L’Associazione Ma.P.Es. (Matematica Pensiero Esperienza), in collaborazione con l’Associazione Diesse (Didattica e Innovazione Scolastica), ha organizzato l’annuale Seminario (rivolto in particolare agli insegnanti di scuola primaria), intitolato Imparare è un’esperienza, tutto il resto è solo informazione, che si è svolto il 24 giugno 2013, presso l’Università Cattolica di Milano.
L’argomento è stato impostato e analizzato in modo articolato da Anna Paola Longo (Politecnico di Torino, presidente del Comitato scientifico del Ma.P.Es.) e da Francesca Beretta Piccoli (insegnante, coordinatrice didattica per la matematica della scuola primaria “Il Piccolo Principe” di Lugano).
Per meglio approfondire e ampliare le prospettive e le implicazioni culturali e metodologiche del rapporto tra esperienza e apprendimento, è stata invitata Ana Millan Gasca, docente di Matematica e Storia della Matematica, presso Scienze della Formazione Primaria dell’Università Roma Tre.
Nella relazione:L’esperienza e la matematica: bambini e insegnanti apprendono, Francesca Beretta Piccoli ha documentato, tramite esempi di attività didattiche, come non solo il bambino ma anche l’insegnante possa avere l’opportunità di continuare ad apprendere, e Anna Paola Longo (in una sorta di duetto, all’interno della stessa relazione) ha indicato le condizioni ottimali per l’accadere del «miracolo» dell’imparare.
Si impara se c’è esperienza, ma si può parlare di «esperienza» solo se l’azione diretta sulla realtà concreta è accompagnata da un «giudizio» e da una «valutazione» che aiutino a comprendere il «significato» più profondo di ciò che è successo. È stato documentato come anche un bambino possa seguire questo percorso di tipo intellettuale, accompagnato accortamente dall’insegnante. Per chiarire questo punto Francesca Beretta Piccoli ha spiegato che per esempio, per quanto riguarda il «giudizio», un bambino sa scegliere l’operazione con cui risolvere un problema non se è esperto nei calcoli, ma se conosce il significato delle operazioni. Non è utile sperare che i bambini imparino attraverso un accumulo indiscriminato di fatti e sensazioni, oppure attraverso attività che li «facciano divertire». È necessario invece che l’insegnante favorisca il lavoro personale, non si sostituisca in nulla al bambino, non butti via nulla, ma valorizzi tutto: scritti, parole, disegni; anche gli errori possono essere utilizzati in funzione positiva. Infine, nel colloquio personale l’insegnante guida ogni bambino a una presa di coscienza del lavoro fatto (ed è in questo che l’esperienza comincia a prendere consistenza come fatto importante che conduce all’apprendimento), mentre nella riflessione guidata di tutta la classe, l’esperienza viene controllata, condivisa, giudicata, vagliata, corretta.
Ciò che si è detto per il bambino, ha riflessi analoghi sul versante dell’insegnante, a cui sono stati dati alcuni suggerimenti. Innanzi tutto quello di imparare a osservare ciascun bambino, per cogliere tutti gli aspetti del suo lavoro, cercando di capirne le ragioni. Il secondo importante suggerimento è quello di imparare a prendere nota di ogni particolare del modo di lavorare di ciascun bambino, a prendere appunti, anche con l’aiuto di registrazioni e trascrizioni. Poi, poiché anche per l’insegnante il punto qualificante è «prendere pienamente coscienza» del lavoro fatto, è necessario l’impegno costante a scrivere una sorta di «diario di bordo».
Con questo strumento è più facile memorizzare esattamente parole e atteggiamenti del bambino e descrivere i suoi disegni, mantenendo separati i fatti dalle interpretazioni, che anzi vanno confrontate con qualcuno che, avendo una preparazione più ampia, possa essere una guida. In questo modo il lavoro diventa esperienza anche per l’insegnante e si concretizza l’opportunità di continuare a imparare sia sul versante della didattica, che sul versante della competenza disciplinare. Questo processo non è un’utopia, ma sta alla base dell’esperienza di formazione condotta da alcuni anni dall’Associazione Ma.P.Es.
Dopo le prime due relazioni, Ana Millan Gasca, come un torrente in piena, ha presentato un’affascinante lezione sul tema Ritrovare oggi il ruolo formativo della matematica: nodi culturali e didattici. La relatrice si è riallacciata a quanto detto in precedenza, proponendo una visione della matematica elementare, i cui temi sono visti in collegamento all’esperienza e all’agire umano, tra la vita contemplativa e la vita attiva. Spiegare e imparare matematica non è una questione tecnica, ma culturale. Nella scuola italiana è necessario e urgente riprendere la consapevolezza del ruolo della matematica nella formazione, così come è stato a partire dalla cultura greca e ribadito nell’Illuminismo. Ma anche oggi, nelle riflessioni di molti studiosi che hanno uno sguardo particolarmente attento verso i giovani, si rinnova l’invito a valorizzare il carattere formativo della matematica, e a non accantonare il ruolo dell’insegnante, oltre che a non dare credito a un potere taumaturgico delle tecnologie.
Adriana Davoli
(già docente presso la SSIS dell’Università Cattolica di Milano, membro del Comitato scientifico dell’ Associazione Ma.P.Es. – Matematica Pensiero Esperienza)
© Pubblicato sul n° 50 di Emmeciquadro