Unità e Specificità

La storia della cultura, e della scienza in particolare, è una storia di oscillazioni, dove si sono alternate visioni del mondo e approcci che hanno di volta in volta enfatizzato taluni aspetti a scapito di altri. Ciò ha avuto conseguenze positive, perché ha ampliato il campo della nostra indagine e ha permesso alla varietà e alla ricchezza della realtà di rivelarsi; al tempo stesso ha spinto la ragione a declinarsi in diverse forme, sviluppandone le potenzialità.
È un processo che dura tuttora e ci si deve augurare che possa proseguire.
D’altra parte, non sono mancate e non mancano le conseguenze negative: soprattutto quando avviene una polarizzazione su uno degli estremi del pendolo e un aspetto viene assolutizzato a scapito degli altri: è una delle modalità in cui si manifesta il riduzionismo – approfondito in questo e nel prossimo numero – che è una tendenza latente in tutte le posizioni culturali, ma più ancora è un rischio che corre ognuno di noi e che assume conseguenze particolarmente pesanti in campo educativo.
Un esempio di oscillazione nelle scienze – e nel loro insegnamento – è quella tra approccio unitario ed esaltazione delle specificità; che porta, in un caso ad appiattire i singoli fenomeni e le singole discipline in una generica visione naturalistica «integrata»; nell’altro a spingere l’acceleratore sui particolari specifici isolandoli dal tutto e aprendo la strada a una confusa frammentazione.
Avviene così che si affronti il singolo fenomeno naturale nella sua generalità mescolando i diversi punti di vista e le diverse metodologie; oppure, al contrario, se ne esasperi l’aspetto fisico, o chimico, o biologico senza ricordare che quell’aspetto è il risultato di una scelta, di un «ritaglio» – direbbe Evandro Agazzi – di alcuni caratteri della natura che identificano quell’oggetto all’interno di una determinata disciplina.
La conseguenza più pesante sul piano educativo è, in entrambi i casi, un forte ostacolo ad accedere al livello dei significati: perché il singolo particolare acquista significato in riferimento al tutto e, d’altro canto, un significato troppo generico, che non arrivi a toccare la concretezza del frammento, rischia di evaporare in una serie di vuote affermazioni.
È una dinamica analoga a quella che si verifica con la matematica, così come viene descritta nello speciale «elogio dell’astrazione» presentato in questo numero. Una pura abilità nella manipolazione di oggetti matematici astratti che non sia accompagnata dalla consapevolezza che «si tratta di oggetti reali», ha come esito una doppia sconfitta: per gli studenti la matematica diventa «lontana» sia nei metodi che nei significati e «tristemente, della matematica questi studenti si perdono il meglio».
Il problema allora è: come tenere insieme i due poli dell’oscillazione? Non è questione di tecniche o di artifici. C’è un’unità alla radice da recuperare. L’unità è uno sguardo, è la modalità con cui si approccia il particolare, è la motivazione profonda dell’amore al dettaglio; che può sostenere quelle attitudini tipiche del lavoro scientifico che sono precisione, analiticità, meticolosità, costanza. È la tensione a far emergere e a riconoscere lo stesso disegno, la stessa trama, in particolari diversi: un po’ come nella geometria frattale, di cui si traccia la storia in questo numero.
C’è un modo per far percepire anche agli studenti che non c’è frattura tra approccio unitario e passione per lo specifico: è invitare alla riflessione su di sé, è riportare il discorso alla persona. Nelle più disparate situazioni tutti facciamo esperienza della varietà e della particolarità; ma è solo un io unitario che riesce a rintracciare i segni distintivi della specificità. Anzi, quanto più quell’unità sarà solida tanto più sarà efficace il lavoro di riconoscimento di ogni particolare.



Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 49 di Emmeciquadro

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