A Bruce A. Beutler e Jules A. Hoffmann “for their discoveries concerning the activation of innate immunity

A Ralph M. Steinman “for his discovery of the dendritic cell and its role in adaptive immunity“.

Sin dalla primissima edizione del 1901, che ha premiato il microbiologo tedesco Emil Adolf von Behring, scopritore dei «sieri» antidifterico e anti-tetanico, l’immunologia è certo una delle branche della scienza medica su cui più frequentemente si è soffermata l’attenzione del Nobelförsamlingen, l’organo assembleare della Karolinska Institutet (la più prestigiosa università di Medicina della Svezia) che annualmente si occupa dell’assegnazione del premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia.



D’altra parte, dalla fine del XIX secolo a oggi le scoperte scientifiche in campo immunologico si sono susseguite a ritmo serrato. Nel corso di tale periodo abbiamo infatti imparato molto sul nostro sistema immunitario, «organo mirabolante» in grado di:  (1) riconoscere e debellare gli agenti infettivi potenzialmente dannosi con cui entriamo in contatto; (2) mantenere una sorveglianza continua affinché le cellule «trasformate» (ovvero contenenti errori genetici rilevanti) vengano distrutte prima che possano generare una pericolosa progenie tumorale (ogni giorno, anche negli individui sani, si generano alcune cellule «degenerate» potenzialmente cancerose, che vengono però prontamente riconosciute e distrutte da specifiche cellule del sistema immunitario); (3) proteggerci da un’attivazione incontrollata di se stesso (cioè delle cellule immunitarie) che può causare malattie talora molto gravi.
Oggi sappiamo per esempio che le cellule del sistema immunitario sono in grado di distinguere il self (ovvero le nostre stesse cellule e i nostri tessuti) dal not-self (ovvero agenti infettivi, cellule o tessuti provenienti dall’«esterno», non facenti parte della normale composizione dell’organismo) e che questo è un gran vantaggio nella lotta alle infezioni, ma è un po’ meno apprezzabile quando si tratta di ricevere un organo da un donatore che non sia un gemello identico.
Sappiamo che le cellule del sistema immunitario (chiamate molto genericamente «globuli bianchi» o «leucociti») non sono tutte uguali: esistono cellule in grado di operare una prima linea di difesa (soprattutto granulociti neutrofili, monociti e macrofagi), che si attivano in modo quasi immediato quando un microrganismo pericoloso penetra nel nostro corpo e sono in grado sia di generare in poche ore un ambiente estremamente inospitale per l’agente infettivo (ambiente comunemente chiamato «infiammazione») al fine di poterlo distruggere con la massima efficienza, sia di reclutare altre cellule simili nel sito di infezione per rinforzare la loro azione.
Questa prima linea di difesa, veloce e potente, si chiama «immunità innata» ed è fondamentale per la nostra difesa contro la maggior parte degli agenti infettivi, soprattutto i batteri e i funghi. E tuttavia sappiamo anche che esistono alcuni microrganismi (come per esempio i virus) che sono in grado di eludere l’immunità innata e che per debellare questi agenti si rende necessaria una seconda linea difensiva, chiamata «immunità adattativa», costituita da un altro sottotipo di globuli bianchi (i linfociti) che sono in grado di «studiare» i componenti (detti antigeni) not-self degli agenti infettivi (così come di molte cellule trasformate) in modo da «adattarsi» a essi e generare (tramite un «geniale» rimaneggiamento genetico) un repertorio virtualmente infinito di armi diverse (chiamate recettori T cellulari e anticorpi), specificamente disegnate ad hoc per ciascun microrganismo incontrato.



NB: in realtà la generazione di tali «armi» – una diversa per ogni linfocita – è del tutto casuale (ne esistono oltre 10 miliardi di varianti), tuttavia dato che poi vengono stimolati ad attivarsi e proliferare soltanto i linfociti che casualmente producono il recettore/anticorpo «giusto» per il microorganismo incontrato, il risultato non cambia. Grazie all’azione di questi anticorpi e recettori i linfociti sono in grado di eliminare sia le cellule infettate dai virus (e i virus stessi), sia le cellule trasformate in senso tumorale, sia le cellule batteriche eventualmente sfuggite all’azione dell’immunità innata (NDA: questo meccanismo è quello che sta alla base della notoria «protezione» verso le nuove infezioni garantita dalle vaccinazioni o dal fatto di avere già contratto nel passato alcune malattie virali, come per esempio, la varicella, il morbillo, eccetera).



Eppure, nonostante questo corpus di conoscenze articolato e approfondito, al volgere del millennio molte domande su aspetti cruciali della risposta immunitaria rimanevano senza risposta. Eccone alcune: dato che l’immunità adattativa è priva di recettori specifici per i microrganismi, come fa a riconoscerli e ad attivarsi quando li incontra? Cosa attiva le cellule dell’immunità innata? Cosa regola l’attivazione dell’immunità adattativa e dove avviene questa attivazione?
E proprio questi sono alcuni dei quesiti fondamentali dell’immunologia cui, con il loro lavoro, Bruce A. Beutler (i) [Immagine a sinistra], Jules A Hoffmann (ii) [Immagine a destra] e Ralph M. Steinman (iii) [Immagine che segue a sinistra] hanno finalmente dato risposta.
Beutler e Hoffmann hanno scoperto quello che potremmo considerare il «pulsante d’accensione» del sistema immunitario: ovvero il sistema dei recettori Toll-like (Toll-like receptors, TLR). Questi recettori, espressi su molte cellule dell’immunità innata, riconoscono alcune componenti altamente conservate e ricorrenti nelle strutture biologiche di batteri, virus e funghi. Essi non sono quindi specifici come i recettori dell’immunità adattativa, ma sono frutto di una lunghissima evoluzione, stimolata dalla convivenza con questi microrganismi, tramite cui il sistema immunitario è riuscito a individuare alcune strutture biologiche altamente conservate (cioè evoluzionisticamente irrinunciabili per gli agenti infettivi), tramite le quali esso è in grado di riconoscerli e di attivare prontamente in pochissimo tempo la risposta immune.
Steinman ha invece scoperto un nuovo tipo di cellula, prima sconosciuta, la «cellula dendritica» (dal greco: dendros, «albero» – che egli ha chiamato così per via delle numerose ramificazioni arboriformi che essa presenta). Queste cellule pattugliano costantemente quasi tutti gli organi e i tessuti e hanno la funzione di attivarsi in presenza di un ambiente infiammatorio (generato dall’attivazione delle cellule dell’immunità innata) per poi raccogliere gli antigeni not-self che incontrano, migrare verso i linfonodi più vicini e, qui, presentare gli antigeni raccolti ai linfociti, stimolandoli ad attivarsi innescando la risposta molto più specifica e (se è concesso il termine) «chirurgica» dell’immunità adattativa. Peraltro Steinman ha anche dimostrato che le cellule dendritiche sono anche in grado, in alcune situazioni particolari, di inibire l’attivazione dei linfociti o di attivare preferenzialmente alcuni sottotipi di linfociti rispetto ad altri.
La cellula dendritica rappresenta quindi, per quanto oggi sappiamo, non solo il trait d’union tra immunità innata e immunità adattativa, ma anche il «direttore d’orchestra» della risposta adattativa. [Immagine a destra: immagine ad alta risoluzione di una cellula dendritica realizzata da Steinman nel 1973].
Queste scoperte, premiate nel 2011 con il Nobel, hanno dunque fondato una nuova concezione dei meccanismi che soggiacciono all’attivazione sia dell’immunità innata che dell’immunità adattativa (che prima erano o del tutto sconosciuti, o erroneamente concepiti).
Esse verosimilmente condurranno, innanzitutto, alla produzione di vaccini più efficaci nell’attivare il sistema immunitario e più efficienti nel garantire una protezione specifica verso le infezioni virali.
Ma non solo, la grande speranza è che, grazie alla «manipolazione» in vitro delle interazioni tra cellule dendritiche e linfociti e al potenziamento dei fisiologici meccanismi di attivazione dell’immunità innata, sia un giorno possibile ottenere dei linfociti in grado di attaccare in modo specifico (cioè, ancora, chirurgico) e potente, le cellule tumorali maligne. Naturalmente questa, lo ribadiamo, a oggi è comunque solo una speranza. Ma senza il lavoro di questi tre eminenti immunologi sarebbe probabilmente rimasta una chimera.
Ralph Steinman è deceduto tre giorni prima dell’assegnazione del Nobel a causa di una grave forma tumorale maligna. Il regolamento del Nobel vieta in realtà l’assegnazione del premio postuma. Tuttavia la commissione del Nobelförsamlingen non era al corrente della morte dello scienziato, avvenuta così poco tempo prima. Pertanto questo è il primo caso di assegnazione post-mortem nella storia di questo premio.
Steinman ha sperimentato su se stesso l’efficacia anti-tumorale delle tecniche di manipolazione delle cellule dendritiche e, stando a quanto hanno riferito i suoi colleghi della Rockfeller University di New York, sembra che tale trattamento abbia consentito di prolungare la sua sopravvivenza a oltre quattro anni, nonostante si trattasse di una forma tumorale aggressiva, solitamente letale in tempi molto più brevi.
Sfortunatamente però questa vicenda (romantica, ancor più che commovente) è lontana dal costituire una prova scientificamente accettabile di efficacia.

Stefano Franchini
(Unit of Medicine and Clinical Immunology Università Vita-Salute San Raffaele – School of Medicine San Raffaele Scientific Institute)

Note

  1. Bruce A. Beutler, nato a Chicago, IL, USA nel 1957, ha svolto le sue ricerche presso il Scripps Research Institute, La Jolla, CA, USA e alla University of Texas Southwestern Medical Center at Dallas, Dallas, TX, USA.   Nell’immagine Bruce Beutler (a sinistra) con il collega Yu Xia (a destra) in laboratorio (Photo: Michael Balderas. Courtesy: The Scripps Research Institute)
  2. Jules A. Hoffmann, nato a Echternach, Luxembourg nel 1941 (Photo: Kindly provided by CNRS Photo Library/Pascal Disdier)
  3. Ralph M. Steinman, nato a Montreal, Canada nel 1943, è morto il 30 settembre 2011; ha svolto le sue ricerche alla Rockefeller University, New York, USA  (Photo: Courtesy Rockefeller University)

© Pubblicato sul n° 43 di Emmeciquadro