Louis Pasteur è considerato uno dei grandi «benefattori» dell’umanità grazie a scoperte che possono essere considerate vere e proprie rivoluzioni scientifiche: ha risolto i misteri di malattie come quella dei bachi da seta, del colera dei polli o della rabbia e ha contributo allo sviluppo dei primi vaccini. Ha sfatato il mito, all’epoca ampiamente accettato, della generazione spontanea ponendo così le basi per la moderna biologia e biochimica. Ha dato inizio a numerosi campi di studio in chimica, in microbiologia, in medicina ed è responsabile di alcuni dei più importati concetti teorici e di applicazioni pratiche della scienza moderna.
In questo articolo si vogliono certamente affrontare le scoperte scientifiche di Pasteur, ma anche ciò che lo ha portato a raggiungere i risultati dei quali tutto il mondo gli è debitore: alla base della genialità e della carriera di questo grande scienziato è possibile trovare il profondo legame con la sua famiglia, i suoi maestri e i suoi allievi, una passione per la verità scientifica e un intimo senso religioso, che gli hanno permesso di continuare a ricercare senza sosta per tutta la vita.
La famiglia di Pasteur
Il padre Jean-Joseph Pasteur era stato sottufficiale negli eserciti napoleonici: di quell’epopea aveva conservato una nostalgia che sta alla base del patriottismo e del militarismo che trasmise al figlio.
Alla nascita di Louis nel 1822, era già a capo di una piccola conceria, che permetteva di vivere, a lui e alla famiglia, in una modesta agiatezza. Vi erano quelli che convenzionalmente chiamiamo i «grandi sentimenti»: reciproco affetto tra i membri della comunità, patriottismo, religione e rispetto delle leggi.
[A sinistra ed a destra: I genitori di Louis Pasteur: Jean-Joseph (1791-1865) e Jeanne-Etiennette (1793-1848) – (ritratti a pastello eseguiti dallo stesso Pasteur in anni giovanili)]
Appena ebbe raggiunta l’età, Louis cominciò a frequentare il collegio comunale, ma per andare in classe o ritornare a lavorare a casa non prendeva sempre la strada più corta.
Spesso, invece di dedicarsi al tema o alla versione, fuggiva e si divertiva a disegnare qualche ritratto dei vicini. Ad ogni modo, fu alla terza classe che Louis Pasteur, rendendosi conto dei sacrifici che suo padre s’imponeva, abbandonò i suoi attrezzi da pesca, chiuse in un cassetto i suoi pastelli e sentì destarsi in lui quella passione del lavoro che doveva diventare il fondamento della sua vita.
Nell’anno 1865 il padre di Pasteur morì e in una lettera alla moglie Marie lo ricorda: «[…] Da trent’anni io sono stato la sua costante e quasi unica preoccupazione. Io gli devo tutto. Quand’ero ragazzo m’ha allontanato dalle cattive compagnie e mi ha insegnato l’amore al lavoro e l’esempio della vita onesta e meglio vissuta […]».
Nel 1849 Louis sposa Marie Laurent (1826-1910), figlia del rettore dell’Università di Strasburgo.
[A destra: Louis Pasteur con la moglie, la figlia e i nipoti nel giardino di Arbois (estate 1892)]
In merito al rapporto fra lo scienziato e la moglie, René Dubos (1901-1982) scrive: «Il disagio causato nella sua vita laboriosa da questo risucchio sentimentale è soltanto una leggera increspatura nel fiume delle sue scoperte e Pasteur riprese il suo compito scientifico subito dopo il matrimonio, in un clima ideale di vita coniugata […]. La signora Pasteur svolgeva il suo ruolo dedicandosi al marito ed ai sogni di lui, modellando la propria condotta sullo scopo che egli aveva prescritto alla loro esistenza […]». Émile Roux (1853-1933) aggiunge: «[…] La signora Pasteur amò suo marito fino a investirsi tutta degli studi di lui. La sera scriveva sotto dettatura, sollecitava spiegazioni, perché si interessava veramente alle facce emiedriche e ai virus attenuati […] La signora Pasteur è stata non soltanto una compagna inseparabile, ma il suo miglior collaboratore […]».
I maestri di Pasteur
A Parigi, negli anni Quaranta del XIX secolo la chimica era insegnata alla Sorbona da Jean Baptiste Dumas (1800-1884) e alla Scuola Normale da Antoine Jérôme Balard (1802-1876). Benché i due professori fossero differenti, l’uno e l’altro avevano grande influenza sugli allievi: Dumas, con la sua serena gravità e il suo profondo rispetto per l’uditorio, non si lasciava mai sfuggire nelle parole o negli esperimenti la minima scorrettezza; Balard di una vivacità tutta giovanile, si eccitava nel parlare alla tribuna, non dando mai il tempo alle sue parole di seguire il pensiero. Le idee generali che Dumas nel suo sublime insegnamento si compiaceva di sviluppare, la quantità dei fatti sapientemente studiati che faceva sfilare Balard, ogni cosa rispondeva ai bisogni dello spirito di Pasteur. Se egli amava i grandi orizzonti delle scienze, c’era già in lui quella natura rigorosa con il bisogno perpetuo dell’esperimento. Laboratorio e biblioteca, Pasteur non pensava che a chiudersi lì dentro, curioso di tutti i misteri delle scienze, cercando sempre di imparare e di ricercare.
Spesso uno degli oratori della Scuola Normale si compiaceva non soltanto di rispondere alle domande di Pasteur, ma di provocarle e di discutere con lui di libri scientifici. Gabriel Delafosse (1796-1878) era uno di quegli uomini che non danno l’idea del loro valore o non fanno pesare tutto il loro merito. Delafosse si era dedicato alle questioni della fisica molecolare, le quali influenzarono Pasteur nello studio dell’asimmetria molecolare. Il matematico e fisico francese Jean-Baptiste Biot (1774-1862) si fece protettore e mentore di Pasteur e non lo abbandonò mai fino alla morte, non lo lusingò e da vero amico gli mostrò gli errori di un’ambizione troppo impaziente e deplorò spesso che si disperdesse tanto.
Dal 1844 il chimico Auguste Laurent (1807-1853) vide subito in Pasteur lo studioso di un’audacia sorprendente e un’intuizione meravigliosa, sicché gli propose di cominciare un lavoro in comune. Pasteur felicissimo di questa collaborazione, scriveva al suo amico Charles Chappuis: «Anche quando questo lavoro non conducesse a nessun risultato degno di essere pubblicato, tu vedi subito che io avrò molto da guadagnare a lavorare per parecchi mesi con un chimico così esperto».
Pasteur nella sua tesi di chimica discussa il 1847, proclamava quanto egli fosse stato «illuminato dagli ammirevoli consigli di questo uomo così eletto e per talento e per carattere».
Le scoperte scientifiche in sintesi
Nelle ricerche scientifiche di Pasteur si disegna con sufficiente chiarezza un percorso che occorre sintetizzare, prima di descrivere le principali scoperte e l’importanza che esse hanno avuto sulla umanità dello scienziato.
[A destra: Louis Pasteur in laboratorio (dipinto di Albert Edelfelt, 1885)]
Avendo scoperto l’«asimmetria molecolare» con studi puramente chimico-fisici, entrò nel campo della biologia per tentare di spiegare i meccanismi della vita le cui strutture sembravano funzione di questa asimmetria.
Lo studio della formazione della presenza dei microbi in tutti i processi della «fermentazione» e nella «putrefazione» lo orientarono verso la dimostrazione sperimentale secondo la quale la vita non poteva nascere che dalla vita: teoria del germe e «negazione di ogni generazione spontanea».
Avendo provato il principio che la malattia non è «in noi, da noi, per noi», egli poté affrontare la ricerca sistematica degli «agenti patogeni». Conoscendo le cause delle malattie, fu da quel momento possibile studiare il modo di combatterle e di prevenirle. Questa fu la tappa delle tecniche dei «vaccini»: essa doveva portare alla sieroterapia e alla immunologia, mentre erano poste le fondamenta dalle quali doveva aver origine l’azione antibiotica, complemento indispensabile dell’asepsi.
Una grande legge di vita: l’asimmetria molecolare
Il primo studio di chimica compiuto da Pasteur riguarda la asimmetria molecolare.
I primi passi della stereochimica sono legati agli studi di François Jean Dominique Arago (1786-1853) del 1811 e Jean-Baptiste Biot del 1813 sulla rotazione del piano della luce polarizzata che attraversa certi mezzi trasparenti. Essi chiamarono «attività ottica» questo fenomeno e mostrarono che le due forme emiedriche del quarzo ruotavano il piano della luce polarizzata in senso opposto e, a parità di spessore e di lunghezza d’onda della luce impiegata, dello stesso numero di gradi; scoprirono, inoltre, che lo stesso fenomeno era presentato da alcune sostanze naturali liquide e dalle soluzioni di alcune sostanze naturali solide. Il fatto che dei liquidi o delle soluzioni fossero otticamente attivi come i cristalli emiedrici di quarzo fu attribuito a una qualche simmetria delle molecole stesse.
Un fondamentale passo in avanti fu compiuto da Pasteur lavorando sugli acidi tartarici e sui loro sali. Pasteur separò l’una dall’altra due forme cristalline emiedriche di tartrato doppio di potassio e ammonio. Le soluzioni acquose di queste due forme erano otticamente attive e, a parità di concentrazione, deviavano il piano della luce polarizzata in senso opposto, ma con lo stesso angolo. Pasteur arrivò alla conclusione che sia l’asimmetria dell’abito cristallino sia l’attività ottica delle soluzioni dovevano essere attribuite a una asimmetria della stessa molecola dell’acido tartarico. Le due forme da lui isolate differivano per le loro proprietà biologiche, ma tutte le altre proprietà chimiche e fisiche erano identiche. Pasteur isolò anche una forma di acido tartarico con abito cristallino simmetrico, la cui soluzione acquosa non mostrava attività ottica, ma proprietà chimiche, fisiche e biologiche diverse da quelle della due forme precedenti.
L’importanza della scoperta di Pasteur sta nel fatto che essa ha stabilito un principio: le sostanze derivate da corpi organici, vegetali e animali presentano un’asimmetria molecolare.
[A sinistra: Jean-Baptiste Biot (1774-1862)]
L’asimmetria appariva come una delle grandi leggi della vita. Incaricato di renderne conto, Biot cominciò a esigere da Pasteur la verifica degli esperimenti condotti. In questo controllo, Biot mise, insieme alla sua precisione abituale, una specie di diffidenza sospettosa, ma quando poté rendersi conto che Pasteur aveva veramente ragione, afferrò il giovane chimico per il braccio e gli disse con voce rotta: «Mio caro ragazzo, io ho tanto amato le scienze nella mia vita che questo mi fa battere il cuore!».
In una lettera a Jules Leonard Raulin (1836-1896), Pasteur scrive: «Credo a una influenza cosmica asimmetrica che presiede naturalmente, costantemente, all’organizzazione molecolare dei principi immediatamente essenziali alla vita, e che di conseguenza le specie dei regni della vita sono, nella loro struttura, nelle forme, nelle disposizioni dei loro tessuti, in relazione con i movimenti dell’universo». Si tratta solo di confidenze riservate ai suoi amici e ai suoi vecchi maestri, ma la sua audacia si concretizzerà nel momento in cui renderà di domino pubblico la sua convinzione nell’origine cosmica dell’asimmetria molecolare. Ha scelto di farlo in una nota destinata all’Accademia delle Scienze di Francia: «[…] Azioni asimmetriche presiedono, lungo il corso della vita, all’elaborazione di veri principi immediati asimmetrici. Quale può essere la natura di queste azioni asimmetriche? Penso, da parte mia che ci sia un ordine cosmico. L’universo è un insieme asimmetrico, e sono persuaso che la vita, come a noi si manifesta, è funzione dell’asimmetria dell’Universo o delle conseguenze che essa comporta […]».
Cosa ne pensa il professor Pasteur? La generazione spontanea
Pasteur si è interessato della questione della generazione spontanea che da secoli risultava essere oggetto di grande discussione, infatti la maggior parte di primi naturalisti, sin dai tempi di Aristotele (384-322 a.C.), riteneva che gli esseri viventi più semplici potessero generarsi spontaneamente dalla polvere o dal fango.
Nel XVII secolo Francesco Redi (1626-1697) eseguì un famoso esperimento per verificare se fosse possibile la generazione spontanea delle larve di mosca: egli collocò della carne avariata in una serie di barattoli, alcuni chiusi da un coperchio, altri coperti da una garza e altri ancora lasciati completamente aperti, in questo modo riuscì a dimostrare che le larve nascevano solo nei barattoli in cui le mosche avevano potuto depositare le uova.
Dopo duecento anni, la discussione non si era ancora conclusa.
Durante una seduta dell’Accademia di Medicina di Francia del 1873, un membro dell’assemblea fa allusione ai germi che il medico Casimir Joseph Davaine (1812-1882) ha preteso, qualche anno prima, di aver osservato al microscopio nel sangue di animali morti di carbonchio. Questo medico, sostenuto successivamente nelle sue ipotesi dalle ricerche di Pasteur sulle fermentazioni, è arrivato a chiedersi se la setticemia non fosse causata dall’azione di germi simili a quelli di cui si è riscontrata la presenza nel sangue di animali carbonchiosi. «Cosa ne pensa il professor Pasteur?».
Con questa domanda gli accademici fanno varcare improvvisamente al dibattito i limiti che Pasteur, preoccupato di attenersi ai soli fatti verificati, si sarebbe augurato di non dover oltrepassare. Deve comunque rispondere a questa provocazione appena mascherata. L’esistenza di pretesi germi, che si trovano nelle uova marce o nel sangue di animali carbonchiosi porta ad interrogarsi sulle origini: generazione per filiazione o generazione spontanea?
Quest’ultima trova ancora difensori in seno all’Accademia di Medicina, benché quindici anni prima nel 1858, nella clamorosa controversia con il medico e naturalista Félix-Archimède Pouchet (1800-1872), Pasteur abbia dimostrato che la generazione spontanea è, se non impossibile almeno indimostrabile: portati a grande altezza, sul ghiacciaio Mer de Glace nella catena del Monte Bianco, dei palloni ermeticamente chiusi, ripieni di una materia facilmente alterabile come il lievito di birra, Pasteur poté dimostrare che più ci si eleva, meno possono vivere i germi, e che certe zone assolutamente pure non ne contengono nessuno.
Quando la controversia divenne troppo vivace, l’Accademia delle Scienze di Parigi offrì un premio a chiunque fosse stato in grado di fare luce sull’argomento. Il premio fu vinto nel 1864 da Pasteur che attraverso un semplice esperimento riuscì a confutare la teoria della generazione spontanea. Egli impiegò per i suoi esperimenti dei matracci a collo d’oca, che permetteva l’entrata dell’ossigeno, ma impediva che il liquido all’interno venisse in contatto con agenti contaminanti come spore e batteri. Egli bollì il contenuto dei matracci, uccidendo così ogni forma di vita all’interno, e dimostrò che i microrganismi apparivano solo se il collo dei matracci veniva rotto, permettendo così agli agenti contaminanti di entrare.
Per Pasteur dare scacco agli spontaneisti o agli eterogenisti era questione di verità scientifica: «Non c’è religione, filosofia, materialismo o spiritualismo che tengano. Potrei persino aggiungere: come scienziato mi importa poco! È una questione di fatti; l’ho affrontata senza idee preconcette, altrettanto pronto a dichiarare, se l’esperienza mi avesse imposto di confessarlo, che esistono generazioni spontanee, quanto sono oggi persuaso che quelli che lo affermano hanno una benda davanti agli occhi […]. La scienza non si deve dar il pensiero delle possibili conseguenze filosofiche dei suoi lavori […]. Tanto peggio per coloro le cui dottrine o i cui sistemi non sono d’accordo con la verità dei fatti naturali».
Joseph Meister non morirà! Il vaccino antirabbico
Una delle scoperte per cui Pasteur viene considerato un benefattore dell’umanità è sicuramente quella del vaccino antirabbico: il 6 luglio 1885 si presentò improvvisamente a Parigi il piccolo Joseph Meister (1876-1940). Il bambino aveva 9 anni e due giorni prima era stato atterrato da un cane arrabbiato e morso crudelmente in tutto il corpo. Preso alla sprovvista, divorato dall’ansia di sapere se doveva osare intervenire o astenersi, Pasteur domandò prima a due colleghi dell’Accademia di Medicina, Felix-Alfred Vulpian (1826-1887) e Jacques-Joseph Grancher (1843-1907) di esaminare il malato e di comunicargli la diagnosi. Questa non si prestava a equivoci: il bambino non poteva sfuggire alla rabbia.
Pasteur poteva agire e rischiare, nello stato ancora precario dei suoi studi, di far morire precocemente il bambino, o rifiutarsi e condannarlo irrimediabilmente alla morte o alla paralisi totale. «L’idea di iniettare all’uomo il virus della rabbia, anche se attenuato, aveva di che terrorizzare […]» scriveva Dubos. In caso di insuccesso, i nemici non avrebbero tenuto in nessun conto le sue intenzioni umanitarie, ma proprio al contrario l’avrebbero accusato di presunzione. In caso di successo, avrebbero potuto sostenere che niente provava che il bambino fosse condannato senza appello. Avrebbero senza dubbio parlato di leggerezza dello sperimentatore che non esitava a utilizzare una cavia umana per conquistarsi un nuovo titolo di gloria. In piena coscienza egli accettò la via più difficile.
L’8 luglio 1885 Pasteur procedeva alla prima inoculazione, saranno in totale 12. Ogni sera prima di addormentarsi, Joseph Meister vedeva il viso di Pasteur – il caro signor Pasteur, come lo chiamava – chino su di lui, gli tendeva le braccia e lo abbracciava.
[A destra: Joseph Meister, il primo uomo vaccinato contro la rabbia, all’Istituto Pasteur dove ha lavorato come custode fino alla sua morte nel 1940]
Scrive il genero René Vallery-Radot (1853-1933): «L’insonnia che risparmia di solito gli uomini di azione, non risparmia gli uomini di pensiero. È un male incalzante. In quelle ore lente e buie della notte, dove tutto è deformato, dove la saggezza è in preda ai fantasmi, fuori del suo laboratorio, Pasteur perdeva di vista il cumulo di esperimenti che gli dava la certezza del successo, e immaginava che quel bambino dovesse morire».
Joseph Meister venne salvato e come lui migliaia di persone negli anni successivi. Il 26 ottobre 1885 durante la seduta all’Accademia delle Scienze, prende parola il presidente Henri Marie Bouley (1814-1885): «[…] A partire da oggi l’umanità è armata di un mezzo per lottare contro la fatalità della rabbia e per prevenire le sue stragi. Ciò, noi lo dobbiamo a Pasteur e noi non sapremmo avere abbastanza ammirazione e riconoscenza per degli sforzi che hanno conseguito un tale risultato […]».
Sursum corda! Il maestro Pasteur
Mentre continuava i suoi esperimenti e i suoi studi, Pasteur trovava sempre il modo di amministrare la Scuola Normale: l’influenza che esercitava era tale che dava agli allievi non soltanto il gusto dello studio, ma una vera passione. Egli dirigeva ognuno verso la sua strada e ridestava le intelligenze. Se qualche allievo si trovava depresso, lo scuoteva vigorosamente: era il consigliere che vi abitua a guardare al di là di ogni giorno.
La religione del dovere e il culto del lavoro determinano in Pasteur una severità verso se stesso che si ripercuote sugli altri e costringe chi lo attornia al silenzio o a colloqui sommessi. In laboratorio mostra, in ogni suo movimento, una lentezza che i postumi dell’emiplegia, dopo il 1868, aumentano.
Silenzioso, rimane per ore intere con l’occhio al microscopio, interrompendo la ricerca solo per prendere qualche appunto in un quaderno dove, con mano precisa, traccia ogni tanto qualche figura. «Bisogna lavorare» si limita a ripetere.
[A sinistra: La copertina di Le Petit Journal del 14 gennaio 1993, dedicata a Pasteur]
Crede solo alla ragione, alla logica e alla perseveranza. Nel 1870 esclama ai suoi collaboratori: «Ho la testa piena di bei progetti per il lavoro. La guerra (nda franco-prussiana) ha fatto prendere un po’ di riposo al mio cervello. Sono pronto per nuovi esperimenti. Forse mi faccio delle illusioni. In ogni caso vi proverò. […] Venite! Trasformeremo il mondo con le nostre scoperte».
Il giorno 8 agosto 1874 in occasione della distribuzione dei premi al collegio di Arbois, Pasteur tiene un discorso ai suoi allievi in cui dice: «[…] È privilegio delle grandi verità avere luci interiori per tutte le età della vita ed è onore dell’umanità riceverne vivificanti luci qualsiasi sia la cultura dello spirito. Chi di voi non ha sentito l’animo commuoversi alle idee di Dio, della Patria, della virtù, del coraggio? Io mi augurerei che tutti i Professori, nell’oltrepassare la soglia della loro classe, si dicessero con raccoglimento: “come eleverò oggi più di ieri l’intelligenza e il cuore dei miei allievi?”. Sursum corda! Sempre più in alto il pensiero, sempre più alte le aspirazioni. Questa è la migliore regola da seguire in tutte le particolari situazioni come in tutti i momenti della vita della società […]».
Al di là di questa volta stellata che cosa c’è? Positivismo e nozione dell’infinito
Pasteur ha avuto una fine cristiana, nonostante il coma vigile in cui era entrato non gli abbia permesso di ribadirla con un ultimo atto di fede davanti a testimoni, ma ci si continuerà a interrogare su quanto fossero reali le convinzioni religiose di cui ha lasciato sempre degli indizi, senza mai esprimerle in modo chiaro. È naturale che ci si ponesse questa domanda, alla fine del XIX secolo quando, rafforzato dai continui progressi della scienza, il positivismo provocava una risposta diversa da quella dei difensori dei valori spirituali tradizionali. La controversia che questa domanda suscitava a quei tempi è proseguita, in modo più discreto, fino ai giorni nostri a testimonianza dell’importanza che le generazioni successive affidano alle idee, ai sentimenti di colui che per la portata umanitaria delle scoperte e della passione per la conoscenza, è considerato come una grande figura morale, oltre che uno dei più grandi scienziati della nostra storia.
[A destra: I funerali di Pasteur, Parigi 5 ottobre 1985]
«[…] La scienza sperimentale è essenzialmente positivista nel senso che, nelle sue concezioni, essa non fa mai intervenire la considerazione dell’essenza delle cose, dell’origine del mondo e del suo destino. Non ne ha bisogno. Essa sa che non avrebbe nulla da imparare da nessuna speculazione metafisica. Tuttavia non si priva dell’ipotesi. Al contrario, nessuno più dello sperimentatore ne fa uso; ma è soltanto a titolo di guida e di stimolo per la ricerca e sotto la riserva di un controllo severo. Esso disdegna e respinge le sue idee preconcette, dal momento che la sperimentazione gli dimostra che esse non corrispondono a realtà oggettive […]».
Pasteur, parlando di Emile Littré (1801-1881) e del positivismo, dice: «[…] Più volte, così definisce il positivismo dal punto di vista tragico: “chiamo positivismo tutto ciò che si fa nella società per organizzarla secondo la concezione positiva, ossia scientifica del mondo”. Sono pronto ad accettare questa definizione, a condizione che sia regolarmente applicata; ma l’enorme e visibile lacuna del sistema consiste nel fatto che esso non tiene conto, nella concezione positiva del mondo, della più importante delle nozioni positive, quella dell’infinito. Al di là di questa volta stellata che cosa c’è? Nuovi cieli stellati. Sia pure! E al di là ancora? Lo spirito umano, spinto da una forza irresistibile non smetterà mai di chiedersi: che cosa c’è al di là? Vuole esso fermarsi sia nel tempo, sia nello spazio? Poiché il punto dove esso si ferma è solo una grandezza finita, soltanto più grande di tutte quelle che l’hanno preceduta, non appena egli comincia ad esaminarlo ritorna la domanda implacabile senza che egli possa far tacere il grido della curiosità […]».
Pasteur continua dicendo: «[…] Io vedo ovunque l’inevitabile espressione della nozione dell’infinito nel mondo. Attraverso essa, il soprannaturale è in fondo a tutti i cuori. L’idea di Dio è una forma dell’idea dell’infinito. Fin tanto che il mistero dell’infinito peserà sul pensiero umano, templi saranno elevati al culto dell’infinito, sia Dio si chiami Braham, Allah, Jehova o Gesù […]. La scienza e il desiderio di comprendere non sono l’effetto dello stimolo del sapere che il mistero dell’Universo infonde nella nostra anima? […]».
Filippo Peschiera
(Dottore Magistrale in Scienze Chimiche, Università degli Studi di Milano. Membro del Centro di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede (DISF), Pontificia Università della Santa Croce, Roma)
Bibliografia
- René Vallery-Radot, La vita di Pasteur, Aurora, Milano 1936.
- Bernheim-Schuschu, Eroi per Cristo, Paoline, Roma 1963.
- Louis Pasteur, Opere, Utet, Torino 1972.
- Hilarie Cuny, Pasteur: la vita, il pensiero, i testi esemplari, Accademia, Milano 1974.
- Pierre Gascar, La strada di Pasteur. Storia di una rivoluzione scientifica, Jaca Book, Milano 1991.
© Pubblicato sul n° 46 di Emmeciquadro