Il contributo che presentiamo è frutto dell’attenzione dell’insegnante alle dimensioni strutturali della fisica, a quelle teorica e sperimentale, ma in particolare a quella storica, e della sua capacità di eseguire una esperienza sul campo coinvolgente sia per gli allievi sia per il docente.
Una esemplificazione didattica che mostra come sia possibile insegnare fisica al liceo senza rinchiudersi in astratti formalismi e/o tecnicismi, rispettando lo spirito delle Indicazioni Nazionali, spesso non capito o volutamente ignorato. Interessante il riferimento al testo I dieci esperimenti più belli, dove l’autore, George Johnson, presentando alcuni esperimenti storici, tra cui appunto quello di Galilei, afferma che «confusione e ambiguità vengono momentaneamente spazzate via e qualche cosa di nuovo riguardo alla natura balza d’un tratto all’occhio.» Nella relazione dell’allieva Caterina Pedini, che conserva l’immediatezza del racconto in prima persona, si trova un’eco di questa affermazione.
Dalle Indicazioni Nazionali relative alla recente riforma dei Licei, nelle Linee Generali per l’insegnamento della Fisica al Liceo Scientifico si legge: «Al termine del percorso liceale, lo studente avrà appreso i concetti fondamentali della fisica, le leggi e le teorie che li esplicitano, acquisendo consapevolezza del valore conoscitivo della disciplina e del nesso tra lo sviluppo della conoscenza fisica ed il contesto storico e filosofico in cui essa si è sviluppata.»
Affinché questo scopo sia perseguito, è necessario che l’insegnante possegga una visione chiara del contesto storico in cui le teorie si sono sviluppate e degli influssi che tale contesto ha avuto sul processo, conosca l’attività e le opere degli scienziati che sono stati protagonisti del progresso scientifico, si interroghi continuando a ricercare elementi significativi circa la genesi e lo sviluppo delle idee nella conoscenza fisica.
Da giovane insegnante fresca di laurea e di abilitazione ho scoperto come da un lato mi sentissi sufficientemente pronta ad affrontare la sfida del possesso dei concetti, delle leggi e delle teorie fisiche, ma dall’altro la mia formazione non fosse adeguata dal punto di vista dell’integrazione del sapere fisico con il contesto storico. Tanto è difficile e oneroso costruirsi un quadro organico di questo tipo, tanto però questo lavoro è entusiasmante, perché permette di riscoprire continuamente che la conoscenza è una avventura umana che non può prescindere dal soggetto coinvolto e dal suo legame con le certezze e i grandi quesiti del suo tempo. Di fronte al desiderio di impostare l’insegnamento del triennio secondo un approccio storico, ho dovuto constatare quanto fosse importante arricchire la propria formazione e munirsi di strumenti didattici adeguati, innanzitutto ricercando manuali che tentino un approccio di questo tipo ma anche costruendosi strumenti ad hoc per le lezioni in classe.
L’autore è un giornalista e divulgatore scientifico che si è cimentato nella ricostruzione storica di dieci esperimenti scientifici, ritenuti da lui particolarmente significativi. Si tratta di racconti avvincenti scritti in linguaggio semplice e accattivante in cui l’attività dello scienziato è situata nella rete di rapporti e relazioni con la comunità scientifica e in tale contesto viene messo in evidenza il ruolo cruciale storico dell’esperimento descritto in riferimento alle grandi domande poste nel dibattito scientifico dell’epoca.
Ho deciso pertanto di utilizzare in classe il capitolo Galileo. Il vero moto degli oggetti per impostare un lavoro sul moto di caduta libera dei gravi che fosse introduttivo anche al metodo con cui Galileo aveva ottenuto la famosa legge dei quadrati.
È stato particolare il tipo di utilizzo che abbiamo fatto del libro; abbiamo chiamato il nostro approccio con l’espressione lettura drammatizzata: ci siamo lasciati condurre dal racconto nello sviluppo teorico delle idee e, laddove era descritta una esperienza, la riproducevamo con gli strumenti a disposizione per verificare i risultati ottenuti e l’attendibilità dei metodi.
La prima lezione: Salviati, Sagredo, Simplicio
Nella prima lezione, attraverso la dialettica tra Salviati, Sagredo e Simplicio riportata in Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, Johnson ci ha introdotto al dibattito sul moto di caduta libera dei corpi: Salviati critica aspramente le affermazioni di Aristotele circa un esperimento mentale di caduta libera da una altezza di 100 braccia di una sfera da 100 libbre e una sfera da 1 libbra (Aristotele aveva asserito che la sfera più pesante avrebbe percorso una spazio di 100 braccia, mentre quella più leggera uno spazio di 1 braccio). Salviati affermava di aver eseguito l’esperimento e che non vi era una differenza se non di «due dita» nello spazio percorso tra le due sfere.
Ecco individuata la prima domanda: «quale tra due corpi di massa differente raggiunge prima il suolo in una caduta simultanea dalla stessa altezza?»
Abbiamo allora realizzato la prima drammatizzazione qualitativa: abbiamo fatto cadere dalla stessa altezza corpi di massa differente, trovando che gli impatti con il suolo avvenivano pressoché all’unisono.
A questo punto Johnson introduce la seconda domanda: «con quale legge aumenta la velocità nel corso di un moto di caduta libera?»
Secondo i più seri dettami del metodo sperimentale, per individuare con quale legge la velocità aumentava nella discesa della sfera, per Galileo era necessario individuare un esperimento equivalente, in cui si potessero avere migliori condizioni per la raccolta dati, ma che non alterasse la natura sostanziale del fenomeno.
Ecco l’introduzione del manufatto, il piano inclinato di Galileo, che avrebbe permesso di osservare una «caduta» più lenta, ma la cui legge matematica riflettesse, con le dovute analogie, la legge che governa la caduta libera dei corpi.
All’introduzione critica della problematica, seguiva la descrizione accurata dell’esperimento per bocca dell’erudito Salviati: nella citazione erano riportate le misure originali e i procedimenti messi in atto dallo sperimentatore per portare alla minimizzazione degli attriti. Aspetto critico dell’esperimento erano le misure di tempo effettuate con un apparato divenuto ormai famoso, l’orologio ad acqua, che Salviati riferiva precise a meno di un «decimo di un battuta di polso».
In laboratorio
Utilizzando un piano inclinato lungo circa due metri già presente nel nostro laboratorio, abbiamo provato a prendere alcune misure di tempo con un «orologio ad acqua» costruito con una buretta che veniva rabboccata mentre la colonna d’acqua scendeva: i risultati ottenuti erano di masse d’acqua al massimo di due grammi e ci sembrava che misure talmente piccole di massa non permettessero di apprezzare un’incertezza sperimentale di un decimo di secondo, tenuto conto che anche gli strumenti di misura della massa a quei tempi potevano essere poco fini. Abbiamo concluso che in effetti l’orologio ad acqua poteva essere considerato un apparato eccessivamente rudimentale e che questo potesse rappresentare un punto debole dell’argomentazione di Salviati.
Al termine della prima lezione gli studenti erano già molto incuriositi e coinvolti, ma non sapevano ancora cosa realmente fosse questa «legge dei quadrati» scoperta da Galileo: erano entrati soltanto nel merito degli aspetti di metodo (con i loro punti di forza e di debolezza) con cui era stata ricavata.
La seconda lezione: Stillman Drake
Nella seconda lezione si è consumato il dramma storico: la realizzazione dell’esperimento e la modalità di raccolta dati furono pesantemente criticati da alcuni fisici del Novecento, che li hanno ritenuti inattendibili; addirittura Alexandre Koyré, professore della Sorbona, arrivò ad affermare che «è evidente che gli esperimenti di Galileo non hanno alcun valore».
Il sospetto era che Galileo non avesse mai effettuato l’esperimento. Possibile che colui che aveva osato criticare le affermazioni del grande Aristotele in virtù delle «sensate esperienze» avesse ricavato la famosa legge col vecchio metodo deduttivo? In questo contesto è stato sottolineato l’aspetto fondante del metodo introdotto da Galileo per gli sviluppi successivi e pertanto diventava fondamentale dal punto di vista storico poterne salvarne la validità contestuale all’esperimento del 1604.
Ancor più interessante fu il contributo di Stillman Drake, profondo conoscitore dell’opera galileiana. Egli, ordinando gli appunti manoscritti di Galileo conservati alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, aveva trovato una pagina di misure che secondo lui erano relative all’esperimento con il piano inclinato del 1604.
La cosa interessante è che nel libro viene riportata la scansione della pagina degli appunti autografi di Galileo: è stato possibile lavorare sugli stessi dati su cui aveva lavorato il grande scienziato. Johnson, attraverso Stillman Drake, mostra nel suo testo come quelli fossero dati reali (Galileo aveva trascritto dei «più» e dei «meno» vicino ai dati che secondo lui sovrastimavano o sottostimavano il dato atteso) e come da quei dati fosse possibile ricavare la legge dei quadrati. Appurato che esistono dei dati reali di buona precisione, che farebbero presumere che l’esperienza fu davvero condotta, ci chiediamo: «in che modo Galileo avrebbe ottenuto tali dati?»
Drake si spinge oltre e fa una ardita ipotesi in merito. Galileo avrebbe osservato la discesa della sfera cantando un motivetto: sfruttando la sua abilità di musicista nel portare il ritmo (cioè nel frazionare il tempo in parti uguali), egli avrebbe segnato sul piano le posizioni della sfera sulle quali cadeva il «battere» della melodia. Le misure riportate nel suo diario sarebbe pertanto misure di spazio.
Di fronte a questo documento e all’ipotesi formulata da Drake abbiamo messo in atto due attività: un’analisi dei dati raccolti nel diario di Galileo con strumenti matematici molto semplici e una raccolta dati con il metodo ipotizzato da Drake.
Analisi dei dati raccolti nel diario di Galileo
In questa prima attività, occorreva stabilire quale legge produceva la serie numerica riportata. Diversamente da tutti gli strumenti più sofisticati usati dagli studenti fino a quel momento (grafici in Excel, rette di interpolazione, coefficienti di regressione lineare ….) abbiamo messo in atto un procedimento semplicissimo, suggerito da Johnson stesso: dividendo tutti i dati per la prima misura e approssimando il rapporto a una cifra significativa, appariva la successione dei primi n quadrati perfetti.
Il termine «legge dei quadrati» prendeva corpo in una maniera davvero imprevista.
Ho visto che questo metodo è stato ritenuto semplice e particolarmente convincente dagli studenti, che ne hanno apprezzato la concretezza più che tutte le serie di dati riportati su grafici e approssimati con funzioni di secondo grado o i processi di linearizzazione cui erano stati abituati nel biennio.
Raccolta dati con il metodo ipotizzato da Drake
Nel secondo caso, abbiamo provato a mettere in atto il procedimento indicato da Drake. Dopo alcune prove volte a ottimizzare il procedimento, è stata scelta una canzone a ritmo di valzer, Romagna mia, che permetteva di prendere almeno tre misure di posizioni nel nostro piano inclinato, relativamente corto.
Si è proceduto per diverse volte alla raccolta dati fissando con il gessetto le posizioni del «battere» del motivetto sul piano inclinato. In seguito i dati sono stati analizzati con il metodo sopra descritto. Nonostante la metodologia potesse apparire ancor più grezza dell’orologio ad acqua, nell’analisi dati delle tre misure di spazio sono sempre stati ricavati i primi tre quadrati perfetti. Questo rendeva evidentemente ancora più forte agli occhi di tutti noi l’ipotesi di Drake.
Mai avrei immaginato quanta presa potesse avere un lavoro del genere sugli studenti. Le relazioni che avevo richiesto su tutta l’attività sono state di livello molto alto: tutti avevano compreso i passaggi fondamentali, i nodi concettuali e i punti critici del percorso.
È stata anche un’occasione molto significativa per coinvolgere e valorizzare quegli studenti che mostrano attitudini filosofiche e incontrano maggiori difficoltà nelle attività di problem solving.
L’Open Day 2013
Quando è stato il momento di discutere un eventuale progetto di fisica da realizzare per l’Open Day della scuola, i ragazzi mi hanno proposto a più riprese un progetto sul piano inclinato di Galileo. Ho posto loro alcune obiezioni, tra cui il fatto che affinché il progetto avesse una valenza di lavoro storico, avremmo dovuto quantomeno riprodurre il piano di Galileo nelle dimensioni reali, quelle riportate nelle fonti. Non mi sembrava realistico per le nostre possibilità.
Un mio studente ha preso una personale iniziativa nella falegnameria del padre. Si è presentato pochi giorni dopo con la struttura abbozzata di un piano inclinato da più di 5 metri che, insieme ad alcuni sui compagni, ha continuato a migliorare nelle settimane successive.
Alcune studentesse si sono dedicate invece alla stesura del percorso mediante una mostra a pannelli che sintetizzava i passaggi cruciali. È stato un lavoro interessante di ricerca storica: siamo andati a riprendere l’opera Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze selezionando le parti che ritenevamo più interessanti per dimostrare la tesi di inattendibilità di Koyré. Una studentessa infine ha disegnato delle strisce di fumetto per illustrare il procedimento utilizzato da Galileo sul piano inclinato nelle due modalità descritte.
Infine, grazie al lavoro di un altro studente che lavora abitualmente il filo di acciaio, abbiamo costruito dei ponti, fissati con degli elastici, cui abbiamo appeso dei campanelli che suonavano al passaggio della sfera.
È stata così allestita questa piccola mostra a scuola che ha permesso ai visitatori di conoscere il percorso. Il piano inclinato veniva utilizzato nelle due modalità: prendendo misure di tempo con un apparato simile all’orologio ad acqua e contemporaneamente col cronometro digitale per mostrare il procedimento descritto da Salviati e per confrontare, perlomeno in modo qualitativo, i due metodi per la misura del tempo di discesa. Veniva poi utilizzato il sistema a campanelli, sincronizzati con un metronomo, per illustrare il metodo ingegnoso ipotizzato da Drake.
Nell’allestimento della mostra, abbiamo trovato il tempo per prendere diverse misure dei tempi di discesa con l’orologio ad acqua. In effetti, ci siamo resi conto che le misure dei tempi discesa sull’intero piano tendevano a distribuirsi in un intervallo tra circa 6-7 grammi (la misura di massa veniva eseguita con una bilancia a bracci uguali che utilizzava come pesetti i semi di carruba, semi molto regolari che hanno massa mediamente di 0,2 g l’uno, ma l’errore complessivo è maggiore perché deve tener conto di altre fonti in incertezza sperimentale).
Nota conclusiva
Nel ripensare un eventuale lavoro per le classi future, mi piacerebbe modificare il percorso, sfruttando le dimensioni del nuovo piano inclinato costruito dagli studenti per proporre attività più rigorose dal punto di vista dell’analisi quantitativa. Per esempio, mi interesserebbe un’analisi più precisa dell’orologio ad acqua per capire se un apparato del genere può raggiungere davvero la precisione prevista da Galileo, esattamente come fece il dottorando Thomas Settle.
Mi piacerebbe inoltre utiliozzare il piano inclinato per provare a raccogliere diverse misure utilizzando semplicemente il proprio orecchio per rendere il ritmo uniforme, esattamente come sembra aver fatto Galileo Galilei.
Nell’Approfondimento a questo articolo è riportata la relazione dell’intero percorso, svolta dalla studentessa Caterina Pedini (classe terza), un esempio interessante di «narrazione» nel contesto di una scienza sperimentale, importante passo verso la conquista della capacità logico-argomentativa.
Valentina Di Pietro
(Docente di Fisica al Liceo Scientifico – Scuole Malpighi Visitandine, Castel San Pietro Terme (Bologna))
© Pubblicato sul n° 48 di Emmeciquadro