L’autore prosegue in questa seconda parte l’analisi delle forme di riduzionismo nella scienza, dedicandosi a quello causale e a quello concettuale. Il riduzionismo causale, richiede un ripensamento del concetto di causalità nella scienza e trova storicamente due importanti limiti: l’indeterminismo della fisica quantistica e le forme di complessità che portano all’impredicibilità del caos deterministico. L’aspetto concettuale del riduzionismo per cui i concetti applicabili al tutto possono essere interamente espressi in termini che si applicano alle parti, trova evidenti limiti: per esempio la chimica non è riducibile alla fisica, né la biologia alla chimica. L’autore allora introduce i concetti di «causalità formale», e di «analogia» come nuovi concetti da introdurre nell’ambito epistemologico della scienza.
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Oltre il riduzionismo causale
L’affronto del secondo aspetto del riduzionismo, quello del «riduzionismo causale» e del suo superamento richiede, ovviamente, qualche osservazione sulla nozione di causalità in ambito scientifico.
Anche a proposito del problema specifico della causalità è stato compiuto un percorso di maturazione della «metafisica» richiesta alla base delle scienze. Ci occuperemo, molto schematicamente e quasi solo per titoli, di alcuni aspetti rilevanti nel mutamento della nozione di causalità in rapporto all’interpretazione delle teorie scientifiche.
Mutamenti nell’approccio alla causalità nel contesto scientifico
Si tratta di aspetti che denotano un primo significativo orientamento di carattere ontologico, pur se ancora bisognoso di una sistematizzazione e di un approfondimento adeguato. Il problema della causalità, a cominciare dalla fisica moderna, è stato comunemente inteso, sulla base di una sorta di filosofia spontanea degli scienziati, principalmente in relazione alla «causa efficiente» ed è sorto al livello dei tentativi di interpretazione ontologica della dinamica dei fenomeni meccanici e più in generale fisici.
Per esempio, nell’ambito della meccanica newtoniana la forza veniva interpretata come la causa efficiente dell’accelerazione di un corpo al quale essa è applicata, fornendo in tal modo un’interpretazione della seconda legge della dinamica, , di Isaac Newton (1642-1727).
Questa visione, tuttavia, incomincia a dimostrarsi troppo restrittiva già con la meccanica quantistica che introduce l’indeterminismo con il principio di Heisenberg; e ancor più rispetto al quadro scientifico recente nel quale affiorano anche altri aspetti della causalità legati alla non linearità e alla complessità.
[A sinistra: Werner Heisenberg (1901-1976)]
Già Ernst Mach (1838-1916) non si accontentava di disporre di una «causa delle accelerazioni» (variazioni degli stati del moto), ma si domandava quale fosse la causa dello «spontaneo» permanere dei corpi nel loro moto rettilineo e uniforme in assenza di forza (si trattava di un moto senza causa?).
È quasi un inconsapevole riavvicinarsi ad Aristotele (384 a.C- 322 a.C), con la ricerca della causa del moto in se stesso. Una sorta di ricerca della «causa dell’essere», di qualcosa (l’inerzia, lo stato del moto) più che di una «causa del divenire» (l’accelerazione come mutamento dello stato del moto).
Naturalmente Mach non poteva che cercare una spiegazione in termini di interazione fisica tra le parti dell’Universo. Una suggestione che guidò Albert Einstein (1879-1955) verso il «principio di equivalenza» che è alla base della Relatività generale.
La causalità nelle scienze odierne
Ai nostri giorni si sono aperti molti interrogativi sul ruolo della causalità nelle teorie scientifiche.
Oltre al problema della «causalità efficiente» per l’interpretazione delle teorie fisiche; della «causalità materiale» implicito nella ricerca dei costituenti elementari della materia, emerge ormai la «causalità finale» nei sistemi «organizzati», capaci di operazioni finalizzate (soprattutto i sistemi biologici) e la «causalità formale» (informazione) in quanto principio unificante e ordinatore del tutto rispetto alle parti di un sistema complesso strutturato in livelli di organizzazione irriducibili e gerarchizzati.
Si tratta di modalità di approccio ancora abbastanza rudimentali dal punto di vista filosofico, bisognose di una formulazione meno ingenua e più rigorosa, nelle quali si intravede, però, nettamente, il tentativo di riappropriarsi di una sorta di metafisica della causalità, capace non solo di confrontarsi ma anche di rivisitare con i nostri strumenti formali la teoria aristotelica delle quattro cause.
Si direbbe che un certo aristotelismo, cacciato dalla porta della scienza galileiana, sembra quasi rientrare dalla finestra della «scienza della complessità» e della logica della «teoria dei fondamenti».
Proviamo ad addentrarci un po’ in ciascuno di questi aspetti della causalità, là dove sono venuti a confronto con la crisi del riduzionismo.
La causalità in rapporto alla dinamica dei sistemi (causalità efficiente)
Un primo passaggio che si è verificato nell’ambito della interpretazione delle teorie scientifiche è quello che ha visto la necessità di non limitarsi a una nozione di causalità puramente deterministica (univoca), nel senso in cui la intendeva il meccanicismo.
Si tratta di un’apertura che ci riavvicina (almeno di fatto) alla concezione aristotelico-tomista che prevedeva, oltre alle cause che agiscono «deterministicamente» (ad unum), anche cause il cui effetto è «probabile» (ut in pluribus, ut in paucioribus), e cause il cui effetto è del tutto «indeterminato» (ad utrumlibet), come la volontà umana che è libera.
È notevole il dover constatare come una teoria di questo tipo sia così ampia da poter abbracciare (ovvero offrire i fondamenti) a scienze tanto diverse, come la fisica e l’antropologia.
La causalità deterministica nella fisica classica
La causalità deterministica può ricondursi sostanzialmente al seguente principio: «a una stessa causa, che agisce in determinate condizioni, corrisponde sempre necessariamente uno e un solo identico effetto».
Si tratta di una causa il cui effetto è determinato ad unum. La possibilità di descrivere questa univocità della relazione causa-effetto è legata, dal punto di vista matematico, alle condizioni di validità del teorema di unicità della soluzione dei sistemi di equazioni differenziali. Questo significa che non tutte le funzioni matematiche sono adatte a descrivere delle forze il cui effetto sia deterministico, ma solo quelle che garantiscono la validità del teorema di unicità.
La causalità deterministica è tipica della fisica classica, sia nella formulazione datane da Newton, che in quella della teoria della relatività di Einstein (sia ristretta che generale). Infatti entrambe descrivono le forze («causa») con funzioni per le quali è garantito il teorema di unicità delle soluzioni delle equazioni differenziali (funzioni lipschitziane) e interpretano univocamente ogni soluzione come uno e un solo moto («effetto»).
In particolare, la teoria della Relatività, con il suo principio in base al quale nessun segnale può viaggiare a una velocità superiore a quella della luce nel vuoto (c = 3×108 m/s), ha accentuato il fatto che in fisica la causalità efficiente è stata interpretata esclusivamente in relazione alla successione temporale, per cui si tende a riconoscere come causa solo un fenomeno che precede temporalmente il suo effetto.
Questa concezione della causalità efficiente solo secondo l’ordine temporale, unitamente al riduzionismo che identifica il tutto con una «somma» di parti ha proposto, in Relatività, una concezione del principio di causalità come «principio di località», secondo il quale una causa (evento A) può far risentire gli effetti della sua azione (su un evento B) a una distanza L, solo con un certo ritardo, pari al tempo (L/c) impiegato dalla luce a percorrere la distanza L.
La meccanica quantistica tra determinismo e indeterminismo
Diversa è la situazione per la meccanica quantistica nella quale è «deterministica» la matematica dell’equazione di Schrödinger che governa la funzione d’onda, ma è «indeterministica» l’interpretazione fisica che di quest’ultima viene data che è, invece, «probabilistica».
Violazione del principio di località in Meccanica quantistica
La comparsa, nella fisica dei cosiddetti fenomeni «non locali» (nell’ambito della Meccanica quantistica) e di teorie che violano il principio di località è stata interpretata, prima che si prendesse in considerazione la nozione di complessità in due modi diversi:
o mantenendo fermo il criterio riduzionista che considera il tutto come «somma» delle parti, o come una violazione del principio di causalità (almeno se inteso nel senso appena descritto).
[A destra: Erwin Schrödinger (1887-1961)]
In alternativa, in un secondo periodo, con la crisi del riduzionismo dopo il primo approccio alla complessità, si è incominciato a considerare la «non località», piuttosto come una falsificazione del criterio riduzionista (non separabilità delle parti dal tutto), mantenendo valido il principio di causalità (che doveva essere ripensato in un’ottica non riduzionistica e quindi, talvolta, anche atemporale).
Verso la causalità formale
Incomincia, in questa prospettiva, ad affacciarsi tacitamente la plausibilità di una visione della causalità «non temporale», che per agire non necessita di collegare tra loro due parti separate (di un tutto che ne è la somma) mediante un segnale che viaggia alla velocità della luce nel vuoto, ma produce il suo effetto in quanto è presente nella struttura stessa del tutto, e quindi in ogni sua parte simultaneamente, come una sorta di «informazione» che lo caratterizza nel suo insieme, nella sua totalità e non necessita di propagarsi da una parte all’altra del sistema.
Si tratta di un primo approccio che apre la strada alla nozione di «causalità formale». La nozione odierna di «informazione» incomincia a richiamare abbastanza da vicino quella aristotelica di «forma». Per esempio, con la forma aristotelica, l’informazione ha in comune il fatto di essere un «principio immateriale».
L’informazione, come oggi la si intende nelle più diverse discipline, pur essendo veicolata da un supporto materiale, è irriducibile a quest’ultimo; così che può essere trasferita da un supporto a un altro, come si fa tutti i giorni usando il computer, (trasferendola dall’hard disk alla rete, o a una flash memory) senza alterarla nel suo contenuto informativo.
Il problema mente/corpo e la forma sussistente
La scienza si limita, per il momento, a considerare quel genere di informazione che è paragonabile alle forme aristoteliche che caratterizzano la struttura e la dinamica dei corpi materiali, e non è arrivata, certamente, a concepire una forma per sé sussistente come è l’anima umana nella concezione di Tommaso d’Aquino.
[A sinistra: Tommaso D’Aquino (1225-1274)]
Essa, tuttavia, si trova ormai di fronte a problemi come quello del rapporto «mente/corpo» o «intelligenza/macchina» che pone la questione di comprendere come si attui la cognizione umana universale astratta.
Nasce, a questo punto, legittimamente questa domanda: è sufficiente un approccio riduzionisico, materialista (mente riducibile al corpo e alle sue basi fisico-chimiche), o funzionalista (mente come funzione spontaneamente emergente di un sistema biologico complesso)?
O si richiede l’ipotesi di una mente in grado di compiere delle funzioni immateriali che un sistema biologico o elettronico, per quanto complesso, non è un grado far emergere senza l’azione di una causa esterna adeguata?
A questa questione Tommaso rispondeva con la «teoria dell’astrazione» della forma universale dalla materia corporea da parte di un’anima immateriale sussistente(1).
Aspetti irriducibili della dinamica: predicibilià e impredicibilità (caos deterministico)
L’inseparabilità delle «parti» che si presenta, in certe situazioni, da un «tutto» complesso e quindi anche tra loro, ha come base matematica la non linearità delle equazioni differenziali che descrivono l’evoluzione temporale del sistema complesso.
[A destra: : Henri Poincaré (1854-1912)]
Ma insieme alla non linearità compare, in certe condizioni, anche il problema della impredicibilità degli eventi futuri, su base fisico-matematica. La «predicibilità» degli eventi futuri, come conseguenza necessaria delle leggi della fisica, è dovuta alla «stabilità» delle soluzioni, tipica dei sistemi lineari, grazie alla quale l’evoluzione futura di un sistema non si discosta mai se non di un poco controllabile dalla previsione teorica.
Ma, come ebbe a scoprire nel 1890 Henri Poincaré, in un sistema non lineare, una piccola perturbazione delle condizioni iniziali del moto, di una soluzione instabile, può comportare, dopo un certo tempo, un errore anche molto grande nella previsione. In questo caso l’impredicibilità non indica una mancanza di causalità, ma per noi l’impossibilità teorica (matematica) e pratica (sperimentale) di dominarla conoscitivamente. E questo può comportare comportamenti come il «caos deterministico» negli «attrattori strani».
Osservazioni sull’indeterminismo
L’indeterminismo tende a negare, in qualche modo, la relazione tra causa ed effetto. Questa negazione può assumere due aspetti: nel primo la negazione può essere «assoluta»: questa posizione è incompatibile con la possibilità stessa della scienza e, in questo caso, nulla sarebbe predicibile; nel secondo la negazione può essere relativa a qualche aspetto della relazione causa-effetto, ma non della relazione in se stessa. È in quest’ultimo senso che si parla di indeterminismo in fisica. In tal caso la predicibilità è solo probabilistica per ciò che riguarda questo aspetto casuale, mentre è deterministica per tutto il resto.
In questo secondo caso si può ritenere che l’indeterminismo sia una legge di natura del mondo fisico, e allora non c’è motivo per cercare una teoria che lo rimuova dalla scienza; (indeterminismo teorico); oppure derivi da un limite della nostra conoscenza. E questo può dipendere dai due seguenti fattori: si può ritenere che esso sia dovuto agli apparati sperimentali e alle operazioni di misura (indeterminismo sperimentale); si può generare indeterminismo per la impossibilità pratica di compiere un numero troppo grande di calcoli. Allora si ricorre a metodi statistici che comportano di conseguenza la possibilità di previsioni solo probabilistiche (indeterminismo statistico).
Oltre il riduzionismo concettuale: verso l’analogia
Da un certo momento in poi, con la messa in discussione del metodo riduzionista, con lo studio dei sistemi dinamici non lineari dissipativi e con la tematizzazione della complessità, la nozione di causalità ha incominciato a manifestarsi anche agli occhi degli scienziati non solo per il suo aspetto meccanico di «azione efficiente», ma anche come «relazione d’ordine».
Si incomincia in tal modo ad accorgersi che, anche nelle scienze, vi sono delle nozioni che non possono essere ri(con)dotte a una definizione «univoca», ma necessitano di essere associate a più concetti tra loro irriducibili, pur essendo imparentate tra loro da qualcosa che le accomuna profondamente.
Ci troviamo davanti alla riscoperta dell’antica nozione di «analogia» da parte delle nostre scienze(2). Si tratta di una questione che non coinvolge solamente la causalità, ma più in generale la struttura dell’ente in quanto tale, sia dal punto di vista della logica sia della realtà fisica.
In quest’ultima parte ci limiteremo ad accennare ai diversi modi (analogia) di attuarsi della causalità, per illustrare, almeno sommariamente, questo nuovo aspetto dell’andare «oltre il riduzionismo» da parte delle scienze. Approfondimenti si potranno trovare nella bibliografia richiamata nelle note.
Analogicità della nozione di causalità
La relazione d’ordine introduce, con la dipendenza, una «priorità» di un ente (che viene così a presentarsi come «causa») rispetto a un altro ente (che viene a presentarsi di conseguenza come «effetto»), che può essere anche di natura non temporale, riguardando l’informazione che governa la struttura d’insieme di un sistema, organizzandola a partire da un’origine in vista di una finalità.
Questo passaggio costituisce un notevole elemento di sblocco in vista di un approfondimento della comprensione della causalità in prospettiva metafisica anche da parte delle scienze.
Il problema dell’origine
Un primo criterio di ordinamento causale compare nel problema della ricerca dell’origine. Se questa viene intesa in senso «temporale», in riferimento a un evento particolare, l’origine risiede, per il singolo processo evolutivo, nelle sue «condizioni iniziali», così come si intendono nella fisica che conosciamo. Quando, poi, a essere esaminato è l’universo fisico come tale, abbiamo il problema dei cosiddetti «primi istanti dell’Universo». Ma si può parlare di origine anche in un senso «non temporale».
La causalità nei suoi aspetti non temporali non è mai stata evidente ai fisici, come lo è, per esempio, per i logici, per i quali a essere rilevante non è il tempo, quanto lo è la «consequenzialità», cioè quel nesso di implicazione per cui le premesse «causano» (originano) formalmente la conclusione; o per i matematici per i quali l’ordinamento di una successione è dovuto a «relazioni d’ordine» (come quella di «maggiore» o «minore» tra numeri, o più in generale di «antecedente» e di «successore») che sono relazioni atemporali.
L’aspetto non temporale della causalità formale fa la sua comparsa, anche nel mondo fisico, chimico e biologico con l’analisi della considerazione del «tutto» nella sua struttura d’insieme (come abbiamo visto nella prima parte) e del punto di vista dello scopo (finalità) che sta alla sua origine e orienta il suo evolvere. Qual è il principio causale (originante) che fa di un «insieme di parti» un «tutto» e non un altro: per esempio un Universo in cui possa comparire la vita? In questa direzione si muovono, tra l’altro, anche le considerazioni relative al «principio antropico»(3).
Il problema della finalità
E così anche la finalità fa ormai la sua comparsa legittima nel mondo fisico, chimico e biologico da diverso tempo. Non la si teme più come un elemento vitalistico o addirittura spiritualistico, in quanto incomincia ad essere presente sia nella formulazione matematica delle leggi di natura, (come accade da molto tempo, per esempio, con i principi variazionali), e in una certa formulazione delle leggi della termodinamica, sia nella struttura e nella dinamica della materia vivente che è capace di organizzarsi al fine di compiere delle operazioni con uno scopo (nutrizione, riproduzione, locomozione, apprendimento, eccetera).
Il livello più elementare della finalità, in senso temporale, appare come rovesciamento del problema dell’origine. Infatti, la dinamica dei sistemi consente sempre di assegnare le condizioni finali del moto, in luogo di quelle iniziali, ricostruendo queste ultime dalle prime (come accade quando si affronta il problema balistico, nel quale è il bersaglio finale ad essere assegnato per primo). Inoltre ci sono situazioni, nella meccanica non lineare, in cui certe condizioni finali (note come «attrattori») vengono raggiunte a partire da qualunque condizione iniziale si parta entro una certa regione dello spazio degli stati del sistema (che per questo prende il nome di «bacino di attrazione»).
Nella considerazione dell’Universo fisico nella sua totalità, il problema delle origini viene capovolto nel problema del destino dell’Universo nel tempo. È una questione che riguarda la cosmologia altrettanto quanto quello dei primi istanti dell’Universo.
Il problema dell’organizzazione
Lo studio dei sistemi complessi, strutturati secondo «livelli di organizzazione» (a cominciare da quelli più semplici che emergono nella termodinamica del non equilibrio), mette in evidenza una «gerarchia» di tipi diversi dei livelli «irriducibili» che sembra proprio aprirsi al concetto aristotelico-tomista di analogia.
Questi livelli differenziati e irriducibili secondo i quali si organizza (si «attua») la struttura di un ente fisico, chimico, biologico, si presentano come un primo manifestarsi – nelle scienze – dei modi differenziati con cui si attua l’ente aristotelico (analogia entis).
Il fondamento (causa dell’essere)
Il traguardo più avanzato si trova nel cosiddetto «problema dei fondamenti», che per ora viene posto, come tale, solo sul versante dell’«ente di ragione» (cioè in ambito logico-matematico) e non ancora a proposito della causa dell’«ente reale» (metafisica). E già sul versante della logica-matematica si possono fare delle riflessioni assai interessanti(4). Per esempio: su come effettuare il passaggio dalla teoria degli insiemi alla teoria degli enti, ovvero a quella che oggi va sotto il nome di «ontologia formale».
In conclusione
Per terminare riassumiamo sinteticamente alcune osservazioni che possono aprire utilmente la strada a un vero e proprio percorso di ricerca, e che, in ogni caso, possono aprire anche prospettive didattiche orientate a una visione di sintesi del pensiero e a una prospettiva di unità del sapere.
In tutte le scienze sembra comparire una «struttura gerarchizzata» di «informazioni» legate al grado di complessità e quindi di unitarietà della struttura chiamata in causa.
Nell’ambito della filosofia aristotelico-tomista, il principio unitario di un ente è la «forma» (oggi verosimilmente imparentata con l’«informazione»). Anche se non è ancora chiaro il percorso che faranno le scienze, sembra abbastanza indicativo lo spostamento dallo schema univocista del riduzionismo verso quello di una nuova visione analogica più soddisfacente.
Ormai assistiamo, curiosamente, a un interessante mutamento, a causa del quale la stessa matematica, e con essa le altre scienze, sembrano mostrare un concreto interesse verso un ampliamento della razionalità che apre loro l’orizzonte, finora disdegnato, della «analogia» dell’ente.
Si sta aprendo, come già nell’antichità, un passaggio dalle scienze della natura e dalle scienze logico-matematiche a una scienza dei loro «fondamenti logici e ontologici», come anticamente avvenne nel passaggio dalla visione dei filosofi ionici, dei pitagorici, passando per Parmenide, Eraclito e Platone per giungere alla sintesi aristotelica.
Non abbiamo, dunque, che da augurarci «buon lavoro»!
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Alberto Strumia
(Professore ordinario di Meccanica razionale presso l’Università di Bari – Vicedirettore del Portale di Documentazione interdisciplinare di scienza e fede)
Note
Cfr. ad esempio, Somma teologica, I parte, q.84
A proposito della riscoperta dell’analogia da parte delle scienze posso rimandare alla mia voce Analogia nel Dizionario interdisciplinare di scienza e fede, già citato, (vol. 1, pp. 56-70, on line all’indirizzo web www.disf.org/Voci/29.asp).
Inoltre si può vedere, A. Strumia, Le scienze e la pienezza della razionalità, già citato, pp. 62-68.
Sull’analogicità della nozione di «classe» nella teoria degli insiemi J. Bochenski osserva come «incidentalmente va sottolineato che gli autori dei Principia Mathematica [Russell e Whitehead] hanno fatto uso della traduzione esatta di aequivocatio a consilio quando hanno coniato l’espressione «ambiguità sistematica». Infatti essi stavano trattando dell’analogia» (J. Bochenski, Sulla analogia, in G. Basti, A. Testi (edd), Analogia e autoreferenza, Marietti 1820, Genova-Milano 2004, p. 141).
Sull’analogia in matematica e il passaggio da una «teoria degli insiemi» a una «teoria degli enti» si veda il mio volume Il problema dei fondamenti. Un’avventurosa navigazione, già citatoA proposito del principio antropico si può vedere utilmente l’omonima voce di G. Tanzella-Nitti nel Dizionario interdisciplinare di scienza e fede, vol. 1, pp. 102-120, on-line all’indirizzo web www.disf.org/Voci/31.asp
Cfr. il mio tentativo Il problema dei fondamenti, Un’avventurosa navigazione, già citato, ove sono citati studi di diversi autori impegnati in questa direzione di ricerca.
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