Il coraggio di una scelta – tematica e temporale – per sperimentare un metodo di lavoro efficace. Così, in una seconda primaria lo scorrere del tempo accompagna i passi di conoscenza dell’albero, un argomento apparentemente «semplice» che invece mette in gioco, secondo la gradualità richiesta dall’età dei bambini, ma con una progressione crescente nel corso dell’anno, i punti nodali della anatomia e fisiologia vegetale. Un lavoro completo non solo perché l’albero viene studiato in «ogni sua parte», ma anche perché vengono utilizzate diverse strategie didattiche, nell’alveo del «fare scienza» a scuola. Per tutti noi una nuova sfida, a dimostrare che si possono imparare, insieme ai bambini, concetti importanti e complessi semplificandoli senza stravolgerli.



Lo scorso anno scolastico ho insegnato in una classe seconda e ho scelto come filo conduttore dell’anno il tempo che passa e che lascia dei segni, delle tracce del suo scorrere. Così, in scienze, ho deciso di trattare l’albero e per scelta ho deciso di trattare ampiamente ogni sua parte, lasciando ai prossimi anni altri argomenti e anticipando tematiche che i bambini avrebbero potuto affrontare nelle classi successive.



Osservare: l’autunno e l’uva

L’autunno è stata l’occasione per osservare da vicino l’uva. Ogni bambino è stato invitato, come in una sorta di «caccia al tesoro», a portare a scuola un grappolo d’uva: chi ne ha portati di grandi, di piccoli, con acini grossi, chi si è limitato a portare qualche acino. Già questo ha reso possibile un lavoro di arricchimento lessicale che all’inizio avevo dato per scontato: «Ricordi? Avevamo indetto una caccia al grappolo d’uva, invece da soli sono degli acini».
Il lavoro è iniziato con un’attenta osservazione di ogni parte del grappolo, a partire dall’unità per poi arrivare a cogliere ogni parte.
Così si sono cimentati nel disegno dal vero e nel conoscere ogni parte con il suo nome.



Osserviamo da vicino l’Uva

Purtroppo non abbiamo avuto l’opportunità di vedere un vigneto dal vero, ma sia io che una alunna siamo riuscite a procurare dei tralci di vite, per far notare ai bambini la differenza rispetto ad altri tipi di rami.
Successivamente ho formalizzato il percorso con delle schede riassuntive.

La Vite

La vite è una pianta alimentare che resiste alle temperature più basse dell’inverno e alla mancanza d’acqua. La pianta della vite ha un FUSTO corto da cui partono i lunghi rami chiamati TRALCI, dai quali nascono grandi foglie palmate, i PAMPINI, i GRAPPOLI e i VITICCI, sottili e arricciati che servono alla pianta per sorreggere i tralci.
Il suo frutto è l’uva, un insieme di tanti frutti, gli ACINI, attaccati al tralcio attraverso il raspo. Più acini sullo stesso raspo formano il GRAPPOLO.

Il succo d’uva e le sue trasformazioni
Non abbiamo trascurato neppure la «classica» pigiatura degli acini.
Il succo e la polpa sono stati raccolti in due vasetti di vetro e ogni giorno per un periodo di tempo abbiamo annotato i cambiamenti, sia visivi che olfattivi.
Successivamente questo «diario» è stato sistemato con l’insegnante di informatica.
Per quanto riguarda i cambiamenti registrati ho cercato di spiegare ai bambini che avvengono grazie al lavoro svolto dai saccaromiceti, dei funghi «golosi» dello zucchero presente nel succo d’uva.
Ho anche accennato al fatto che così lo zucchero viene trasformato in alcool e che questa trasformazione, chiamata «fermentazione», viene utilizzata dai contadini, o dalle aziende produttrici, come punto di partenza per ottenere il vino. Questo processo li ha incuriositi parecchio, tanto che un nome così difficile se lo sono ricordati tutti.

L’uva da diversi punti di vista (percorso pluridisciplinare)
Il lavoro «osservativo» e «sperimentale» nell’ambito di scienze è stato il punto di partenza per l’elaborazione di un testo descrittivo nell’ambito di italiano. Osservando attentamente, annusando, toccando e gustando abbiamo segnato tutte le qualità dell’uva (avviamento all’aggettivo qualificativo).
In seguito abbiamo composto collettivamente un testo descrittivo.

Descriviamo l’uva (testo descrittivo collettivo)

L’uva è un frutto autunnale. Gli acini sono attaccati al raspo.
La buccia, se la guardo, è di colore rosso, giallo ocra, bianco, marroncino, viola, lilla e blu.
L’acino è di forma ovale o rotonda.
Se lo tocco è ruvido, liscio, bagnato, molle e duro.
Se lo annuso profuma di fiori, di vino, di terra, di erba ed è anche un po’ puzzolente.
Se taglio l’acino a metà vedo la polpa e i vinaccioli.
Se lo assaggio è dolce, aspro e succoso.

Durante le lezioni di arte abbiamo riprodotto i grappoli d’uva per poi colorare i disegni con le tempere.
Anche l’ambito di matematica si è prestato per un lavoro statistico: volevamo dare un nome al prodotto della pigiatura; più nomi sono stati messi al voto e l’indagine è stata formalizzata con un grafico a colonne.

La tradizione: i lavori contadini d’autunno e la castagna

In quei giorni autunnali abbiamo fatto visita a un’azienda agricola nella media Val Brembana.

I proprietari ci hanno riproposto i lavori contadini svolti in autunno: la raccolta delle noci, la raccolta delle foglie per preparare la lettiera agli animali, eccetera.
Inoltre abbiamo effettuato un’uscita a un santuario che sorge vicino alla scuola, dedicato alla Madonna della Castagna e abbiamo fatto una «caccia al tesoro» dei colori dell’autunno. I bambini hanno riempito borse di foglie secche e colorate che abbiamo portato a scuola.
Questa è stata l’occasione per conoscere un altro frutto autunnale che fa parte della tradizione bergamasca: la castagna.
Anche la castagna, e il riccio che la avvolge, sono stati osservati da vicino, riprodotti dal vero con la corretta nomenclatura, per poi poter accompagnare in parallelo il lavoro di italiano.
È stato curioso scoprire l’importanza della castagna e delle parti della pianta del castagno per la tradizione bergamasca.
Molti bambini non sapevano come si cuocessero le caldarroste, così ho portato a scuola castagne e la pentola con i fori e grazie alla disponibilità delle cuoche abbiamo cotto le castagne e fatto merenda con le caldarroste.

 

La castagna

 

La castagna è detta anche «pane dei poveri», perché mangiata soprattutto da contadini delle zone di collina e di montagna ed è un frutto molto nutriente.
Fino a non molto tempo fa si cercava di non sprecare neppure una castagna e i contadini si organizzavano per poter conservare questi frutti a lungo e poterli così mangiare per tutto l’inverno: le castagne venivano fatte essiccare per quaranta giorni su un graticcio all’interno di una apposita costruzione.
Macinando le castagne si ricavava una farina dolce per preparare frittelle, il castagnaccio o la polenta di castagne.
Appena colte, le castagne venivano mangiate lesse o arrostite; una volta secche si masticavano come caramelle oppure si bollivano.
Il frutto della castagna nasce dalla pianta del castagno, un albero imponente che cresce soprattutto in collina e in montagna.
Anche delle altre parti della pianta non si sprecava niente: il legno serviva per mobili, attrezzi e materiale da costruzione, i rametti per il riscaldamento della casa e per il forno, le foglie per il composto del concime e la lettiera degli animali.
Anche i fiori sono importantissimi: le api riescono a produrre un miele aromatico e amarognolo. Dai ricci si ottiene il tannino, una sostanza per conciare le pelli e trasformarle in cuoio.
Le foglie sono grandi, hanno forma LANCEOLATA (come se fosse la punta di una lancia), MARGINE SEGHETTATO (come i denti di una sega), APICE ACUMINATO (la punta si restringe).
I frutti, le castagne, hanno una buccia che si chiama PERICARPO ed è resistente, liscio e di color marrone con striature più chiare. Alla base hanno una cicatrice color marroncino chiaro, chiamato ILO, segno che il frutto si è staccato dal riccio che lo conteneva. Sulla punta si notano dei “peletti”: sono quello che rimane del fiore che, trasformandosi, ha dato origine al frutto della castagna.
La parte commestibile è la POLPA, la quale è avvolta da una pellicina amarognola chiamata EPISPERMA. I frutti sono protetti da un involucro, il RICCIO.

 

 

Le foglie

 

La caccia al tesoro delle foglie nel boschetto del santuario ci ha dato la possibilità di iniziare a conoscere da vicino le foglie. Prima i bambini si sono cimentati nel mettere in ordine secondo loro criteri (colore, grandezza, somiglianza ad altri oggetti, …). Poi insieme abbiamo utilizzato due modi per classificare le foglie: in base alla forma e al margine. E abbiamo costruito delle schede in cui ogni modalità veniva associata a un disegno-simbolo.

Molte volte, sia in giardino che in classe, abbiamo raccolto le foglie per poi metterle in ordine con i criteri appresi. Inoltre abbiamo scoperto le diverse parti che compongono la foglia, associando sempre il nome corretto.

Le foglie e la loro struttura

La foglia è una parte della pianta.

Ogni foglia è costituita da:
APICE: è la punta della foglia
LAMINA: è la parte piatta della foglia ed è costituita da due facce (PAGINE), quella superiore e quella inferiore
PICCIOLO: è la parte che collega la foglia al ramo
MARGINE: è il bordo che delimita la foglia
NERVATURA: sono i canali presenti nella foglia
BASE: è la parte della foglia più vicina al picciolo

Poi ho proposto ai bambini un lavoro di frottage e di stampa con l’uso delle foglie secche e piatte: questi lavori artistici, appesi in ogni angolo della nostra aula, l’hanno reso ancora più autunnale.
Dopo molte occasioni di lavoro comune o in piccoli gruppi, i bambini hanno lavorato individualmente al riconoscimento delle foglie: la foglia veniva incollata sul quaderno e poi catalogata, oppure veniva disegnata (con il tempo le foglie si erano accartocciate talmente tanto che era difficile incollarle senza rovinarle).

Osservo il margine e la forma della foglia

 

Questa è una foglia di albicocco.

Il margine è seghettato.

La forma è lobata.

 

 

La forma delle foglie
I bambini mi hanno fatto una domanda che ha mosso il lavoro successivo: «Perché le foglie hanno questa forma e non forme più semplici, come rettangoli?».

La domanda è stata l’occasione di una semplice attività pratica, per introdurre all’importanza delle forme negli oggetti anche di uso comune.
Prima però ho chiesto ai bambini di riflettere e di dare una risposta. Edoardo diceva che le foglie hanno molte forme perché modellate dall’acqua; Ilaria diceva che le foglie si sono adattate all’ambiente in cui vivono. Come spesso succede, nelle risposte dei bambini risuonano echi di frasi sentite, perciò occorreva, in modo elementare, ristabilire almeno un approccio corretto e ho inventato una «prova» sul campo.

Simulazione
Ho preso un cartoncino rettangolare e ho incollato una cannuccia in modo che, facendo passare dell’acqua con l’aiuto di una siringa senza ago, questa cadesse sul cartoncino, simulando quello che accade con la pioggia. In questo caso l’acqua è rimasta tutta sul cartoncino.
Ho ripetuto la stessa operazione con la cannuccia e l’acqua usando un cartoncino ritagliato a forma di foglia: in questo caso l’acqua è scivolata via. Con questo esperimento i bambini sono giunti alla conclusione che la forma delle foglie è utile per far scivolare via l’acqua piovana.
Inoltre ho anche richiamato l’attenzione sul fatto che nella pagina superiore le foglie sono «lucide» perché ricoperte da una sostanza che le rende impermeabili e fa scivolare via meglio l’acqua.

 

Il colore delle foglie
La curiosità dei bambini sulle foglie è stata molta, tanto che mi hanno chiesto perché le foglie sono così colorate in autunno e verdi in estate.
Prima di fare con loro una semplice attività sperimentale, ho chiesto di ragionare e di darmi delle risposte. Diego diceva: «È una cosa completamente naturale!». Ilaria: «Sono verdi così in estate possono vivere».

Esperimento
Ho portato a scuola delle foglie di radicchio, due vasetti e dell’alcool.
In un primo vasetto ho messo alcool e foglie sminuzzate di radicchio verde; nel secondo vasetto le foglie sminuzzate e l’acqua.
Dopo una settimana abbiamo notato che l’alcool era diventato verde e le foglie si erano scolorite, mentre nell’altro vasetto non era successo niente, l’acqua non si era colorata.
Ho spiegato ai bambini che l’alcool aveva «estratto» dalle foglie quella sostanza verde (clorofilla) che dà il colore alle foglie in primavera e in estate; in autunno la clorofilla non è nelle foglie e queste hanno il colore di altre sostanze (rosse e marroni) in esse contenute.
Ho rimandato l’approfondimento sulla funzione della clorofilla agli anni successivi: ho solamente accennato al fatto che la clorofilla serve per «catturare» la luce del Sole e costruire sostanze nutritive utili alle piante, spiegando anche ai bambini che studieremo meglio il fenomeno negli anni prossimi.

Perché le foglie sono verdi in primavera e in estate?

 

 

Dopo una settimana

 

 

 

L’inverno e la struttura del tronco

 

Al rientro dalle vacanze natalizie gli alberi del giardino della scuola erano completamente spogli.
Così siamo scesi in cortile muniti di carta e matita per disegnare dal vero un albero senza foglie.
Il mio obiettivo ora era quello di far conoscere l’albero nella sua integrità e cogliere poi ogni parte, dando sempre il giusto nome.
Per meglio far capire ai bambini la funzione di ogni parte dell’albero ho scelto di fare un parallelo con il loro corpo.

 

La corteccia
Abbiamo svolto un lavoro di frottage della corteccia degli alberi del giardino della scuola e la mia collega che svolgeva delle ore di compresenza nella classe, essendo agronomo, ha spiegato ai bambini perché le cortecce sono così diverse tra di loro.
Durante la visita alla fattoria didattica svolta in autunno, il proprietario ci aveva «affettato» una sezione di un tronco di acacia. L’ho tenuto da parte per poterlo osservare meglio al momento opportuno. I bambini si ricordavano ancora la spiegazione sugli anelli dataci dall’agricoltore-boscaiolo.
Dopo averla osservata, toccata, annusata l’abbiamo riprodotta sul quaderno.

Osservo la sezione di un tronco

 

Ogni giorno arrivavo a scuola e trovavo sulla mia cattedra sezioni di tronchi, rami piuttosto grossi e i bambini mi raccontavano di come erano riusciti a reperirli. Raccontando non dimenticavano mai le parole giuste per descrivere le parti della loro «conquista». Tutti promossi, ovviamente!
Dopo essere stata identificata e descritta, ogni parte del tronco è stata spiegata nella sua funzione e la spiegazione è stata poi verbalizzata sul quaderno, così che i bambini potessero rileggerla in autonomia.

 

I fasci vascolari e la questione della linfa

Nei sussidiari la questione è risolta in modo piuttosto semplicistico, parlando di linfa grezza e di linfa elaborata e utilizzando la capillarità dell’acqua come chiave risolutiva della circolazione nelle piante.

In realtà, partecipando al gruppo di ricerca Educare insegnando ho capito che la questione è molto più complessa: da una parte c’è la struttura vascolare della pianta (i tubi del legno e del libro riuniti in fasci) e dall’altra le interazioni e le forze che permettono all’acqua e alla linfa di circolare lungo tutta la pianta. Ovviamente, con i bambini occorre gradualità e rispetto della loro capacità di comprensione, ma non si può rinunciare a presentare un argomento perché è complesso né si può semplificare in modo eccessivo.
Perciò ho spiegato che nella pianta circola la «linfa», un miscuglio di sostanze che servono per nutrire la pianta. In particolare, le radici assorbono dal terreno l’acqua e i minerali in essa disciolti («linfa grezza») e questa risale lungo il fusto fino a raggiungere le foglie; nelle foglie si forma quella che viene chiamata «linfa elaborata», ricca di sostanze nutritive (zuccheri), che scorre dalle foglie a tutte le parti della pianta.
Mi hanno chiesto come potesse la linfa grezza risalire lungo il fusto. Prima di dare io una spiegazione ho chiesto ancora a loro di ragionare. Roberto ha detto: «Qualcosa la spinge verso l’alto». Chiara sosteneva che si appiccicasse lungo dei tubi; Filippo pensava alla presenza di una pompa all’interno di una pianta. Iris ipotizzava delle cannucce con cui la pianta riuscisse a succhiare la linfa.
Con un’attività semplice (il classico esperimento del sedano immerso nell’inchiostro) ho dimostrato che all’interno del fusto esistono dei tubicini e che la linfa grezza, come l’inchiostro, per capillarità può risalire, almeno in parte, lungo i «tubicini» presenti. Ma ho spiegato che il fenomeno è piuttosto complesso e che lo capiremo meglio negli anni prossimi. Ci siamo anche ricordati che le foglie sono ricche di nervature, i probabili «vasi» in cui passano l’acqua e la linfa.

 

 

L’orto a scuola

 

Nel secondo quadrimestre ho incontrato la disponibilità di due nonni per realizzare un orto a scuola. L’idea mi è venuta perché ho notato come i bambini hanno sempre meno la tentazione di dedicarsi a dei lavori manuali e perdono l’occasione di cogliere l’intero ciclo vegetativo di una pianta.
Per prepararli alla realizzazione dell’orto ho voluto chiarire con loro, attraverso un esperimento svolto in classe, quali sono le condizioni perché una pianta possa vivere.
Queste condizioni andavano poi riprodotte nell’orto della scuola.

 

In laboratorio
L’esperimento che abbiamo progettato per sapere quali condizioni favoriscono la crescita delle piante mette a confronto situazioni differenti; abbiamo cercato di far germinare un seme di fagiolo verificando l’importanza dell’acqua e della luce (del Sole). Ovviamente i semi erano tenuti all’aria (sappiamo bene che «sottovuoto» non germinano) e sono stati bagnati e monitorati ogni giorno. Dopo una settimana abbiamo verbalizzato quanto accaduto.

Esperimento
Quali sono le condizioni perché una pianta possa crescere bene?

 

Lunedì 12 marzo
Abbiamo preparato quattro bicchieri.
Sul fondo di tutti i bicchieri abbiamo messo uno strato di cotone e sopra un fagiolo.
Il primo bicchiere è stato messo davanti alla finestra e abbiamo bagnato regolarmente il cotone; anche il secondo bicchiere era davanti alla finestra ma non abbiamo bagnato il cotone; il terzo bicchiere era al buio in una scatola e abbiamo bagnato regolarmente il cotone.

 

Osserviamo cosa è successo dopo una settimana

Lunedì 19 marzo Il primo fagiolo è più gonfio, ha una parte verde e tagliata. Il secondo fagiolo (privo di acqua) è rimasto sempre uguale. Il terzo fagiolo (nella scatola) ha dato vita a una piantina di colore verde pallido.

 

È stato evidente che il seme di fagiolo può dare origine a una nuova piantina (cioè può «germinare») solo in presenza di acqua e di luce. Senza acqua non avviene nessun cambiamento nel seme.
Osservazioni compiute nei giorni successivi hanno mostrato che la prima piantina cresceva lentamente ma con costanza, mentre la piantina tenuta al buio nella scatola (la terza piantina) si allungava ma non era di colore verde.

 

Sul campo
Nei giorni successivi alle vacanze di Pasqua ci siamo armati di scarponcini, vestiti comodi e in compagnia di nonno Costante e nonno Antonio siamo andati in un pezzo di terra che i nonni i giorni precedenti avevano rivoltato.
I nonni hanno spiegato ogni attrezzo necessario ai lavori, come usarlo senza farsi male e come seminare o mettere a dimora le diverse piantine. I bambini sono stati entusiasti e non nego che i più energici si sono davvero rilassati.
Quasi ogni giorno, dopo la ricreazione di metà mattina, facevamo visita al nostro orto per osservarne le trasformazioni e per bagnare le piantine e i semini.
È stata una festa generale vedere spuntare i ravanelli e l’insalata, vedere l’allegagione delle fragole e la loro maturazione. Un giorno di fine maggio molti bambini hanno trascorso l’intervallo dopo la mensa nell’orto.
Al momento di rientrare in classe mi accorgo che avevano raccolto i ravanelli e, dopo averli sciacquati, li stavano mangiando, soprattutto coloro che non assaggiavano mai la verdura in mensa. Questa sorpresa ha mosso la lezione pomeridiana sulle radici delle piante, facendo notare la differenza tra le diverse tipologie di radici, ma non mi sono soffermata molto sulla loro funzione perché già l’anno scolastico precedente le avevo trattate.

 

I semi

 

In parallelo all’attività nell’orto, ho svolto anche un lavoro di osservazione e di catalogazione dei semi.
Per compito avevo chiesto di fare una nuova caccia al tesoro: portare a scuola il maggior numero di semi tra quelli che riuscivano a trovare a casa. Alcuni hanno portato il riso, altri il mais, altri i semi di papavero, altri i semi che mamma e papà usano per ottenere fiori e verdura nell’orto di casa, chi i semi trovati all’interno di un frutto. Per classificarli ho lasciato, all’inizio, alla loro libera iniziativa: li hanno classificati per grandezza, forma, colore, se commestibili o meno, … .
Il giorno precedente avevo messo a bagno nell’acqua alcuni fagioli e alcuni chicchi di mais per poterli poi aprire agevolmente. Ne ho distribuito uno di ognuno a ogni bambino e si sono divertiti ad aprirli e a togliere la pellicina.
Così si sono accorti di come è fatto un seme all’interno e che non tutti i semi sono uguali.
E abbiamo identificato la differenza tra dicotiledoni e monocotiledoni, dopo aver rappresentato con un disegno sul quaderno le nostre osservazioni.
Infine ho fornito loro uno schema riassuntivo.

Ogni scoperta a scuola è stata riportata a casa con tanto entusiasmo!
Alcuni genitori mi dicevano di avere il balcone invaso di vasetti con ogni sorta di semi all’interno!

 

 

La primavera: fiori e frutti

 

La primavera ci ha permesso di conoscere i fiori.
Ho raccolto nel giardino di casa mia una serie di fiori che avessero ogni parte ben visibile. Ogni bambino ha osservato un fiore, l’ha riprodotto nella sua integrità, poi l’ha sezionato e insieme abbiamo nominato ogni singola parte, spiegato la sua funzione e poi riprodotto ancora sul quaderno, facendo sempre attenzione al nome. In questa occasione ho fatto un accenno ai diversi modi in cui avviene l’impollinazione.

 

Orto quiz
L’ultima provocazione che ho lanciato ai bambini è iniziata con un gioco, chiamato Orto Quiz.
Seduti nel prato che fa da cornice all’orto facevo domande inerenti al nostro orto, come, per esempio: «Della pianta del peperone, quale parte mangiamo?» Vinceva chi rispondeva correttamente «il frutto».
Così per compito ho assegnato l’ultima caccia al tesoro: portare a scuola almeno due frutti.
Anche io mi sono sempre cimentata in questi giochi: tutti i bambini sono arrivati a scuola con della frutta, io con un peperone e un cetriolo.
I bambini mi hanno detto «Ma maestra! Quelli non sono frutti!». Riprendendo il fatto che sono frutti quelli che contengono al loro interno i semi, ho spiegato loro che non avevo sbagliato e che noi le classifichiamo come verdure perché contengono pochi zuccheri rispetto alla classica frutta.
In questa occasione abbiamo affrontato anche l’educazione alimentare: ho spiegato quante volte va mangiata la frutta e la verdura ogni giorno, perché è meglio quella di stagione e quali rischi si corrono non mangiandola. Quel giorno sono usciti da scuola alle 16, mangiando per merenda la frutta che loro stessi avevano portato.

 

 

Riflessioni alla fine dell’anno

 

In questo anno scolastico, come detto all’inizio, non ho voluto affrontare altri argomenti, oltre al letargo e alle migrazioni che completavano un argomento iniziato l’anno precedente, per dare spazio all’albero in ogni sua sfaccettatura. Un percorso così vasto e diversificato ha permesso di lavorare in modo pluridisciplinare e di puntare molto sull’arricchimento lessicale dei bambini.
Mi ha molto sorpreso il desiderio dei bambini di andare sempre «oltre»: io ho cercato di farli lavorare, con modalità operative diverse e quindi ad ampio spettro, tenendo come base un approccio osservativo-descrittivo, mentre loro chiedevano sempre a cosa serve. A riprova che gli aspetti strutturali e quelli funzionali sono sempre estremamente legati, anche nella mente dei bambini.
In questa prospettiva ho anche capito meglio la necessità di ritornare più volte, in un percorso di apprendimento, sugli stessi argomenti.
Perciò l’intenzione è quella di ricominciare ogni anno il lavoro con una passione rinnovata, ampliando l’orizzonte dei protagonisti dell’apprendimento, non solo i bambini ma anche noi insegnanti.

 

 

Vai al PDF dell’articolo

 

 

Silvia Bonati
(Insegnante presso la Scuola Primaria “IMIBERG” di Bergamo)
L’attività descritta è stata svolta nell’anno scolastico 2011-2012 nella classe seconda della Scuola Primaria “San Giuseppe” di Valbrembo (Bg) ed è stata discussa nel gruppo di ricerca “Educare Insegnando” promosso dall’Associazione “Il rischio educativo”.

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 47 di Emmeciquadro


Leggi anche

SCIENZ@SCUOLA/ Uno sguardo sul reale: i bombici del gelsoSCIENZ@SCUOLA/ Con il naso all’insù: «fare scienza» nella classe primaSCIENZ@SCUOLA/ L'orto con nonno Alberto