Si possono studiare i termini essenziali di una scoperta scientifica, ma se si vuole comprenderne il significato occorre situarla nel contesto che l’ha generata. Per questo non è necessario essere storici di professione, ma sicuramente aiuta, come dimostra questo saggio scritto a due mani da un biologo docente di scienze naturali e da uno storico.
Come annuncia il sottotitolo, Alle origini della Biologia e della Genetica, il testo racconta le ricerche compiute dai due protagonisti e il loro significato nell’aprire nuovi campi di indagine scientifica. Ma, anche, porta alla luce note biografiche spesso considerate di «secondo piano» che, invece, dimostrano, con molte citazioni da documenti originali, la notorietà e la fama raggiunta dai due scienziati nella loro epoca e le interazioni con le personalità contemporanee più significative.
Le figure di Lazzaro Spallanzani (1729-1798) e di Gregor Mendel (1822-1884) sono trattate in due parti che potrebbero avere vita autonoma, sia per la specificità delle ricerche, sia per la collocazione temporale, ma hanno alcuni tratti in comune: la vasta gamma di interessi che ha portato entrambi a conquiste in campi diversi dalla biologia (per esempio la vulcanologia e la meteorologia) e la testimonianza della non contrapposizione tra fede e scienza.
Spallanzani, Mendel e molti eminenti scienziati dei secoli passati – da Niccolò Stenone a Angelo Secchi – sono stati uomini di fede, sacerdoti che hanno ricoperto anche cariche ecclesiastiche importanti, ma mai hanno vissuto un conflitto tra le loro ricerche e la religione. Gli autori collocano nella seconda metà del XIX secolo, «in ambienti anglosassoni, per motivi puramente politici» la «invenzione di un conflitto tra fede e scienza» (pp. 11-16) e attribuiscono anche a questo la «eclissi del nome di Spallanzani» dall’orizzonte culturale. Spallanzani fu un grande uomo di scienza, che il contemporaneo Voltaire definì «il primo naturalista d’Europa» (p. 8) e che Victor Hugo, trent’anni dopo la morte, citava ne L’ultimo giorno di un condannato a morte (p. 9); dopo le dimostrazioni sperimentali che confutavano la generazione spontanea, nel 1768 venne ammesso alla Royal Society (pp. 25-28) e continuò i suoi studi ottenendo successi in vari campi fino alla morte.
Un po’ diversa la vita del monaco agostiniano Gregor Mendel, la cui esperienza in campo botanico viene ricollocata dagli autori nella tradizione di paziente lavoro dei monasteri. Accanto alla descrizione delle sue leggi sulla trasmissione dei caratteri, esposte in modo piano e comprensibile (pp. 67-73), nella formulazione originale e senza inutili sovrapposizioni con la genetica molecolare, viene presentato uno scienziato dalle numerose doti: insegnante «chiaro, interessante ed amato dai suoi alunni» (p. 69), dotato di forte senso dell’umorismo, orticoltore, apicoltore e meteorologo, rigoroso in questi campi come negli studi sui piselli. Nel 1868, eletto abate, impegnato ad amministrare il monastero e a difenderlo dalle gravi imposizioni erariali, lascia l’insegnamento. Ma, come notano gli autori, in tutte le sue opere «sempre troviamo la stessa passione per la realtà, la stessa volontà di interrogare con stupore la natura, opera di Dio, lo stesso desiderio di contribuire al bene degli uomini e della civiltà contadina di allora.» (p. 81).
In conclusione: un libro che si legge con piacere, incontrando informazioni a volte «censurate».
Un testo che può essere utilizzato con frutto da studenti di scuola superiore, soprattutto per lo sguardo complessivo sul mondo della scienza costruito attraverso le storie di due grandi protagonisti, nel rispetto e nella valorizzazione dei particolari e dei nessi.
Francesco Agnoli e Enzo Pennetta
Lazzaro Spallanzani e Gregor Mendel.
Alle origini della Biologia e della Genetica
Cantagalli – Siena 2012
Pagine 98 – Euro 9,00
Recensione di Maria Cristina Speciani
(Caporedattore di Emmeciquadro, già docente di Scienze Naturali nei licei, autore di libri di testo per la scuola superiore)
© Pubblicato sul n° 48 di Emmeciquadro