Il desiderio di nuove conoscenze che rivoluzionino i paradigmi precedenti spinge la scienza verso argomenti rilevanti anche per la prospettiva metafisica della realtà: i confini del cosmo, la coscienza, i costituenti della materia, il destino dell’Universo e così via. Tra questi è compreso un tema che ha vastissime implicazioni, l’origine della vita: è l’argomento della relazione tenuta da Tommaso Bellini al “San Marino Symposium 2008”, organizzato dall’Associazione Euresis in collaborazione con la John Templeton Foundation, i cui Proceeding sono stati pubblicati su Euresis Journal (Marzo 2012).
In questa sede presentiamo la traduzione dall’inglese della parte che riguarda gli scenari prebiotici, con qualche omissione per motivi di spazio.



Dopo la stagione degli entusiasmi per la scoperta di Stanley Lloyd Miller (1930 – 2007) della sintesi abiotica di semplici composti organici, la consapevolezza crescente che reazioni chimiche casuali non avrebbero potuto assemblare biomolecole funzionali ha stimolato una vasta comunità di chimici, biologi, fisici e geologi nella ricerca di nuovi meccanismi che abbiano portato a sistemi capaci di evolvere attraverso meccanismi di selezione.
Molti di questi scenari sono basati su processi di auto-assemblaggio molecolare. In effetti, l’idea che molecole possano associarsi spontaneamente in complesse strutture può costituire un ponte fra la miscela casuale di semplici composti di carbonio disponibili sulla Terra primitiva e la più semplice – ma immensamente complessa – entità vivente che possiamo estrapolare dalla nostra conoscenza della biologia.
Attualmente una parte della comunità scientifica che si dedica al problema dell’origine della vita considera probabile che debbano essere scoperti nuovi meccanismi di auto-assemblaggio, rendendo l’inizio della complessità biologica meno indecifrabile. Questo concetto è sostenuto dal fatto che nuovi meccanismi di auto-assemblaggio vengono continuamente scoperti in varie aree della fisica della materia condensata.
Lo studio dell’origine della vita stimola sempre riflessioni che vanno oltre la scienza. L’inclinazione filosofica di chi opera in questo campo si riflette sulle diverse aspettative che si possono avere. A un estremo si trova la poco verosimile, ma ancora concettualmente possibile, idea di dimostrare che la complessità dei viventi è irriducibile ai meccanismi molecolari fin qui studiati. Questo concetto, portato avanti dai sostenitori del Disegno Intelligente, appare, al momento, mancante del necessario rigore e di evidenze sperimentali forti.
All’altro estremo, c’è chi è ottimista circa la possibilità di chiarire meccanismi che possano portare a semplici sistemi che si replicano ed evolvono. Questo indicherebbe, di fatto – o anche di diritto se si trovano nuove leggi della complessità – che il nostro Universo è strutturato in modo tale da favorire l’emergere dell’intelligenza. Un terzo filone di aspettativa è quello che non si trovi nessuna legge o percorso, relegando così l’evento di quattro miliardi di anni fa nel regno dell’ignoto oppure costringendo ad accettare lo scenario di una «fantastica fortuna», per la quale una combinazione casuale di eventi potrebbe aver dato vita a un sistema complesso capace di auto-riprodursi.



La definizione di «vita»

Negli ultimi decenni sono stati intrapresi molti tentativi (e sono stati ottenuti alcuni significativi progressi) per far chiarezza su alcuni dei passaggi critici nell’origine e nell’evoluzione della vita, come la sintesi dei primi building-block [ndr.: componenti organici di base, mattoni della vita], l’origine del RNA e del DNA, o la prima organizzazione cellulare [1]. Tuttavia, anche data la difficoltà di verificare alcune delle condizioni ambientali sulla Terra primitiva, molte questioni sono ancora oggetto di intensa discussione [2], compresa l’esatta definizione di vita.
Una definizione che ha generato consenso è quella proposta nel 1994 da Gerald Joyce, e in seguito adottata dalla NASA: «la vita è un sistema chimico che si auto-sostiene, capace di evoluzione darwiniana».
[A sinistra: Gerald Francis Joyce (1956-…)]
Questa definizione, tuttavia, lascia aperte alcune delle domande cruciali: la replicazione e la mutazione sono caratteristiche necessarie della vita? È necessariamente implicato un codice genetico in un processo evolutivo capace di produrre esseri di complessità (teoricamente) illimitata?
Una definizione più esplicita dovrebbe includere la capacità di replicazione autonoma e la possibilità di conservare e riprodurre informazione (e così avvantaggiarsi della selezione naturale) [3].
[A destra: Addy Pross (1945-…)]
Sono stati proposti anche approcci decisamente differenti. Interessante è quello di Addy Pross [4], che propone di concentrare meno l’attenzione sulla storia e i processi di sviluppo delle specie e assegnare la nozione di «vita» a entità individuali capaci di azioni indirizzate a uno scopo […]. 



Un intervallo ampio 500 milioni di anni

Benché le varie nozioni di vita potrebbero in principio condurre a identificare «la» origine della vita in differenti momenti della storia della Terra, in pratica ogni definizione si riferisce a quello che è accaduto in un intervallo di circa 500 milioni di anni, circa quattro miliardi di anni fa.

Linea del tempo, espressa in unità di miliardi di anni, dei primi eventi della vita. Le strisce colorate indicano l’era in cui nella Terra non poteva essere ospitata la vita (porpora), l’era in cui la vita era certamente presente (verde), e l’intervallo di 500 milioni di anni nel quale è situata l’origine della vita (arancio).

Nell’immagine qui sopra [5] è riportata la linea del tempo dei principali eventi che riguardano l’origine della vita. L’asse dei tempi si può pensare diviso in due sezioni principali, come indicato dai colori più marcati. La porzione più recente (verde) della linea del tempo comprende l’intervallo di tempo in cui abbiamo evidenze paleontologiche della vita sul nostro pianeta.

All’altro estremo (porpora) c’è l’intervallo in cui nessuna vita avrebbe potuto essere presente a causa delle condizioni del pianeta. Rimane così un intervallo dove in qualche modo l’inanimato diventa animato. In questo periodo avvengono eventi cruciali e qui le ricerche sulla origine della vita concentrano i loro sforzi. È possibile che la conoscenza degli eventi di tale intervallo temporale permetta una migliore definizione della vita.
Gli scenari che descrivono i possibili eventi che hanno dato luogo all’origine della vita sono formulati in due modi: o spostandosi avanti nel tempo sulla base delle condizioni planetarie e chimiche della Terra primitiva, nello sforzo di comprendere come la complessità abbia avuto modo di formarsi; oppure spostandosi indietro nel tempo sulla base della vita come oggi la conosciamo, con l’aiuto di evidenze tecnologiche e geologiche, cercando di identificare le forme di vita più semplici e più antiche.
I tentativi di muoversi «avanti» nel tempo si fondano necessariamente su una conoscenza parziale delle condizioni planetarie iniziali. I più semplici composti organici possono essere stati presenti non appena la superficie della Terra fu in parte ricoperta da distese di acqua; la prima prova della presenza di acqua risale a circa 4,3 miliardi di anni fa. Quindi possiamo presumere che nell’intervallo fra 4,3 e 4 miliardi di anni fa abbia cominciato a comparire una semplice chimica organica, mentre, come specificato più avanti, fra 3,8 e 3,5 miliardi di anni fa comparvero alcune primordiali forme di vita.
In mezzo c’è un intervallo di 500 milioni di anni che include anche «l’ultimo pesante bombardamento» avvenuto circa 3,9 miliardi di anni fa: un insieme di collisioni probabilmente così distruttive da sterilizzare ogni esistente forma di vita.

 

L’esperimento di Miller
Nel 1952, Stanley L. Miller (sotto la direzione di Harold Urey) testò la possibilità di sintetizzare composti organici da precursori inorganici. In effetti, applicando per alcuni giorni una scarica elettrica a una miscela di vapori di acqua, idrogeno, metano e ammoniaca, allora considerati i più probabili componenti dell’atmosfera terrestre primitiva, ottenne diverse molecole organiche, compresi aminoacidi, nucleotidi (adenina, guanina) e acidi grassi, alcuni dei componenti base di molecole biologiche [6].
In seguito esperimenti dello stesso Miller, eseguiti in condizioni atmosferiche più corrette, non produssero una così larga varietà di composti [7].
Tuttavia si è riconosciuto che un miscuglio simile di composti organici semplici si trova o viene prodotto in varie condizioni. Per esempio: i gas riducenti, come quelli inizialmente utilizzati da Miller, si possono trovare in ambienti particolari come vulcani e fratture del terreno, probabilmente molto diffusi sulla Terra primitiva [8]; il risultato dell’esperimento di Miller quando si usano gas non riducenti (anidride carbonica, azoto) dipende molto dalla presenza di composti tampone come ioni di ferro Fe2+, o pirite, ottenendo, in alcune condizioni, lo stesso insieme di composti dell’esperimento originale [9]; all’incirca le stesse molecole organiche (aminoacidi e nucleotidi) si trovano in meteoriti carboniosi (per esempio il meteorite Murchinson, Australia 1969) [10,11], mostrando che condizioni che rendono possibile la sintesi di questi composti si potevano trovare nelle prime fasi di formazione del sistema solare; si possono ottenere basi nucleotidiche dalla formammide, in presenza di minerali agenti come catalizzatori in un semplice ciclo termico [12,13]; una grande varietà di semplici composti organici si ottiene anche in soluzioni acquose di cianuro di ammonio (NH4CN) a bassa temperatura [14], e di acido cianidrico (HCN), scaldato o irradiato con UV [15]; recentemente è stata provata l’esistenza di un percorso chimico per la formazione stabile di nucleotidi attivati da plausibili miscugli prebiotici [16].
L’insieme dei risultati indica che, anche se non possiamo in realtà dire quale percorso è avvenuto, la Terra primitiva potrebbe, nel suo insieme o localmente, aver avuto una abbondanza di esemplari di molecole organiche, non dissimili dai componenti base di nucleotidi, peptidi, idrocarburi.
[A sinistra: Stanley Lloyd Miller (1930-2007)]
Per questo l’intuizione di Miller, anche se basata su un’ipotesi errata, risultò dopo tutto abbastanza confermata. Tuttavia, la disponibilità di precursori delle biomolecole è ben lungi dal mostrare un cammino per l’emergere della vita. Ciò risulta più evidente ricercando la possibile natura delle prime e più semplici forme di vita.
Prove paleontologiche della vita, come fossili di batteri, stromatoliti, minerali contenenti ossigeno, risalgono ad almeno 3,5 miliardi e forse a 3,8 miliardi di anni fa [17].
Come potevano essere organizzate queste forme di vita? Ricerche e ipotesi sono state concentrate sul Last Universal Common Ancestor (LUCA), la cellula madre di tutti gli organismi viventi.
La sua esistenza è fortemente suggerita dal largo insieme di strutture molecolari e di processi comuni a tutti gli organismi viventi, comprese le strutture di RNA, DNA e proteine, i meccanismi della traduzione, l’uso dell’ATP e molte altre strutture e processi biochimici. Si crede comunemente che LUCA [18,19] fosse un organismo basato su DNA e proteine e con un meccanismo a RNA simile a quello degli eucarioti.
Un altro interessante approccio al problema è quello di trovare il «minimo insieme di geni» a partire dai batteri odierni, cioè il minimo insieme di geni che permette a un batterio di sopravvivere in certe condizioni standard.
Gli esperimenti indicano che un insieme di circa 80 geni è indispensabile a un batterio per sopravvivere [20].
Questo insieme contiene la codifica per le proteine dedicate alla trascrizione, la traduzione, la replicazione del DNA, il metabolismo, la divisione cellulare.

Questa conclusione implica una vita cellulare piuttosto sofisticata, troppo sofisticata per essere emersa attraverso un processo discontinuo. Può questa organizzazione cellulare essere ulteriormente semplificata?

 

Il mondo a RNA
La risposta più convincente, fino ad ora concepita, a questa domanda conduce al cosiddetto «mondo a RNA».
La molecola di RNA ha un ruolo molteplice nella biologia contemporanea, specialmente riguardo ai processi fondamentali e grandemente conservati nel corso dell’evoluzione. È coinvolta come un innesco nella replicazione di DNA e come un messaggero che porta informazione genetica al meccanismo di traduzione.
Ancora più interessante, RNA è un componente essenziale del ribosoma – il realizzatore della traduzione – la cui regione centrale funzionale è ampiamente conservata nei procarioti e negli eucarioti [21].  Quindi, se DNA fosse rimpiazzato da RNA, i processi di trascrizione e di traduzione potrebbero essere rimpiazzati da una traduzione diretta del codice genetico in proteine.
Inoltre, si è trovato che RNA può strutturarsi in «ribozimi», cioè enzimi fatti di RNA che compiono diverse attività catalitiche, come partecipare a eventi che coinvolgono RNA e in funzioni correlate alla replicazione del genoma virale.
Questi risultati rendono ragionevole immaginare molecole di RNA capaci di auto-replicazione. Il mondo delle proteine e degli acidi nucleici della biologia contemporanea potrebbe essere emerso più avanti nel corso dell’evoluzione. Perciò, usando le parole del Premio Nobel Walter Gilbert (1932-…), «si può contemplare un mondo a RNA, che contiene solo molecole di RNA che servono a catalizzare la sintesi di se stesse» [22].
Secondo questa ipotesi una molecola di RNA autoreplicantesi potrebbe essere stata il primo organismo «vivente». Molti sono stati gli scienziati che hanno contribuito a questo concetto: la prima volta fu proposto da Carl Woese, Il codice genetico (1967) [23], e nel 1968, indipendentemente, anche Francis H.C. Crick (1916-2004) [24] e Leslie E. Orgel (1927-2007) [25] proposero che RNA precedesse le proteine. Indagini sul mondo a RNA furono in seguito sviluppate da Joyce e collaboratori.
Così sembra concepibile che RNA sia stato la prima molecola che può supportare la vita basata su genomi a RNA che sono copiati e conservati attraverso le funzioni catalitiche dello stesso RNA, in seguito sostituito dall’attuale meccanismo composto da DNA e proteine.
[A destra: Carl Richard Woese (1928-…)]
Diversi tentativi furono compiuti per identificare ribozimi con funzioni auto-catalitiche: il «Santo Graal» è un ribozima RNA con funzione di replicasi.
Appare evidente, tuttavia, che le sequenze di nucleotidi candidate per questo ruolo non potrebbero essere più corte di un centinaio di coppie di basi. Benché la lunghezza di questa sequenza sia piccola rispetto alle lunghezze delle sequenze genetiche, è effettivamente impossibile immaginare la formazione di un tale polimero sulla base di una chimica casuale. In effetti, in che modo le semplici molecole tipo quelle dell’esperimento di Miller possano essersi aggregate per produrre la vita è la questione fondamentale dell’«origine della vita» (OL).
Quanto è difficile per gli odierni ricercatori di biologia spiegare la formazione dei polinucleotidi è implicito in una affermazione di Pier Luigi Luisi: «Anche se a un chimico fossero forniti tutti questi composti in qualsiasi quantità desideri, egli non sarebbe capace di costruire la vita. Il fatto che, fino ad ora, oligopeptidi o nucleotidi non sono stati individuati nel materiale cosmico può significare che questi oligomeri non tendono a formarsi spontaneamente».
Sulla stessa linea, Christian de Duve (1917-…), premio Nobel in Medicina del 1974, nel suo libro Singolarità – pietre miliari sul cammino della vita, faceva rilevare: «Il modo con cui RNA possa eventualmente essere emerso senza una “mano guida” dal disordine sconcerterebbe ogni chimico. Ciò sembra possibile solo per selezione, un processo che presuppone la replicazione […]. Sembra inevitabile la necessità di qualche processo autocatalitico tale che ogni passo di allungamento [dell’elica di RNA] favorisca un successivo allungamento. Solo in questo modo si potrebbe superare l’enorme ostacolo cinetico all’allungamento della catena […]. Ogni meccanismo catalitico invocato dovrebbe ospitare la partecipazione di uno stampo, perché non ci può essere questa comparsa di un vero RNA senza replicazione.»
Questo è anche riecheggiato in un recente articolo di un altro Premio Nobel in Medicina (conseguito nel 2009) Jack Szostak, che scrive che: «la scoperta di nuovi meccanismi fisici è essenziale per una migliore comprensione di come la vita possa aver avuto inizio» [26].

 

 

Il mondo a RNA. Scenario della prima informazione

 

Ispirate dall’idea che RNA è una molecola capace in linea di principio di trasportare e duplicare informazione e ripiegarsi in strutture secondarie chimicamente attive, molte ricerche si sono concentrate sulla produzione di ribozimi.
Strategie di evoluzione in provetta hanno reso possibile ottenere diversi esemplari di ribozima capace di catalizzare l’aggiunta, diretta da uno stampo, di un oligonucleotide che termina con un 3-ossidrile a un oligonucleotide che termina con un 5-trifosfato [27], e recentemente è stata data notizia di un ribozima naturale con proprietà simili (un introne proveniente da un cianobatterio) [28].
Tuttavia, si è trovato che sequenze di RNA dell’ordine di 200 bp (base pair) consentono il legame fino a venti basi di nucleotidi [29,30]. Benché non sia ancora stato trovato un ribozima realmente auto-replicantesi e benché molti altri problemi debbano essere risolti per produrre uno scenario convincente di ribozima RNA replicasi (come la necessità di ulteriori ribozimi per sintetizzare le basi che entrano nel processo di legame), questi risultati sono davvero impressionanti e mantengono assolutamente vivo il concetto di mondo a RNA.
Accettando il concetto che un’evoluzione di tipo darwiniano possa operare al livello semplificato delle sequenze di RNA auto-replicantesi, queste potrebbero costituire la più piccola entità molecolare, finora concepita, capace di iniziare la vita.

Nonostante questi successi, il mondo a RNA è messo in discussione per varie ragioni.
In primo luogo: benché ribosio, fosfato, purine e pirimidine possano essere stati tutti disponibili nell’ambiente prebiotico, la loro associazione in oligomeri di RNA sarebbe risultata in una piccola produzione, a causa della presenza e della competizione di una quantità molto maggiore di nucleotidi analoghi.
Citando di nuovo Luisi: «Le proteine (o gli acidi nucleici) esistenti sulla nostra Terra corrispondono a una parte infinitesima delle sequenze teoricamente possibili – il rapporto fra le strutture possibili e quelle esistenti corrisponde all’incirca al rapporto tra il volume dell’Universo e quello occupato da un atomo di idrogeno».
[A sinistra: Pier Luigi Luisi (1938-…)]
Infatti i nucleotidi (e i loro analoghi) possono essersi ugualmente aggregati per formare polimeri con una combinazione di legami fosfodiesterici 2’-5’, 3’-5’ e 5’-5’, con un numero variabile di fosfati fra gli zuccheri, steroisomeri D e L degli zuccheri, e con svariate modificazioni degli zuccheri, dei fosfati e delle basi.
Il meccanismo di autoreplicazione deve in qualche modo tener conto di queste differenze di composizione e selezionare gli acidi nucleici «giusti» [31].
Inoltre, solo nucleotidi opportunamente attivati possono essere legati a una catena. In effetti, la fosforilazione dei mononucleotidi e la sintesi di corti oligomeri fu mostrata in condizioni ambientali estreme [32,33], ma oggi la normale procedura di laboratorio è quella di usare fosforimidazolidi o nucleosidi o altri gruppi attivatori [34] che favoriscono la polimerizzazione, la cui presenza nell’ambiente prebiotico non è stata provata.
Un altro tipo di obiezioni contro l’ipotesi del mondo a RNA riguarda l’attività dei catalizzatori di RNA, cioè il meccanismo che deve aver guidato l’emergere di una specifica sequenza attiva, piuttosto lunga (nonostante la relativa fragilità di lunghi polimeri di RNA in soluzioni acquose), al posto di tutte le possibili sequenze.
Infatti, benché sia stato dimostrato che oligo-Citosine di una lunghezza di quattro monomeri possono servire come efficienti stampi per la sintesi di oligo-Guanine da monomeri attivati [35], si presume che sia richiesto un frammento di RNA lungo 50-100 basi per una buona attività catalitica.
Tuttavia polimeri di 50 basi potrebbero essere assemblati in circa 1030 differenti sequenze, corrispondenti, se si considera una sola molecola per ogni sequenza, a circa 3,5•107 kg di RNA, di cui solo una piccola frazione con funzioni catalitiche.
Questa impressionante ridondanza di composizioni rende una vera sfida l’emergenza di sequenze funzionali. In sintesi, se i componenti base erano disponibili nell’ambiente prebiotico, se questi si sono combinati a formare polinucleotidi, e se alcuni di questi polinucleotidi hanno cominciato ad autoreplicarsi, allora il mondo a RNA può essere emerso come prima forma di vita sulla Terra.
Assumendo la sua validità, il mondo a RNA risolve in qualche modo il problema «dell’uovo e della gallina» tra gli acidi nucleici e le proteine, ma lascia ancora senza risposta la seguente domanda: come si sono originati i primi polinucleotidi dai monomeri, senza alcun enzima, di qualsiasi natura?

 

 

Cicli auto catalitici: scenario del primo metabolismo

 

In contrasto con lo scenario di «prima informazione» abbozzato finora, l’altra teoria principale, detta «primo metabolismo», sostiene che la vita sia sorta da cicli chimici autocatalitici auto organizzati [36]. Perché complesse miscele di reagenti e prodotti si muovano in direzione della vita sarebbe necessario un processo di auto organizzazione.
Questo processo dovrebbe aumentare la concentrazione di certi componenti la miscela, sia a spese degli altri componenti, sia per nuova sintesi da materiali grezzi, essendo questi cambiamenti guidati da una fonte esterna di energia. Nonostante l’assenza di un polimero genetico, una miscela trasformata di questo tipo potrebbe essere considerata in grado di conservare informazione ereditaria, che sarebbe rappresentata dall’identità e dalla concentrazione dei suoi costituenti («genoma composizionale»).
L’evoluzione sarebbe rappresentata da cambiamenti nella composizione del sistema e nelle reazioni usate per mantenerlo, in risposta a cambiamenti nell’ambiente circostante. La crescita del sistema avverrebbe attraverso l’acquisizione o la sintesi di ulteriori quantità dei componenti essenziali, e la riproduzione avverrebbe quando forze fisiche dividono il sistema allargato in due o più frazioni.
Sfortunatamente, nessun plausibile ciclo chimico auto-mantenentesi è stato finora trovato e così anche la dimostrazione del principio manca ancora. Perciò, nell’attuale assenza di ogni altro ragionevole precursore, il modello a RNA rappresenta un sistema che ci permette di esplorare aspetti essenziali dell’emergere di un sistema polimerico genetico senza la richiesta di un metabolismo complesso.

 

 

Conclusioni

 

Benché l’idea che la vita si sia generata attraverso una serie di fenomeni altamente improbabili, quali l’unione chimica di frammenti molecolari in macromolecole capaci di autocatalisi, non sia in contraddizione con le leggi naturali attualmente note, questo concetto appare alla sensibilità degli scienziati del settore sempre meno accettabile.

Per questa ragione la direzione presa dalla ricerca sull’«origine della vita» è quella di proporre scenari dove la «fantastica fortuna» è ridotta, e sostituita da un più alto grado di necessità. Quanto lontano questa tendenza possa portare, ovvero in quale misura la nostra esistenza possa essere necessaria, intessuta nell’intima struttura della natura, è una domanda che ha sempre interessato i ricercatori.
Gli scienziati attualmente sono focalizzati nel tentativo di scoprire nuovi meccanismi che possano aver operato all’interno della complessità molecolare primordiale.
In effetti, oggi, l’emergere della vita non può essere concepito senza riferirsi a strati bimolecolari, vescicole, cristalli liquidi, aggregati frattali. Via via che viene svelata la ricchezza e la sottigliezza dei meccanismi di auto-associazione delle molecole, si riconoscono nuove profonde relazioni tra le proprietà molecolari e le basi della fisica atomica, e così tra i possibili meccanismi che hanno implementato la complessità molecolare e i fondamenti della struttura della materia.
Perciò la scoperta di nuove potenti forme di auto-associazione che rendano possibile la vita suggerirebbe che l’inanimato, così spesso percepito come lontano dalla nostra esistenza, porti, nella sua struttura basilare, una forte propensione a germogliare nella vita.

 

 

Tommaso Bellini
(Professore di Fisica Applicata all’Università degli Studi di Milano)

 

 

Traduzione, a cura della Redazione di Emmeciquadro, dell’articolo di Tommaso Bellini (Dipartimento di Biochimica e Biotecnologie mediche, Università degli Studi di Milano), pubblicato in Euresis Journal, Marzo 2012 con il titolo “Origin of Life Scenarios: Between Fantasic Luck and Marvelous Fine-Tuning

 

 

Indicazioni bibliografiche

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© Pubblicato sul n° 47 di Emmeciquadro


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