A partire da una errata affermazione galileiana relativa al tempo di caduta in verticale di un corpo massiccio e dalla correlata critica di Giovanni Battista Riccioli, si descrive il percorso concettuale che ha generato tale affermazione e se ne fornisce una interpretazione alla luce degli attuali concetti di dinamica del corpo rigido. Si descrive poi un apparato il cui utilizzo condusse Galilei a correggere la sua primitiva affermazione. Una questione poco nota di carattere storico diventa così occasione per una attività di notevole valore sintetico e per nulla nozionistica.
Nell’Approfondimento, correlato a questo articolo, l’autore propone un itinerario teorico-sperimentale che, ripercorrendo questi eventi storici, consente di introdurre e applicare un grande numero di concetti relativi alla dinamica del moto rototraslatorio.
Recentemente, nell’ambito di un resoconto sul lavoro di Giovanni Battista Riccioli(1) (1598 – 1671) sulla caduta dei gravi(2), è stata ripresa in considerazione una affermazione riportata da Galileo Galilei nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632), che riportiamo di seguito:
«[…] intanto, per non avere occasione di più interrompere il filo [del discorso], ponghiamo di voler fare il computo sopra una palla di ferro di cento libbre, la quale, per replicate esperienze [corsivo nostro] scende dall’altezza di cento braccia in cinque minuti secondi d’ora.»(3)
Sempre nel Dialogo, quasi immediatamente dopo la precedente affermazione, Galilei dichiara che il semidiametro della Terra equivale a «3500 miglia di braccia 3000 l’uno». Se si assume per il raggio della Terra il valore attuale di 6372000 m è facile stabilire che 1 braccio corrisponde a 0,607 metri. Tuttavia la misura del raggio della Terra effettuata ai tempi di Galilei potrebbe non essere corretta e quindi resta il problema di definire la corrispondenza fra il braccio al quale si riferisce Galilei e il metro.
Da questo punto di vista il problema è tutt’altro che semplice; infatti all’epoca di Galilei l’unità braccio era diversa da zona a zona. A Venezia, per esempio, corrispondeva a 0,68 m, a Bologna a 0,64 m, a Napoli a 0,54 m e così via. Per di più il braccio aveva una lunghezza diversa se costituiva l’unità per la misura di terreni (denominato braccio di terra, corrispondente a 0,55 m) o l’unità per la misura di stoffe (denominato braccio di panno, corrispondente a 0,585 m). Secondo un recente studio relativo agli esperimenti galileiani sul moto(4) è molto probabile che Galilei utilizzasse il braccio di terra e quindi, nel seguito, assumeremo 1 braccio = 0,55 m. Ne deriva che l’esperimento al quale Galilei si riferisce nel passo sopra riportato comporta una caduta in verticale da un’altezza di 55 m.
In base alla legge s = (1/2) at2 e assumendo per a il valore di 9,81 m/s2, si dovrebbe avere un tempo di caduta di circa 3,35 s ovvero, se il tempo di 5 s fosse realistico, si dovrebbe avere una accelerazione di gravità di 4,4 m/s2.
Riccioli non era in grado di trattare il problema dinamicamente e di dimostrare in modo rigoroso che il dato galileiano era scorretto anche quando si prendono in considerazione gli effetti dell’aria e della spinta archimedea. Nel lavoro in cui pubblica gli esiti dei suoi esperimenti sulla caduta dei gravi(5) egli, da una parte, rileva che il tempo di 5 secondi dichiarato da Galilei non può che essere la conseguenza di una errata calibrazione dell’apparato con cui ha eseguito la misura del tempo di caduta e, dall’altra, si dichiara scettico sul fatto che sia stato possibile utilizzare palle di ferro di cento libbre (circa 50 kg), dato anche che Galilei non indica neppure da quale torre queste venivano fatte cadere.
Ricordiamo che Riccioli non era il solo a dubitare del fatto che Galilei avesse effettivamente eseguito gli esperimenti sul moto descritti nel Dialogo sui massimi sistemi (nonché quelli eseguiti con il piano inclinato e finalizzati a dimostrare la validità della legge del moto uniformemente accelerato descritti nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze(6) (1638)); gli stessi dubbi erano stati espressi anche da Marin Mersenne (1588 -1648) fin dal 1634(7) e, in tempi ben più recenti anche da alcuni filosofi della scienza, fra i quali Alexandre Koyré, hanno dichiarato il loro scetticismo nei riguardi dello «sperimentalismo» galileiano.
Non intendiamo qui affrontare questo problema, complesso e articolato; merita però ricordare che recenti lavori di James MacLachlan(8) e, soprattutto di Stillman Drake(9), che ha esaminato con grande cura i documenti inediti di Galilei, e di Roberto Vergara Caffarelli, citato in nota 4, hanno rivalutato notevolmente il ruolo che l’esperimento ha avuto nella fisica galileiana. Ma torniamo al lavoro di Riccioli.
Un cenno agli esperimenti di Riccioli
Secondo quanto riportato nell’Almagestum novum, per i suoi esperimenti sulla caduta dei gravi Riccioli utilizzava una palla di argilla di 8 once (circa 220 g) che faceva cadere dalla torre degli Asinelli (sita in Bologna) e, più precisamente, da un’altezza di 280 piedi romani.
Nell’articolo citato nella nota 2, Graney sostiene che il piede romano al quale ci si riferisce corrisponde a 0,315 m e quindi la palla percorreva un tratto verticale di 88,2 m. Per la misura del tempo Riccioli utilizzava invece pendoli molto corti (di lunghezza di poco inferiore ai 3 cm) aventi un periodo di oscillazione di un terzo di secondo e tarati per confronto con il moto apparente delle stelle.
[A sinistra: Frontespizio dell’Almagestum novum (1651) di Giovanni Battista Riccioli]
Le misure consistevano nel rilevare i tempi di caduta corrispondenti a varie altezze (a partire da 10 piedi romani fino a 280) con lo scopo primario di verificare la proporzionalità fra gli spazi percorsi e i quadrati dei tempi impiegati a percorrerli (cioè per verificare la legge, già enunciata da Galilei, relativa al moto di caduta dei gravi).
Da questi valori si può evidentemente dedurre il valore dell’accelerazione di gravità: Riccioli non esegue quest’ultimo passaggio, ma lo fa Graney nel suo articolo stabilendo che l’accelerazione media di caduta della palla risulta uguale a circa 9,36 m/s2.
Nell’Almagestum novum vengono descritti anche molti altri esperimenti di caduta eseguiti con corpi di massa e densità diversa, sulla base dei quali Riccioli dimostra di aver compreso che corpi di piccola massa e di minor densità sono maggiormente influenzati dalla presenza dell’aria(10).
Una probabile giustificazione per i cinque secondi
Considerazioni analoghe sugli effetti dell’aria dovevano, molto probabilmente, essere presenti alla mente di Galilei, che infatti, come abbiamo visto, dichiara di aver utilizzato una palla di ferro di massa molto elevata, un oggetto cioè per il quale gli effetti dell’aria dovevano essere del tutto trascurabili; ma allora, perché egli dichiara un valore del tempo tanto diverso da quello che avrebbe dovuto essere?
La risposta a questa domanda non può essere quella di Riccioli, cioè una errata calibrazione dell’apparato di misura del tempo; come è noto da quanto viene riferito nei Discorsi(11), Galilei era in grado di realizzare le misure del tempo con un orologio ad acqua che sappiamo dotato di una precisione di uno o due decimi di secondo e quindi non avrebbe potuto sbagliare di un secondo e mezzo. La risposta si trova invece, anche se in forma implicita, nelle opere di Galilei. In una lettera a Baliani(12) (1632) così si legge infatti:
«V. S. Illma mi dice che volentieri harebbe sentito l’artificio col quale io mi sia potuto assicurare che il grave descendente a perpendicolo, partitosi dalla quiete, passi cento braccia di altezza in cinque minuti secondi. Qui due cose si cercano: la prima è il tempo della scesa per le cento braccia, la seconda è il trovare qual parte sia questo tempo delle 24 hore del primo mobile. Quanto alla prima operazione, la scesa di quella palla che io fo scendere per quel canale ad arbitrio nostro inclinato, ci darà tutti i tempi non solo delle cento braccia, ma di qualsivoglia altra quantità di caduta perpendicolare, atteso che, come ella medesima sa e dimostra, la lunghezza del detto canale, o vogliamo dire piano inclinato, è media proporzionale tra la perpendicolare elevatione di detto piano e la lunghezza di tutto lo spazio perpendicolare che nel medesimo tempo si passerebbe dal mobile cadente: come, per essempio, posto che il detto canale sia lungo 12 braccia, e la sua perpendicolare elevazione sia mezo braccio, un braccio o due, lo spazio passato nella perpendicolare sarà braccia 288, 144 o 72, come è manifesto. Resta hora che troviamo la quantità del tempo delle scese per il canale»(13 e 14).
Piano inclinato di Galilei – Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze
Facciamo osservare che una affermazione di questo tipo è equivalente a ritenere che l’accelerazione a di un corpo che si muove su un piano inclinato rappresenta il componente della accelerazione di gravità g lungo la direzione parallela al piano, ovvero che, indicata con l la lunghezza del piano inclinato e con h la sua elevazione sul piano orizzontale, vale la relazione:
[1]
Indicato infatti con s lo spazio percorso in verticale, con accelerazione g, da un corpo nello stesso tempo t impiegato dallo stesso corpo a percorrere il piano inclinato di lunghezza l con accelerazione a, si può scrivere:
s = (1/2) g t2
l = (1/2) a t2
Da queste si ottiene allora:e quindi, tenendo conto della [1]:
ovvero:
s : l = l : h [2]
Alla luce dei principi della dinamica sappiamo che l’affermazione galileiana è valida solo se entrambi i movimenti, quello eseguito in verticale e quello eseguito lungo il piano inclinato, sono di tipo traslatorio e si sviluppano in totale assenza di attriti. Sul piano inclinato, invece, Galilei faceva rotolare una palla di bronzo e in tale caso la sua accelerazione non è correlata a g dalla relazione [1].
Supponendo comunque che la [1] sia valida, valuteremo ora il probabile valore di a rilevato da Galilei con i suoi esperimenti con il piano inclinato per poi dedurre da esso il valore ipotetico dell’accelerazione di gravità (lo indicheremo con il simbolo gG) e, infine, utilizzando tale valore mostreremo che il tempo di caduta in verticale da 100 braccia ha proprio un valore di circa 5 s.
Prima di procedere riteniamo opportune le due considerazioni seguenti.
L’obiettivo appena definito è soggetto a un elevato grado di incertezza perché Galilei, come vedremo, non precisa in modo adeguato le caratteristiche geometriche e fisiche dell’apparato sperimentale che utilizza; d’altra parte ciò non era per lui essenziale, dal momento che con quell’esperimento egli si proponeva solo di dimostrare che lo spazio percorso dal mobile era direttamente proporzionale al quadrato del tempo impiegato a percorrerlo. Sarà comunque sufficiente mostrare che il valore del tempo di caduta da 100 braccia poteva essere dedotto a partire dalla misura di a e dalla erronea applicazione della [1].
Da quanto seguirà, si deve dedurre che Galilei, come già si è detto, mente quando afferma che il tempo di 5 s per cento braccia è stato stabilito mediante «replicate esperienze».
Questo fatto riapre il problema dell’effettivo uso galileiano degli «esperimenti» ma non l’affronteremo certo in questo breve contributo.
La deduzione del valore di a e il calcolo di gG
Il riferimento alla caduta da uno spazio s di 100 braccia che avviene in 5 s induce a pensare che l’accelerazione a della sfera lungo il piano inclinato, di lunghezza l, dalla quale Galilei determina poi gG, sia stata misurata con una elevazione h del piano stesso che comportava un tempo di percorrenza di 5 s. Poiché dalla [2] si ottiene:
[3]
Per stabilire il valore di h è necessario avere qualche informazione sulle caratteristiche del piano inclinato utilizzato da Galilei. Queste vengono descritte in un passo dei Discorsi che riportiamo di seguito.
«In un regolo, o voglian dire corrente, di legno, lungo circa 12 braccia, e largo per un verso mezo braccio e per l’altro tre dita, si era in questa minor larghezza incavato un canaletto, poco più largo di un dito; tiratolo drittissimo, e, per haverlo ben pulito e liscio, incollatovi dentro una carta pecora zannata e lustrata al possibile, si faceva in esso scendere una palla di bronzo durissimo, ben rotonda e pulita; costituito che si era il detto regolo pendente, elevando sopra il piano orizontale una delle sue estremità un braccio o due ad arbitrio si lasciava (come dico) scendere per il detto canale la palla, notando, nel modo che appresso dirò, il tempo che consumava nello scorrerlo tutto […]»(15).
[A destra: Frontespizio dei “Discorsi e dimostrazioni matematiche sopra due nuove scienze” (1638) di Galilei]
Da questo passo possiamo stabilire che la lunghezza l del piano inclinato era di 12 braccia e quindi, dalla [3]:
Si osservi che il valore ottenuto coincide quasi con il valore medio fra quelli (uno o due braccia) che Galilei, nel passo precedente, dichiara di aver assunto per i suoi esperimenti. Nel seguito assumeremo perciò:
l = 12 braccia•0,55 m/braccio = 6,6 m
h = 1,44 braccia•0,55 m/braccio = 0,79 m
e conseguentemente, per l’inclinazione α del piano porremo:
α = sen-1(h/l) = 6,9°
Deduciamo ora l’espressione dell’accelerazione a supponendo che la sfera «rotoli» su un piano inclinato liscio.
Alle grandezze l, h, α sopra definite aggiungiamo le seguenti:
R: raggio della sfera; g: accelerazione di gravità (9,81 m/s2); m: massa della sfera; P: peso della sfera (m g); P1: componente del peso della sfera lungo il piano inclinato (m g sinα); P2: componente del peso della sfera perpendicolare al piano inclinato (m g cosα); μ: coefficiente di attrito volvente; FV: intensità della forza di attrito volvente, espressa da
FV = μ P2/R [4]
La forza F che produce il rotolamento è quindi data da
F = P1 – FV
E il momento M ad essa associato (che produce il rotolamento) è espresso da
M = F R = ( P1 – FV) R [5]
In base ai principi della dinamica del moto rotazionale di una sfera si può scrivere:
M = I θ [6]
Con θ, accelerazione angolare della sfera e I, momento di inerzia della sfera valutato rispetto al punto di contatto fra la sfera e il piano.
Per il teorema di Steiner si ha:
I = (2/5) m R2 + m R2 = (7/5) m R2 [7]
Tenendo presente che vale la relazione
a = θ R [8]
Si ottiene:
a = (5/7) g [sinα – μ (cosα) /R] [9]
In base alla [1] riscritta nella forma
a = gG sinα
(ove, lo ricordiamo ancora, gG indica l’accelerazione di gravità calcolata a partire dal valore dell’accelerazione a della sfera lungo il piano inclinato, accelerazione che Galilei misurava e che noi, in mancanza di suoi dati numerici, abbiamo determinato con le attuali leggi della dinamica) si avrà quindi:
[10]
In questa formula l’unico valore certo è quello di g; il valore di α (6,9°) è solo molto probabile e quello di R e di μ molto incerti.
Nel testo sopra riportato, Galilei parla genericamente di una palla di bronzo senza precisare il suo raggio. Qualche informazione su tale grandezza si può reperire però dall’esame di un esperimento inedito (di cui vi è traccia nel Foglio 117/v) e da un passo dei Discorsi ove si descrive un esperimento sul moto parabolico nel quale si utilizza una palla di bronzo che Galilei valuta delle dimensioni di una noce(16). Supporremo perciò che anche la palla utilizzata per l’esperimento con il piano inclinato abbia le stesse dimensioni e porremo R = 2,0 cm. Molto incerto è anche il valore del coefficiente di attrito volvente. In una misura, piuttosto approssimata, da noi effettuata con una palla di bronzo di diametro 38,10 mm che veniva fatta rotolare su un asse di legno laminato, lunga poco meno di 200 cm, abbiamo rilevato un valore(17) di 3,0•10-4 m.
Questo valore trova conferma nelle misure di Vergara Caffarelli(18) che, con il proprio piano inclinato, lungo circa 6,5 m e disposto orizzontalmente, nella cui scanalatura larga 2,4 cm veniva fatta rotolare una palla di bronzo di raggio 1,5 cm, misura (con l’ausilio di quattro fototraguardi per il rilevamento del tempo) una decelerazione della palla pari a 0,166 m/s2, valore che conduce a un coefficiente di attrito volvente di poco superiore a 3·10-4 m. Ma la palla di bronzo utilizzata da Galilei, quasi certamente, non era stata lavorata con la precisione del centesimo di millimetro come quelle usate dall’autore e da Caffarelli e quale consistenza avesse la «carta pecora zannata e lisciata» non possiamo saperlo. Potrebbe tuttavia non essere azzardato assegnare a μ un valore poco superiore a quelli sopra ricordati, per esempio il valore di 5·10-4 m. In definitiva, ponendo nella [10]:
g = 9,8 m/s2; R = 2,0·10-2 m; α = 6,9°, μ = 5·10-4 m
Si ottiene:
gG = 5,6 m/s2
In corrispondenza di tale valore, il tempo di caduta da un’altezza di 100 braccia (55 m) diviene t = 4,4 s. Siamo quindi abbastanza vicini al tempo di 5 s dichiarato da Galilei e ciò indica che la linea di ragionamento ora svolta è probabilmente quella corretta. Va tuttavia considerato un altro aspetto, fin qui ignorato, dell’esperimento galileiano.
Nel passo ove esso viene descritto sommariamente si dice che la palla di bronzo scorreva in un canale poco più largo di un dito. Sulla base di testi del XVII e del XVIII secolo si può stabilire che questa unità di lunghezza corrisponde a poco meno di 22 mm e quindi si può ipotizzare che la larghezza del canale fosse di 25 mm circa.
Poiché il diametro ipotizzato della palla è di 4,0 cm, si deve ammettere che questa affondasse in parte nel canale stesso e che, quindi, l’asse istantaneo di rotazione della palla non abbia più una distanza R dal suo baricentro, ma una distanza r così calcolabile:
[11]
Ove b indica la larghezza del canale.
In tale caso le formule [4], … , [10] vanno modificate nel modo che indichiamo di seguito.
Momento M’, il momento che produce il rotolamento:
FV = μ m g (cosα) /r [4′]
M’ = F r = ( P1 – FV) r [5′]
Equazione del moto:
M’ = I’ θ’ [6′]
Essendo θ’: accelerazione angolare della sfera; I’: momento di inerzia della sfera valutato rispetto ai punti di contatto fra la sfera e i bordi del canale.
Per il teorema di Steiner si ha:
I’ = (2/5) m R2 + m r2 [7′]
Tenendo presente che vale la relazione
a’ = θ’ r [8′]
Essendo a’ l’accelerazione traslazionale della sfera lungo il piano, si ottiene, tenendo conto delle relazioni precedenti:
[9′]
E quindi, dalla:
a‘g‘G sinα
Si ottiene
[10′]
Assumendo per la larghezza del canale 2,5 cm, dalla [11] si ottiene r = 1,6 cm e, infine, per μ = 5·10-4 m si ottiene gG = 4,5 m/s2. A questo valore corrisponde un tempo di caduta da un’altezza di 100 braccia (55 m) uguale a 4,9 s.
Come si vede, tenendo conto del fatto che il rotolamento della palla avviene lungo un canale la cui larghezza è confrontabile con quella del diametro della palla, si può dedurre una accelerazione traslazionale (coincidente con buona probabilità con quella che Galilei deve aver rilevato in qualche sua misura) che conduce a un valore (erroneo) della accelerazione di gravità da cui si può stabilire, entro l’ambito degli errori sperimentali, che per una caduta in verticale da un’altezza di 100 braccia sono necessari 5 s(19).
Galilei si corregge: per più di cento braccia occorrono solo 4 battiti di polso!
A partire dal 1634, dopo le tristi vicende relative alla pubblicazione del Dialogo e nella prospettiva di una nuova pubblicazione (Discorsi e dimostrazioni matematiche di due nuove scienze), Galilei riprende gli studi sulla «percossa» prodotta dai corpi, cioè sugli effetti congiunti del peso (oggi diremmo della massa) e della sua velocità. A tale scopo si fa costruire una nuova macchina costituita essenzialmente in una puleggia sorretta da una incastellatura a cavallo della quale poteva passare una robusta corda ai cui estremi venivano fissati due corpi pesanti ciascuno circa 100 libbre (34 kg).
Secondo Vergara Caffarelli(20), questa macchina, oltre all’uso per il quale era stata progettata, dovette essere utilizzata da Galilei per valutare il valore dell’accelerazione di gravità a partire dall’esame di moti solo traslatori e gli consentì quindi di determinare, per tale grandezza, un valore molto prossimo a quello di 9,8 m/s2.
Si consideri infatti che, se m1 e m2 (che supporremo maggiore di m1) indicano le masse dei due corpi fissati alle due estremità della corda, se si può considerare trascurabile sia la massa della puleggia sia la massa della corda e, infine, se si può trascurare l’attrito sviluppato dal perno della ruota, le due masse si muovono di moto uniformemente accelerato (con m2 che scende e m1 che sale) caratterizzato da una accelerazione a espressa da:
[12]
Dalla quale:
[13]
Dato che, se m1 e m2 sono poco diversi, l’accelerazione a risulta piccola e misurabile con precisione anche con gli strumenti che Galilei utilizzava per la misura del tempo, con una macchina di questo tipo egli avrebbe potuto misurare il valore di g con buona precisione.
Nei Discorsi, che fu pubblicato dopo la realizzazione di questa macchina, non c’è traccia di una misura di questo tipo, tuttavia, in una nota autografa allegata a una copia del Dialogo, Galilei modifica l’intervento di Simplicio in cui chiede spiegazioni sulle modalità di caduta di un grave, facendogli dire che non intende come una palla di piombo pesante 100 libbre, inizialmente in quiete, possa percorrere, cadendo secondo la verticale, un tratto superiore a 100 braccia «in quattro battiti di polso».
Considerando che, per una persona normale in stato di riposo i battiti del polso sono circa 65-70 al minuto e che, quindi quattro battiti di polso possono corrispondere a circa 3,7-3,4 s, assumendo per il tratto di caduta 105 braccia (58 m circa) si ottiene una accelerazione di gravità di 8,5-10 m/s2: un valore quindi molto vicino a 9,8 m/s2. Ma, come s’è detto, Galilei non riporta gli esiti di questo possibile esperimento nei Discorsi, forse perché questo eventuale risultato gli avrebbe imposto una revisione completa di tutti gli esperimenti eseguiti con il piano inclinato nei quali il valore dell’accelerazione della palla è condizionato dal suo moto di rotolamento e, in particolare, una approfondita critica di quanto espresso dalle relazioni [1] e [2], cosa impossibile nell’ambito di una cinematica del moto puramente traslatorio.
Vai all’Approfondimento “Proposte Sperimentali e di Approfondimento Teorico” correlato questo Articolo.
Paolo Marazzini
(già Docente di Fisica presso le Scuole Secondarie di Secondo Grado, autore di libri di testo per i Licei)
Note
Giovanni Battista Riccioli, nato a Ferrara nel 1598 e morto a Bologna nel 1671. Gesuita, professore di lettere, filosofia e teologia a Parma e a Bologna. I suoi lavori di astronomia, per quanto inquadrati in una visione anticopernicana, dettero notevole impulso agli studi di questo ambito scientifico. Le sue opere fondamentali nel campo dell’astronomia sono Almagestum novum (1651), nel quale riferisce anche dei suoi esperimenti sulla caduta dei gravi, e Astronomia reformata (1665); si occupò intensamente anche di geografia pubblicando Geographia et Hydrographia reformata (1661).
Christopher M. Graney, Anatomy of a fall: Giovanni Battista Riccioli and the story of g, Physics to day, September 2012
Si veda in proposito: Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, giornata seconda; in Opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale, Barbera, Firenze, 1897, Vol. VII, p. 250.
Roberto Vergara Caffarelli, Galileo Galilei and the motion, Springer, 2009.
G. B. Riccioli, Almagestum novum astronomiam veterem novamque conflectens …, Bononia, 1651.
Si veda in proposito: Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, giornata terza; in Opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale, Barbera, Firenze, 1897, Vol. VIII, pp. 212,213.
Si veda in proposito: Alexander Koyré, Studi galileiani, Ed. Einaudi, Reprints, 1976, pag. 155.
James MacLachlan, A Test of an “Imaginary” Experiment of Galileo’s, ISIS, Sep. 1973, pp. 374 – 379.
Stillman Drake, Galileo’s Experimental Confirmation of Horizontal Inertia: Unpublished Manuscripts (Galileo Gleanings XXII), ISIS, Sep. 1973, pp. 290-305.
Si tenga comunque presente che, in base alle leggi della dinamica, si dimostra che l’effetto dell’aria è molto piccolo quando la massa e la densità degli oggetti in caduta sono dell’ordine di grandezza della palla utilizzata da Riccioli. Si veda in proposito il calcolo numerico che riportiamo in Approfondimento dedicata agli aspetti didattici.
Vedi nota 6.
Giovan Battista Baliani, nato nel 1582 a Genova e morto nel 1666. Uomo politico e amministratore della propria città. Si occupò anche di fisica seguendo le linee del pensiero galileiano; in particolare, dal 1638 si occupò del moto naturale dei corpi solidi e liquidi. Viene anche ricordato per essere stato uno dei primi a distinguere chiaramente fra peso e massa di un corpo.
A questo proposito, Galilei accenna alla possibilità di eseguire tali misure con pendoli di lunghezza appropriata ma, nella stessa lettera, ricorda poi che si potrà «passare a più esatte misure con havere veduto et osservato qual sia il flusso dell’acqua per un sottile cannello»; si tratta quindi della tecnica di misura del tempo che Galilei descrive in Discorsi e dimostrazioni matematiche alla giornata terza.
Opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale, Barbera, Firenze, 1897, Vol. XVIII, pp. 76-77.
Discorsi e dimostrazioni matematiche, Giornata terza; in Opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale, Barbera, Firenze, 1897, Vol. VIII, pp. 212, 213.
Al termine della giornata seconda di quell’opera (nell’Edizione Nazionale delle opere di Galilei, Vol. VIII, p. 185) così si legge: «Io ho una palla di bronzo esquisitamente rotonda, non più grande di una noce; questa, tirata sopra uno specchio di metallo, tenuto non eretto all’orizzonte ma alquanto inclinato, si che la palla nel moto vi possa camminar sopra, calcandolo leggiermente nel muoversi, lascia una linea parabolica sottilissimamente e pulitissimamente descritta» . In mancanza di ulteriori precisazioni da parte di Galilei, è legittimo ritenere che anche per gli esperimenti con il piano inclinato egli usasse o la stessa palla o una di dimensioni analoghe.
La misura è stata effettuata elevando l’asse ad una altezza h = 24 cm rispetto al piano del tavolo su cui era stata appoggiata e misurando il tempo t impiegato dalla palla a percorrere l’intera lunghezza dell’asse (l = 191 cm). Dai valori di l e t si ricava l’accelerazione a e ponendo questo valore nella [9], dopo aver valutato α a partire dai valori di h e l, si determina μ.
Vedi nota 4 a pag. 147.
Ricordiamo, senza entrare nel merito, che l’incapacità di trattare correttamente il moto di rotolamento di una sfera lungo un piano inclinato costituì per Galilei la fonte di gravi problemi interpretativi fin dai primi anni del XVII secolo, problemi che lo indussero a non pubblicare mai alcuni esperimenti da lui eseguiti negli anni 1608/1609. Di questi esperimenti è rimasta traccia negli inediti galileiani, che sono stati recentemente studiati da Drake (si veda la nota 9) e, più recentemente, da Vergara Caffarelli nel suo volume citato in nota 4.
Vedi nota 4 ai Capitoli 17, 18, 19.
© Pubblicato sul n° 48 di Emmeciquadro