John Polkinghorne

Credere in Dio nell’età della scienza

Raffaello Cortina – Milano 2000

Pagine 174 – Euro 15,00

Saggio complesso e in alcune parti affascinante, opera di un fisico che è anche pastore della Chiesa Anglicana. Questa duplice appartenenza, scientifica e religiosa, si traduce in questo saggio in una posizione che è rispettosa dell’autonomia della scienza, ma che non rinuncia a una ragione che inserisca l’esperienza scientifica in una visione più ampia della realtà.
A questo proposito, per capire meglio il pensiero dell’autore è interessante l’intervista, dal significativo titolo, I due occhi della ragione pubblicata nel n.41 di Emmeciquadro, che consigliamo di leggere come «introduzione» a questo saggio.
Il saggio si articola in cinque capitoli, più un poscritto e un’appendice.
Il primo capitolo ha lo stesso titolo del saggio, che in qualche modo riecheggia (ma come affermazione) la domanda di Dostoevskij : «un uomo colto, un europeo dei nostri giorni… può credere alla divinità del figlio di Dio, Gesù Cristo?». Il punto di vista dell’autore è esplicitamente quello di un credente, che però non cerca dimostrazioni alla Tommaso d’Aquino; piuttosto mostra come a partire dalle stesse esigenze della scienza sia ragionevole e motivata una posizione di fede e come un punto di fuga verso un significato più grande sia presente in molti scienziati, anche non credenti. Proprio da un punto di vista razionale viene criticata la posizione «scientista» (il riferimento a Monod è implicito, ma abbastanza evidente) che vede la nostra esistenza come una combinazione fortunata di caso e necessità.
Il secondo capitolo confronta i metodi della ricerca scientifica con quelli della teologia cogliendo analogie e differenze: la tesi è che comunque in entrambi i casi c’è una ragione che opera alla ricerca della verità.
Nel terzo dal titolo Dio agisce nel mondo fisico? si affronta uno dei temi più ardui del rapporto fra visione scientifica e teologica del mondo. Per sommi capi (ma si consiglia una lettura attenta e non frettolosa: la ricchezza di riferimenti scientifici e teologici lo richiede) la tesi è che la visione meccanicistica del mondo relega la funzione di Dio a un costruttore che non ha più modo di intervenire nel determinismo assoluto degli avvenimenti, mentre la visione scientifica attuale, evolutiva a livello cosmologico, e che implica forme di indeterminismo nel microcosmo, è molto più aperta a un possibile intervento del divino (come d’altronde ipotizzato nella visione cristiana della storia).
Il quarto capitolo Il continuo dialogo fra scienza e religione, parte dalla constatazione che all’inizio della scienza, per Galileo e Newton questo dialogo era essenziale (si ricordi che per Galileo esistevano due tipi di rivelazione da parte di Dio, uno dei quali si esprimeva attraverso la Bibbia, l’altro attraverso il «libro della natura»). La situazione successiva e quella attuale, molto più complesse, sono esaminate dall’autore con una serie di considerazioni che possono apparire talora un po’ frammentarie, anche se interessanti. Il motivo che tiene comunque aperto il dialogo fra scienza e teologia è, per l’autore, che esse condividono una caratteristica fondamentale: «nei loro stili differenti, e nei loro rispettivi ambiti, entrambe hanno a che fare con la ricerca della verità».
Nell’ultimo capitolo si affronta la questione del «realismo critico»; la scienza, che pur avanza con l’evoluzione delle teorie e dei concetti che subiscono modifiche anche radicali (si pensi al concetto di etere o al passaggio dalla meccanica newtoniana a quella quantistica) conosce realmente qualcosa? In altri termini ci sono dei punti di certezza da cui non si torna indietro?. Come si può ben capire la risposta dell’autore è affermativa: per esempio gli atomi esistono ed esisteranno sempre, anche se la loro descrizione potrà essere sempre più adeguata nel mutare delle teorie.. «Al cuore del realismo scientifico vi è la convinzione che […] concetti ed entità – la cui postulazione ci mette in grado di dare un senso profondo ad ampi campioni di esperienza – devono essere presi in considerazione con la massima serietà, in quanto descrizioni possibili di quanto esiste realmente». Nella seconda parte del capitolo, usando quel criterio di analogia usato nel secondo capitolo, sostiene che esiste un realismo critico anche nei confronti di Dio: «su una convinzione analoga si basa la mia credenza sull’invisibile realtà di Dio.»
Nel poscritto a cui si è accennato all’inizio, viene affrontata l’annosa questione che, banalizzando un po’, si può riassumere nella domanda: «la matematica si scopre o si inventa?». Con l’atteggiamento di realismo che lo distingue l’autore, afferma che esistono in matematica oggetti «reali» come l’insieme di Mandelbrot. A sostegno di questa affermazione fa un paragone con la fisica: «Un dominio dell’esperienza fisica che contiene pietre e bastoni esiste. Esiste anche un dominio dell’esperienza mentale che contiene le verità della matematica.»
Se vi è rimasto un minimo di energia mentale potreste concludere con l’Appendice, in cui vengono fatte, in modo problematico, diverse considerazioni del rapporto tra la teologia cristiana sulla creazione e la moderna cosmologia; esse mettono in evidenza i rischi che si corrono, agli opposti estremi, sia nella ricerca esasperata di teorie che neghino il concetto di creazione (o ipotizzino una creazione «spontanea») sia in un ingenuo accoglimento della teoria del Big Bang come prova della creazione.



A cura di Lorenzo Mazzoni
(già Docente di Matematica e Fisica al liceo scientifico, autore di libri di testo)

© Pubblicato sul n° 44 di Emmeciquadro


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