L’autore analizza le varie forme di riduzionismo nella scienza, quello strutturale, quello causale, quello concettuale-epistemologico. Nonostante i successi di questo metodo nello sviluppo della scienza è apparsa anche la sua insufficienza. Secondo l’autore «non si tratta, oggi, di rifiutare in blocco il metodo riduzionista in vista del futuro delle scienze. Si tratta, piuttosto, di controllarne i limiti di validità. Tutto funziona bene con il riduzionismo, fino a che non si va alla ricerca di quelle “proprietà d’insieme” che sono caratteristiche del “tutto”». È proprio di fronte alla complessità che il metodo riduzionista va in crisi.
In questa prima parte dell’articolo ci si occupa del riduzionismo strutturale e della necessità di andare oltre per studiare le proprietà «olistiche» di una struttura complessa.
Tra le parole che compaiono nel titolo La scienza oltre il Riduzionismo, subito dopo «scienza», risalta in modo particolare quell’«oltre», accanto a «riduzionismo». Se possiamo pensare di sapere, più o meno, che cosa significano in italiano scienza e oltre, sentiamo, però, il bisogno di precisare che cosa si deve intendere per riduzionismo. E anche in che senso va inteso questo oltre in riferimento al riduzionismo.
Che cos’è il riduzionismo?
Per ottenere una risposta alla domanda che cos’è il riduzionismo? conviene farsi aiutare da una voce autorevole, qual è, per esempio, quella del fisico e sacerdote anglicano John Polkinghorne, la cui autorità è ben riconosciuta: «Un riduzionista ritiene che un sistema complesso non sia nient’altro che la somma delle sue parti, per cui si può dar ragione del sistema “riducendone” la considerazione a quella dei singoli costituenti»1.
[A sinistra: John Polkinghorne (1930 – )]
Per contro, l’antiriduzionismo viene definito, dal medesimo autore, caratterizzando la posizione di chi si dichiara antiriduzionista: «Un antiriduzionista, al contrario, ritiene che il tutto sia maggiore della somma delle parti, per cui vi sono proprietà “olistiche” che non possono essere descritte in termini dei puri elementi costituenti»2. Naturalmente, per dare un valore non approssimativo e solo intuitivo a espressioni come «tutto», «parti», «uguale alla somma delle parti», «maggiore della somma delle parti», occorrerà definirle in ciascun ambito disciplinare, per rendersi conto di che cosa effettivamente significhino.
Per ora, una comprensione anche solo intuitiva è sufficiente per avere un’idea di ciò di cui stiamo parlando. Subito dopo queste prime definizioni intuitive dei termini, viene naturale domandarsi in che senso vada inteso questo «oltre» il riduzionismo che sembra caratterizzare gli ambiti più avanzati delle scienze dei nostri giorni. Che cosa si annida in questo essere maggiore della somma delle parti che caratterizza un tutto irriducibile alla/non spiegabile come3 somma delle parti, che viene comunemente detto tutto complesso? In che cosa consistono queste proprietà olistiche (ovvero d’insieme o globali)4 che non possono essere descritte e dedotte in termini dei puri elementi costituenti, o parti del tutto?
Lo studio che riguarda queste «nuove»5 problematiche va oggi, genericamente, sotto il nome di «scienza della complessità».
La complessità
La parola complessità vuole indicare che non si può/riesce a semplificare la struttura di un tutto (un qualcosa, un ente), spezzettandolo (riducendolo … da cui il termine riduzionismo) in parti componenti più facili da esaminare, in quanto spezzandolo si finirebbe per distruggerlo, perdendo le proprietà che lo caratterizzano nella sua unitarietà, ottenendo così qualcosa d’altro, a partire da cui non si è più in grado di ricostruire il tutto come un semplice assemblato.
Legittimità e limiti del riduzionismo
È importante notare come il metodo riduzionista abbia dato buoni risultati finora nelle scienze e continui a funzionare bene. Per cui non si tratta, oggi, di rifiutare in blocco il metodo riduzionista in vista del futuro delle scienze. Si tratta, piuttosto, di controllarne i limiti di validità. Tutto funziona bene con il riduzionismo, fino a che non si va alla ricerca di quelle proprietà d’insieme che sono caratteristiche del tutto in quanto è inseparabile/inseparato nei suoi mattoni costitutivi (parti). Figurativamente possiamo immaginare il metodo scientifico riduzionista come uno studioso di geometria che ha studiato una sfera (rappresentativa, per intenderci, del mondo fisico) approssimandola al piano tangente in un suo punto. Fino a che egli non si allontana troppo dal punto di contatto tra la sfera e il piano, ottiene risultati attendibili con buona approssimazione. Ma allontanandosi di più, per conoscere di più, a un certo momento i risultati della teoria non corrispondono più all’esperienza. Allora occorre procedere con un grado di approssimazione migliore e, a un certo punto, occorre considerare addirittura la sfera nella sua totalità.
Ormai, da tempo, si è riscontrato che la complessità si presenta come una problematica «trasversale», in quanto coinvolge un po’ tutte le scienze. Oggi essa affiora nelle scienze matematiche, informatiche, fisiche, biologiche, cognitive, economiche, eccetera, in quanto sembra collocarsi al livello dei «fondamenti comuni» a tutte le scienze piuttosto che a una sola scienza.
Alla ricerca dei fondamenti comuni delle scienze: un problema nuovo e antico
Nelle scienze odierne, la messa in questione del riduzionismo e la questione della complessità sembrano collocarsi al livello dei fondamenti comuni a tutte le scienze piuttosto che a una sola di esse.
Ampliando un po’ gli orizzonti potremmo chiamarli i «fondamenti logici e ontologici delle scienze»6. A questo livello il problema è insieme scientifico, in quanto riguarda l’«esperienza» (l’osservazione) e la «teoria» (la formulazione e la spiegazione dei fatti osservati), e filosofico, in quanto riguarda le «cose» (il mondo fisico, reale) e la «conoscenza», e quindi la scienza (il mondo mentale, logico, cognitivo).
Ciò che è interessante rilevare è il dato di fatto, a cui non siamo più abituati da qualche secolo, di come le problematiche filosofiche, logiche e ontologiche, oggi emergano dall’interno delle scienze (come un problema scientifico) per un’esigenza di metodo e per superare delle contraddizioni interne, e non come una giustapposizione esterna, facoltativa, estranea al metodo scientifico stesso.
Effettivamente il «problema del tutto e delle parti» è molto antico e avvicina le nostre scienze alle questioni di logica e metafisica di cui si occuparono i Greci e i Medievali.
Una divagazione o meglio un giudizio storico-culturale
Vale la pena evidenziare come una inadeguata conoscenza della razionalità greca e medievale, insieme al relativismo filosofico diffuso nel nostro Occidente, abbiano spinto anche alcuni uomini di scienza a ricercare questi fondamenti nelle culture dell’estremo Oriente (non di rado ancora formulate letterariamente secondo il genere del mito), ma per una scienza nata nel quadro della razionalità europea è più logico e naturale rivolgersi alla propria storia culturale che altrove.
In ogni caso, i fondamenti universali e irrinunciabili della razionalità sono comuni a ogni cultura e solo un’ideologia un po’ modaiola opera per contrapposizione rifiutando le proprie radici culturali e idealizzando quelle altrui.
Diversi tipi di riduzionismo
Oggi le nostre scienze sembrano essere arrivate ormai vicine a formulare una «teoria dei fondamenti» che ha dei tratti comuni con la logica e la metafisica aristoteliche, nate dalle problematiche interne alla fisica del tempo (si pensi ai filosofi Ionici) e dalla matematica (si pensi ai Pitagorici) che cercavano di spiegare la «struttura» della materia (i corpi osservabili), la «dinamica» della materia (i moti osservabili), la «logica» e l’«epistemologia» necessarie per superare le contraddizioni interne alle loro teorie sulla realtà.
Ed è a partire dal tentativo di descrivere e spiegare il mondo reale, fisico, materiale, che gli antichi pensatori greci prima e medievali poi, sono arrivati a ipotizzare, per ragioni di ordine logico, l’esistenza/necessità di affiancare ai principi materiali/osservabili anche dei principi immateriali/non osservabili, giungendo in tal modo a formulare una metafisica (oggi possiamo preferire chiamarla, più scientificamente teoria dei fondamenti) che si occupasse dell’ente/essere (materiale o immateriale che fosse) e del divenire (dal moto locale, all’accrescimento e a qualunque forma di trasformazione e mutamento). In corrispondenza di ciascuna di queste problematiche troviamo il corrispondente tipo di riduzionismo.
Il riduzionismo strutturale
Al livello della «struttura» della materia, seguendo il testo di Polkinghorne già citato, possiamo dire che «Il riduzionismo strutturale (constitutive reductionism) ammette che, quando un sistema complesso venga effettivamente decomposto nei suoi elementi, le parti che ne risultano siano esclusivamente quelle che corrispondono agli elementi costituenti che ci si aspetterebbe di trovare […] senza che alla fine vi sia rimasto alcun ingrediente extra7 […].
Il riduzionismo di questo genere è molto vicino al riduzionismo metodologico (metodological reductionism), che rappresenta la strategia scientifica, altamente praticata, consistente nello studiare il tutto frantumandolo nelle sue parti costituenti. Ancora una volta, il successo della strategia non implica però che ogni aspetto rilevante del tutto possa essere studiato in questo modo».
Il riduzionismo causale
Per quanto riguarda la «dinamica», cioè l’evoluzione nel tempo dei sistemi materiali, possiamo parlare, in termini un po’ più filosofici, di un «riduzionismo causale (causal reductionism).
Esso comporta che le cause agenti sul tutto producano semplicemente la somma degli effetti delle singole cause agenti sulle parti. Nel caso dell’umidità, una simile riduzione sembra riuscire, partendo dall’ipotesi ragionevole che la tensione superficiale sia interamente generata dall’azione delle forze molecolari […].
Viceversa, non è del tutto chiaro come la somma delle scariche delle sinapsi neuronali possa combinarsi per produrre i qualia (percezioni, emozioni) mentali, dal momento che sembra esserci una chiara differenza qualitativa tra i due livelli. Il riduzionismo causale è un parente stretto del riduzionismo ontologico (ontological reductionism), che equivale ad affermare che il tutto è la somma delle parti. È possibile, in realtà, sostenere il riduzionismo strutturale e rifiutare il riduzionismo causale, come fanno molti. Una strategia che consente di sostenere questa posizione è quella di abbracciare il contestualismo (contextualism), che consiste nel ritenere che il comportamento degli elementi costituenti dipenda dalla natura8 del tutto che essi vanno a costituire».
Il riduzionismo concettuale-epistemologico
Le forme precedenti di riduzionismo si ripercuotono dal piano della realtà a quello della conoscenza, comportando una irriducibilità tra nozioni logiche che, pur avendo qualcosa di comune (analogia), non sono riducibili a un’unica definizione (univocità), così come tra le scienze, per cui oltre una certa misura, si scopre, per esempio che la biologia non è riducibile alla chimica, e la chimica non è riducibile alla fisica, come un riduzionismo spinto induceva a ritenere.
«Il riduzionismo concettuale (conceptual reductionism), nel quale si sostiene che i concetti applicabili al tutto possono essere interamente espressi in termini di concetti che si applicano alle parti.
La dizione riduzionismo epistemologico (epistemological reductionism) è pure in uso per designarlo. Un esempio ben riuscito di una riduzione di questo genere è offerto dall’impiego della teoria cinetica dei gas per ridurre il concetto di temperatura […] all’esatto equivalente, rappresentato dell’energia cinetica media delle molecole del gas.
Ma ci sono anche molti altri esempi che stanno ad indicare come riduzioni di questo tipo non siano sempre possibili […]. Inoltre le scienze biologiche impiegano molti concetti essenziali per il loro lavoro, come convenienza, adattamento, organo, sessualità, nicchia ecologica, eccetera, che non possono essere tradotti in enunciati relativi alle sole molecole».
Oltre il riduzionismo strutturale
Nel contesto delle scienze ci si può trovare a constatare l’«insufficienza» dell’approccio riduzionistico come addirittura l’«impossibilità» di applicarlo.
Insufficienza dell’approccio riduzionistico
L’«insufficienza» del riduzionismo compare quando si prende atto del fatto che il «tutto complesso» non risulta spiegabile esaurientemente mediante lo studio delle sue «parti componenti», in quanto possiede delle proprietà d’insieme, che sfuggono all’indagine se non si considera il tutto nel suo complesso, perché non sono rinvenibili nelle singole parti separate.
Si può dire, allora, con una formula schematica, che in questo caso il tutto è più della somma delle sue parti, ovvero contiene delle «informazioni nuove», rispetto a quelle contenute nelle parti, informazioni che lo caratterizzano come «tutto nel suo insieme». Nel linguaggio aristotelico si direbbe che il tutto possiede una «forma» (oggi la chiamiamo «informazione») che lo rende uno, con delle proprietà nuove che nelle parti giustapposte non sono presenti.
Non a caso il termine forma (informazione) sta ricomparendo, per esempio, nel linguaggio dei biologi e dei matematici9 insieme a un interesse rinascente per gli scritti di Aristotele.
Impossibilità di adottare lo schema riduzionistico
Ci si imbatte addirittura nell’«impossibilità» di procedere riduzionisticamente quando il tutto complesso non è divisibile in parti più semplici in quanto qualche parte, o addirittura ogni parte, ha proprietà identiche o, comunque, di un grado di complessità confrontabile con quello del tutto, per cui la suddivisione non comporta nessuna semplificazione.
È quanto accade, per esempio, in matematica, nelle strutture autosimilari, come i frattali10. Con una formula schematica possiamo dire che, in questo caso, «il tutto è contenuto nelle sue parti» e, in un certo senso, «è replicato» in tutte le sue parti. Queste parti non sono necessariamente identiche, ma possiedono delle somiglianze che non consentono di ridurre il grado di complessità delle parti rispetto a quello del tutto11.
Chiaramente queste dichiarazioni di inadeguatezza dell’approccio riduzionistico non vanno spinte all’esasperazione: c’è sempre una certa legittimità nel riduzionismo, altrimenti sarebbe impossibile all’uomo la conoscenza perché l’intelligenza umana non coglie tutto insieme con un unico atto, ma necessita di una successione di atti con i quali conosce una alla volta le parti di un tutto, nei loro dettagli (discorsività della conoscenza umana). Non è sempre indispensabile studiare tutto l’Universo nel suo insieme per fare scienza su una sua parte, anche se in certi casi ciò si rende necessario. Ne offre un esempio la recente tendenza a collaborare della cosmologia con la fisica delle particelle elementari quando l’indagine si spinge verso i cosiddetti «primi istanti» dell’universo, con i recenti risultati sperimentali ottenuti nella ricerca del bosone di Higgs12.
Alcuni esempi tratti da diverse scienze
Delineiamo, brevemente, alcuni aspetti in merito a come la tematica del tutto e delle parti viene riconosciuta e affrontata in alcune delle principali discipline scientifiche.
La biologia
Si trova da sempre di fronte al fatto che il vivente mostra delle proprietà che, anche dal punto di vista chimico-fisico, sono nuove rispetto a quelle del non vivente (accrescimento, riproduzione, apprendimento, eccetera). Il vivente, anche il più semplice, non è descrivibile interamente mediante l’analisi delle sue parti componenti.
Un’affermazione del genere, vista nell’ottica riduzionistica era considerata con sospetto e tacciata di vitalismo perché sembrava introdurre un fattore animistico nella vita. Ma non è questo il vero problema. Il punto è piuttosto quello di vedere se, nell’organizzazione della materia, una volta raggiunto un certo grado di strutturazione organica (complessità) la materia stessa, se opportunamente sollecitata da una causa esterna adeguata, tenda a manifestare un livello nuovo di ordine non presente, di per sé, nei componenti presi separatamente.
A questo livello non basta più l’analisi delle parti componenti (che è stata comunque utile e necessaria fino a questo momento), ma occorre un’indagine del nuovo livello d’insieme, dell’informazione che lo organizza come un nuovo tutto.
In chimica
Lo studio approfondito della molecola, più o meno complessa, così come quello dei reticoli cristallini nei solidi e dei conduttori elettrici (per citare solo pochi esempi), hanno messo in evidenza come, anche nella chimica del non vivente, le proprietà d’insieme di una struttura composta complessa non siano del tutto deducibili dalle proprietà degli atomi componenti.
L’esistenza di orbitali molecolari con elettroni completamente condivisi non permette di pensare più a elettroni che appartengono a un atomo singolo. In un conduttore elettrico gli elettroni di conduzione vengono condivisi addirittura tra tutti gli atomi.
Esistono, dunque, anche a livello chimico-fisico delle proprietà d’insieme che il progredire delle ricerche rivela essere sempre più significative.
Nell’ambito della fisica
Dobbiamo tenere presenti i due classici aspetti che le sono propri: quello inerente lo strumento matematico in se stesso e quello relativo alla spiegazione dell’osservazione.
Dal punto di vista matematico, dal momento che la fisica si serve sempre di più della matematica per formulare le sue leggi sotto forma di equazioni, i problemi sono esplosi come conseguenza dei nuovi risultati della matematica che ha dato risposte inaspettate ai quesiti della fisica13.
[A destra: Lev D. Landau (1908-1968), premio Nobel per la Fisica 1962]
Dal punto di vista dell’accordo tra ipotesi e osservazione, ci troviamo di fronte contemporaneamente a una vasta gamma di problemi che compaiono nella meccanica classica e nella meccanica quantistica. Nella meccanica classica basti pensare, per esempio, alla complessità dei moti turbolenti nei fluidi: il classico modello del 1959 di Lev D. Landau che sovrappone più moti convettivi associati a frequenze sempre maggiori non prevede correttamente la transizione alla turbolenza che si presenta come una proprietà del tutto nuova rispetto alla convezione.
Nella meccanica quantistica alcuni eventi («parti») si presentano come non separabili (e quindi come un «tutto») anche se avvengono a grandi distanze. Sembra trattarsi di uno di quei casi in cui il tutto pare trovarsi in ognuna delle parti. Rimangono, poi, anche quei problemi che, pur trovando in essa degli strumenti di calcolo approssimato che danno risultati attendibili, sono fonte di paradossi nella loro formulazione e comprensione.
Nell’ambito della matematica
Il problema del tutto e delle parti si presenta con molta chiarezza sotto entrambi gli aspetti prima accennati.
Per quanto riguarda l’aspetto dell’«insufficienza» i problemi legati alla non riducibilità del tutto alla somma delle parti acquistano una formulazione chiara per il fisico teorico, il fisico matematico e per il matematico puro quando osserva che le leggi evolutive che regolano la quasi totalità dei processi della fisica sono formulate in termini di equazioni differenziali non lineari.
Per le equazioni lineari la somma di due o più soluzioni (chiamiamole «parti») è ancora una soluzione (chiamiamola «tutto») del sistema, e viceversa, una generica soluzione («tutto») si può scrivere come somma14 di più soluzioni («parti»).
In fisica questa regola riduzionistica è conosciuta anche come principio di sovrapposizione. Ben noto è l’esempio nel caso delle onde che interferiscono linearmente sommando algebricamente le loro elongazioni. Per le equazioni non lineari la precedente affermazione non è, in generale, più vera per cui si può dire, nel senso sopra indicato, che il tutto non è ottenibile generalmente come somma di parti.
Questo accenno basti a indicare come esista, dal punto di vista matematico, un legame tra tutti i comportamenti inerenti alle teorie non lineari e che costituiscono aspetti diversi di un’unica problematica: quella che oggi va sotto il nome di «complessità». Ecco che le considerazioni che stiamo svolgendo ci conducono verso il secondo aspetto del problema.
Il secondo aspetto riguarda l’«impossibilità» di ridurre il grado di complessità di un sistema separando le sue parti dal tutto, perché il tutto si ritrova replicato in ogni parte. Un esempio tipico di questo secondo aspetto ci è offerto dalla geometria frattale. I frattali, tra le altre proprietà, hanno quella di essere «autosimilari», cioè di riprodurre all’infinito, nelle loro parti, forme geometriche simili, quando non identiche, a quella del tutto; per cui non è possibile, suddividendoli in parti sempre più piccole, isolare delle forme che siano strutturalmente meno complesse del tutto.
Nella logica-matematica
Il problema del rapporto tra il tutto e le parti si presenta, oggi, principalmente nel secondo dei due aspetti già menzionati, quello per cui il tutto è rinvenibile come parte di se stesso (autoreferenzialità).
Questo discorso ha a che fare con la logica delle «proposizioni» e con quella delle «collezioni» di oggetti.
[A sinistra: Kurt Gödel (1906-1978)]
La «collezione di tutte le collezioni» è il tipico esempio di una collezione in cui una parte coincide con il tutto. In un primo tempo la logica delle classi, sviluppata da Bertrand Russell (1872-1970) e Alfred North Whitehead (1861-1947), ha aggirato il problema escludendo dalla definizione di «classe» le collezioni che contengono se stesse come elemento, per evitare le tipiche contraddizioni che possono insorgere dallo loro considerazione.
È noto il paradosso di Russell che nasce quando si tenta di definire, per esempio, un oggetto come «il catalogo dei cataloghi che non citano se stessi». Ulteriori sviluppi hanno condotto alla i medesimi autori a formulare la «teoria dei tipi»15 e Kurt Gödel a distinguere tra classi «proprie» e «insiemi»16.
Spetta tuttavia forse alla informatica il merito di aver reso attuali le ormai classiche problematiche di logica-matematica come quelle legate ai teoremi di Gödel sulla coerenza e la completezza dei sistemi assiomatici, così come a rendere rappresentabili sullo schermo di un computer insiemi come quelli di Julia e Mandelbrot, dal loro contorno, infinitamente tortuoso e di rara bellezza.
Le indagini sulla cosiddetta Intelligenza Artificiale (A.I.)
Hanno permesso di comprendere che l’informazione si può annidare a vari «livelli» e che esistono delle «gerarchie» di informazione: il livello inferiore risiede nella struttura hardware della macchina, i livelli superiori nel software;
Il linguaggio di programmazione, a sua volta, contiene informazioni, significative per il programmatore, che ricadono in istruzioni di livello inferiore, eseguibili automaticamente dai circuiti senza percepirle come significative; il programma stesso nel suo insieme contiene un’informazione di livello superiore legata allo scopo per cui è stato scritto, che risiede nella mente del programmatore e in quella dell’utente, e così via.
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Alberto Strumia
(Professore ordinario di Meccanica razionale presso l’Università di Bari, Vicedirettore del Portale di documentazione interdisciplinare di scienza e fede)
Note
J.Polkinghorne, Riduzionismo, in G.Tanzella-Nitti e A.Strumia (edd), Dizionario interdisciplinare, Città Nuova e Urbaniana Unversity Press, Roma 2002, vol. 2, pp. 1231-1236, e on-line all’indirizzo web: www.disf.org/Voci/104.asp
Ibidem. In seguito le citazioni riportate senza referenza si riferiranno a questo stesso articolo
Si noti, nella formula usata irriducibile alla/non spiegabile come, il duplice riferimento:
a) alla realtà, espresso dalla dizione irriducibile alla (piano ontologico)
b) alla conoscenza/scienza, espresso dalla dizione non spiegabile comeIl termine «olistiche» nella sua etimologia indica ciò che riguarda il tutto nella sua unitarietà. Oggi è divenuto di moda associarlo a visioni della realtà orientaleggianti, dal sapore spesso gnosticheggiante e panteistico. Per questo, nel linguaggio scientifico si preferisce parlare di «proprietà d’insieme» del tutto complesso, o anche di «proprietà globali», come amano denotarle i matematici (si pensi alla topologia dello spazio delle fasi di certi sistemi non lineari), che richiedono lo studio di un sistema nella sua totalità, in contrapposizione alla «proprietà locali» che si limitano ad analizzare ciò che succede nell’intorno di un singolo generico punto del sistema.
Ho incluso la parola «nuove» tra virgolette, perché, in effetti, le radici remote di ciò che oggi chiamiamo «complessità» risalgono alla fine del XIX secolo (H. Poincaré), anche se solamente a partire dagli anni Sessanta del XX secolo sono state prese seriamente in considerazione nella loro effettiva portata. E nella letteratura divulgativa, almeno in Italia, si trovano pubblicazioni solo a partire dagli anni Ottanta – Novanta, quando nei titoli hanno fatto la loro comparsa parole come «complessità» e «caos».
Per citare solo due titoli esemplificativi: J.Gleick, Caos. La nascita di una nuova scienza, Rizzoli, Milano 1989 e G.Nicolis, I.Progine, La complessità. Esplorazione nei nuovi campi della scienza, Einaudi, Torino 1991.Sto cercando, da diversi anni, di occuparmi di questa affascinante tematica e ho fissato alcune riflessioni in alcuni studi, tra i quali anche alcuni in collaborazione. Chi è interessato può vedere, per esempio: A.Strumia, Le scienze e la pienezza della razionalità, Cantagalli, Siena 2003; A.Strumia (a cura di), I fondamenti logici e ontologici delle scienze. Analogia e causalità, Cantagalli, Siena 2006; A.Strumia (a cura di), Il problema dei fondamenti. Da Aristotele e Tommaso d’Aquino all’ontologia formale, Cantagalli, Siena 2004; A.Strumia, Il problema dei fondamenti. Un’avventurosa navigazione dagli insiemi agli enti passando per Gödel e Tommaso d’Aquino, Cantagalli, Siena 2009.
È importante notare come la ricerca scientifica più vicina a noi stia cercando di scoprire, mettendole in luce, le caratteristiche di questo elemento extra, e lo stia individuando in quella che oggi chiamiamo «informazione».
Si tratta di un qualcosa che richiama alla mente l’antico concetto aristotelico di «forma», per cui anche quest’ultimo termine si sta riaffacciando nel linguaggio scientifico di scienze come la matematica e la biologia.Si noti la comparsa della parola «natura». Un termine dal grande peso fisico, metafisico e antropologico in quanto si ricollega a «essenza come principio d’azione», «forma», «informazione».
Si pensi, per esempio agli studi di René Thom sulla «forma» in matematica: partendo dalla forma in geometria (shape) egli gradualmente si avvicina alla forma in senso informazionale e decide di impegnarsi nella lettura di Aristotele.
Si veda per esempio, R.Thom, Les intuitions topologiques primordiales del l’aristotélism, Revue Thomist, XCVI année, Tolouse, t. LXXXVIII, n. 3 (1988), pp. 393-409.Per una visualizzazione grafica si può vedere, per esempio, lo splendido saggio illustrato di H.O.Peitgen e P.H.Richter, La bellezza dei frattali, Bollati Boringhieri, Milano 1987, oppure in rete i numerosi siti dedicati ai frattali, tra i quali anche la mia Fractal Gallery (www.albertostrumia.it/Menu.html).
È interessante notare come Tommaso d’Aquino (sec. XIII), che non conosceva certamente i frattali, possedeva però con chiarezza, l’idea che vi sono diversi modi in cui la «parte» è contenuta nel «tutto», in quanto parte «materiale», mentre è il «tutto» a essere contenuto nella «parte», in quanto «informazione» («forma») universale che rientra nella sua definizione (cfr. Commento alla Fisica di Aristotele, Libro IV, lettura 4, nn. 2-3).
Notizie continuamente aggiornate si trovano sul sito del C.E.R.N. di Ginevra (public.web.cern.ch).
Ne parleremo perciò tra poco, trattando della matematica.
Qui il termine «somma» indica effettivamente il concetto matematico usuale di somma algebrica. Un esempio tipico è offerto dall’oscillatore armonico semplice.
B.Russell, Mathematical Logic as based on the Theory of Types, American Journal of Mathematics , vol. 30 (1908), pp. 222-62.
K.Gödel, La coerenza dell’assioma della scelta e dell’ipotesi generalizzata del continuo con gli assiomi della teoria degli insiemi, In K.Gödel, Opere, vol. 2, Bollati Boringhieri, Torino 2002, pp.38-42.
© Pubblicato sul n° 49 di Emmeciquadro