalmente irrealizzabile. Dunque, come non si potrà mai compiutamente dimostrare che esistono realmente rette parallele, ovvero rette che non s’intersecano mai, perché ciò richiederebbe una verifica ad infinitum irrealizzabile, così chi ci può dare la certezza che in assenza di forze applicate un corpo continui «sempre», ad infinitum, a muoversi secondo una retta e con velocità scalare costante?
Malgrado questi tentativi di delegittimare la paternità di Galilei, a lui vengono ancora attribuiti sia il principio d’inerzia sia il principio di relatività classica in quasi tutti i testi scolastici e universitari di autori affermati(22) e anche in molti autorevoli testi di divulgazione scientifica.
Luca Nicotra
(Ingegnere e giornalista, ha svolto attività di ricerca presso l’Istituto di Fisica Tecnica dell’Università degli Studi «Sapienza» di Roma e nella società «Elettronica» di Roma. È esperto di sistemi computerizzati per la progettazione e produzione meccanica. È presidente dell’associazione culturale «Arte e Scienza»)
Vai all’approfondimento di questo articolo con i risultati delle ricerche testuali di alcune occorrenze indagate nei testi del Dialogo e de Il Saggiatore di Galileo Galilei
NOTE
- E. Panofsky, Galileo es a critic of the arts: aesthetic attitude and scientific thought, in «Isis», XLVII, 1956, pp. 3-15.
- Riportato in G. I. Bischi e P. Nastasi (a cura di ), Un Leonardo del Novecento: Leonardo Sinisgalli (1908-1981). Nella collana Pristem/Storia dell’Università Luigi Bocconi, Milano, Centro Pristem, 2009, p.133.
- P. Rossi, Galileo Galilei. In Storia della scienza (a cura di P. Rossi), Roma, Gruppo Editoriale L’Espresso, 2006, vol. 1°, pp. 214-218.
- Per forza esterna s’intende più in generale la risultante delle forze esterne: pertanto il moto naturale è sia quello in assenza di qualunque forza esterna sia quello in presenza di quante si vogliano forze esterne la cui risultante sia però nulla.
- «Lex prima: Corpus omne perseverare in statu suo quiescendi vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus illud viribus impressis cogitur statum suum mutare». (Ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, se a esso non viene applicata una forza in grado di mutarne lo stato).
- Tracce del principio d’inerzia si trovano già in Democrito (cfr. E. Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei greci nel suo sviluppo storico, parte prima, vol. V, a cura di A. Capizzi, Firenze, Nuova Italia, 1969, p.199) e anche forse in Leonardo da Vinci (cfr. R. Marcolongo, Rend. Sem. Mat., Milano, vol.III, 1929, p. 109).
- I. Newton, Principi di filosofia naturale. Trad. italiana e riduzione a cura di Federigo Enriques e Umberto Forti. Milano, Fabbri editore, 2001, p.69.
- D. Galati, Galileo, primario matematico e filosofo, Roma, Pagoda editrice, 1991, pp. 302-303; M. L. Altieri Biagi, La lingua della comunicazione scientifica: la sintassi “classica” di Galileo. In Atti della conferenza Lingua Testo Letteratura, IRRSAE Umbria, Perugia, sala Brugnoli di Palazzo Cesaroni 29 ottobre 1998, pp. 41,42.
- M. L. Altieri Biagi, op. cit., p. 41.
- Lettera 2300 di Galileo a Cesare Marsili dell’ 11 settembre 1632, in Le Opere di Galileo Galilei, Ed. Naz., op. cit., vol. XIV, pp. 386-387.
- Lettera 2307 di Bonaventura Cavalieri a Galileo del 21 settembre 1632, in Le Opere di Galileo Galilei, Ed. Naz., op. cit., vol. XIV, pp. 394-395.
- Ivi.
- Ivi.
- Ivi.
- D. Galati, op. cit. pp. 275-314, 345-349.
- G. Holton (op. cit., p. 174) nega la paternità del principio d’inerzia attribuita a Galilei: «Quindi a Galileo sfuggì l’intuizione che costituisce la base della meccanica moderna, e a cui oggi facciamo riferimento come prima legge di Newton, e cioè che in assenza di forze che interferiscano, un corpo procede a velocità uniforme in linea retta». E P. Rossi (op. cit., p. 216) riferendosi all’inerzia: « Questo principio, che è alle radici della dinamica moderna, non fu mai formulato da Galilei proprio a causa dell’azione esercitata sulla sua fisica dalle sue convinzioni cosmologiche».
- Le Opere di Galileo Galilei, Ed. Naz., op. cit., vol.VIII, Discorsi e Dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, p. 268. Trad it. in Opere di Galileo Galilei, Torino, UTET Classici della Scienza, 1980. In latino: «Mobile quoddam super planum horizontale proiectum mente concipio, omni secluso impedimento: iam constat, ex his quae fusius alibi dicta sunt, illius motum aequabilem et perpetuum super ipso plano futurum esse, si planum in infinitum extendatur; si vero terminatum et in sublimi positum intelligamus, mobile, quod gravitate praeditum concipio, ad plani terminum delatum, ulterius progrediens, aequabili atque indelebili priori lationi superaddet illam quam a propria gravitate habet deorsum propensionem, indeque motus quidam emerget compositus ex aequabili horizontali et ex deorsum naturaliter accelerato, quem proiectionem voco». Trad.it: «Immagino di avere un mobile lanciato su un piano orizzontale, rimosso ogni impedimento: già sappiamo, per quello che abbiamo detto più diffusamente altrove, che il suo moto si svolgerà equabile e perpetuo sul medesimo piano, qualora questo si estenda all’infinito; se invece intendiamo [questo piano] limitato e posto in alto, il mobile, che immagino dotato di gravità, giunto all’estremo del piano e continuando la sua corsa, aggiungerà al precedente movimento equabile e indelebile quella propensione all’ingiù dovuta alla propria gravità: ne nasce un moto composto di un moto orizzontale equabile e di un moto deorsum naturalmente accelerato, il quale [moto composto] chiamo proiezione».
- Questo asserisce che in un sistema di corpi non soggetto a forza esterna o soggetto a forze esterne a risultante nulla (sistema isolato) le leggi della meccanica rimangono invariate rispetto a qualunque sistema di riferimento in moto rettilineo uniforme o quiescente, e quindi non è possibile con nessuna esperienza meccanica decidere se il sistema si muove o è fermo. Nel principio di relatività classica si utilizza ancora il concetto di quiete assoluta, poi rimosso dalla relatività di Einstein.
- «Riserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vadia versando dell’acqua in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto […]. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder cosí, fate muover la nave con quanta si voglia velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave cammina o pure sta ferma.» (Le Opere di Galileo Galilei, Ed. Naz., op. cit., vol. VII, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, pp. 212-213).
- Ibidem, p. 214.
- Quel principio che è noto nei manuali come il principio della relatività galileiana (in base alle osservazioni meccaniche compiute all’interno di un sistema non si può decidere se il sistema stesso sia in quiete o in moto rettilineo uniforme) non corrisponde a quello effettivamente formulato da Galilei che intendeva mostrare mediante quella sua dottrina l’impossibilità, per un osservatore collocato sulla Terra, di percepire il moto di rotazione della Terra medesima. […] Il moto «non fluttuante in qua e in là», nell’esempio galileiano della nave, vuol dire moto retto o diritto o procedente lungo il medesimo meridiano terrestre, ed è una forzatura tradurre «non fluttuante» con «rettilineo» (che è termine altrove e più volte impiegato da Galilei). La differenza non è lieve, perché il principio classico di relatività implica il concetto di un moto rettilineo uniforme e l’accettazione del principio d’inerzia (per il quale ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finché non intervenga una forza a modificare tale stato). Questo principio, che è alle radici della dinamica moderna, non fu mai formulato da Galilei proprio a causa dell’azione esercitata sulla sua fisica dalle sue convinzioni cosmologiche (P. Rossi, op. cit., p. 216).
- E. Klein (op. cit., p. 58) afferma che «la meccanica newtoniana si fonda sul cosiddetto principio di relatività enunciato per la prima volta da Giordano Bruno e ripreso da Galileo». Fra le testimonianze più autorevoli (anche E. Klein (op. cit., p. 58) afferma che «la meccanica newtoniana si fonda sul cosiddetto principio di relatività se antecedente alla odierna critica storica) mi piace ricordare le numerose citazioni di Albert Eistein sulla paternità galileiana del principio d’inerzia, fra cui questa molto esplicita: «Classical mechanics is based on Galileo’s principle: A body is in rectilinear and uniform motion as long as other bodies do not act on it.» (Dalla voce di A. Einstein Relativity, in The American Peoples Encyclopedia, New York, Grolier Incorporated, 1962 p. 16-360).
© Pubblicato sul n° 43 di Emmeciquadro