Una incredibile varietà di prodotti è composta o contiene materiali plastici, dagli pneumatici, ai caschi per lo sci, ai tessuti, ai sacchetti biodegradabili (per non parlare di penne a sfera, cellulari, computer e via dicendo). Tutti questi materiali hanno in comune il fatto di essere costituiti da polimeri, ricavati dagli idrocarburi o più di recente direttamente da materiali biologici (biopolimeri). L’autore con estrema precisione e chiarezza ricostruisce la storia della scienza e della tecnologia dei polimeri che ha avuto un importante contributo dalla ricerca italiana, con il conferimento del Premio Nobel per la Chimica, nel 1963, a Giulio Natta del Politecnico di Milano. Con una particolare attenzione ai più recenti sviluppi e uno sguardo al futuro.
Ogni giorno della nostra vita tocchiamo e utilizziamo materiali cosiddetti plastici per le nostre comuni attività. Il loro impiego è cosi diffuso da competere sempre di più con materiali scoperti e utilizzati dall’uomo molti secoli prima, come il legno, i materiali ceramici, le fibre naturali e i metalli. I materiali plastici hanno in comune con questi ultimi la possibilità di essere forgiati in molte forme diverse, seguendo facilmente la fantasia della progettazione. In questo senso essi sono plastici e possono assumere la forma desiderata per fusione, cioè riscaldamento e raffreddamento, come i metalli, ma a temperature ben più accessibili che per i metalli. Essi possono assumere la forma di fili e fibre quanto di oggetti complessi, trasparenti o colorati nei modi più svariati, essere compatibili con applicazioni mediche ed essere autosterilizzanti. Non vi sarà difficile trovare gli esempi intorno a voi in questo stesso momento, come cellulari, computer, occhiali, lenti, arredi (dalla moquette, ai rivestimenti, alle sedie e tavoli …) fino alle semplici penne a sfera.
Ma essi si trovano nascosti in altri materiali in modo inaspettato e spesso insospettabile, come negli intonaci, nei cementi, in tutta l’edilizia in genere, e in molti ceramici domestici per diminuirne la fragilità. Sono la matrice per i compositi di fibre di carbonio e di vetro per lo sport, nei caschi e negli sci, negli elicotteri, nelle automobili e nelle moto, perfino nel cofano motore e nei vetri dei parabrezza. Parenti prossimi dei materiali plastici, «plastomeri», sono le gomme (chiamati «elastomeri» per le loro proprietà di elasticità) che sono diventati insostituibili nella vita attuale. Molti materiali gommosi non esistevano in passato, come gli pneumatici, ma molti altri presentano innovative proprietà di assorbimento degli urti anche in materiali semirigidi e nell’abbigliamento.
Tutti questi materiali hanno in comune di essere costituiti da polimeri, cioè da lunghe catene di atomi, spesso di carbonio e idrogeno, ma anche di silicio e ossigeno, che conferiscono la tenacia e la flessibilità tipica delle vere e proprie catene o collane macroscopiche, che sono appunto flessibili ma tenaci alla trazione. Quindi si direbbe che questa vasta produzione di materia fruibile nella vita di tutti i giorni ha a che vedere con aspetti pratici e con la produzione industriale di prodotti chimici. Cosa ha allora da spartire tutto ciò con la cultura scientifica?
La scienza delle macromolecole
In realtà tutto questo fa parte di una affascinante evoluzione di conoscenze fondamentali avvenuta in tempi relativamente recenti, addirittura più recenti della fisica nucleare. Tuttavia, al contrario di quest’ultima, le pietre miliari e i contributi dei grandi uomini che ne hanno determinato il progresso è in gran parte oscuro ai giovani, anche se la scienza dei polimeri ha capillarmente modificato la nostra vita. Infatti, la scienza delle grandi molecole polimeriche (macromolecole) su cui i materiali plastici si basano, è una scienza relativamente giovane. Benché sostanze polimeriche naturali e sintetiche fossero conosciute da lungo tempo, prima del 1930 non era per nulla noto che essi fossero formati da molecole allungate e filiformi come catene.
In quegli anni Hermann Staudinger (1881–1965) svelò il mistero che le proprietà uniche e la loro diffusione in natura per le funzioni più sofisticate fosse dovuta a questo aspetto della struttura chimica che riguarda la loro alta massa molecolare. Da allora esse furono chiamate macro-molecole, ovvero dal greco antico «grandi molecole».
Moltissime sostanze macromolecolari mai viste prima furono sintetizzate da allora fino ad oggi in modo artificiale. Ma il grande risveglio si realizzò durante e dopo la seconda guerra mondiale e trasformarono i decenni successivi nell’era della plastica. Se si va a rivedere il film di culto con Dustin Hoffman, Il laureato, che ha segnato un’epoca di vitalità e di rinnovamento, il protagonista è ossessionato dal padre industriale che grandi guadagni avrebbero potuto essere fatti con la produzione della plastica e il povero ragazzo fu costretto a presentarsi vestito di tutto punto da subacqueo (completamente di materiali polimerici) a una festicciola domestica. A parte la giusta ribellione del ragazzo per l’umiliazione subita, dal punto di vista del puro profitto il padre aveva proprio ragione e gli anni successivi furono un continuo pullulare di nuovi prodotti. Uno di questi, il Moplen, che si usa ancora oggi per molteplici manufatti con vari nomi commerciali, fu protagonista di un grande successo dell’industria italiana e ha simboleggiato la rinascita industriale del dopoguerra, come ricorda una famosa pubblicità dei primi tempi delle trasmissioni televisive. La storia di questa invenzione italiana, cioè quella del polipropilene, ha ancora attualmente una enorme valenza pratica e, come vedremo, anche intellettuale. Diversi chili di questa materia plastica (il polipropilene) e dei suoi derivati sono infatti prodotti a partire dal petrolio per ogni abitante del pianeta. Questo straordinario impatto origina da una scoperta scientifica del 1954 e in particolare da una osservazione che la struttura della catena polimerica nella suo sviluppo spaziale gioca il ruolo principale
Struttura spaziale delle materie plastiche amorfe
Nelle eccezionali proprietà dei materiali polimerici.
Il superiore grado di ordine delle catene si ripercuote sulle proprietà di resistenza alla temperatura e agli sforzi meccanici. Fino a questa scoperta i polimeri sintetici non potevano essere ordinati e quindi avevano proprietà di tenacità molto più scarse e applicazioni decisamente più limitate. Le gomme sintetiche usate per la trazione automobilistica esistevano ma non materiali resistenti all’impatto e agli urti violenti.
Natta e la stereochimica macromolecolare
L’importanza dell’ordine tridimensionale nella strutturazione delle catene polimeriche sintetiche fu riconosciuta da uno scienziato italiano: Giulio Natta che è nato e ha operato interamente in Italia e ha contribuito alla nascita oltre che del polipropilene di molti nuovi polimeri. Egli rappresenta un esempio di positiva storia della ricerca italiana, è riconosciuto internazionalmente come il fondatore della stereochimica macromolecolare, cioè appunto lo studio dei polimeri in tre dimensioni e della loro capacità di presentarsi così ordinati da essere aggregati in forme pure e perfette come minuscoli cristalli. Per queste scoperte ha ricevuto ampi riconoscimenti internazionali e il prestigioso premio Nobel per la chimica nel 1963. Le motivazioni per il premio presentano appunto due aspetti, l’uno sull’innovazione tecnico-industriale e l’altro concettuale, ancora più importante per l’impatto sulla futura ricerca: «La Natura sintetizza molti polimeri regolari, come la cellulosa e la gomma naturale. Fino ad ora si era pensato che questa capacità fosse un monopolio della Natura che opera con biocatalizzatori denominati enzimi, ma ora il Professor Natta ha interrotto questo monopolio». Polimeri stereoregolari erano conosciuti, ma Natta e il suo gruppo furono i primi a sintetizzarli in laboratorio e conseguentemente nell’industria.
Natta stesso racconta come la diffrazione dei raggi X fu il dato da cui fu dedotta l’dea innovativa della presenza di una elica regolare che ripete tre volte lo stesso elemento per salire di un piano, come una scala elicoidale (quella dei Musei Vaticani o del Guggenheim di New York). Una scultura che rappresenta questa struttura elicoidale si trova al cimitero di Bergamo sulla tomba dove Natta è sepolto.
Natta riporta nella prolusione all’accademia di Svezia come la sua scoperta fosse scaturita dal riconoscimento di un fatto unico e sorprendente, cui seguì una ipotesi poi ampiamente verificata: «[…] l’analisi di diffrazione dei raggi X ci permise di determinare la cristallinità del nuovo polimero. Poiché tutti i polimeri vinilici
Giulio Natta (1903-1979)
Precedentemente conosciuti, anche quelli riconosciuti possedere concatenamento regolare testa-coda, come il polistirolo, erano amorfi, esaminammo la possibilità che la cristallinità che stavamo osservando fosse dovuta a una successione regolare di configurazioni steriche (cioè spaziali) intrinseche alle unità monomeriche stesse».
Questa dichiarazione descrive bene come per la scoperta sia necessaria la cultura e l’attenzione per stupirsi di un fatto e poi indagare a fondo le possibili cause di tale peculiarità. La semplice ipotesi risolutiva proposta da Natta ebbe subito vaste implicazioni sulla visione che il catalizzatore usato per formare la struttura lavori in modo accurato nella orientazione spaziale quanto gli enzimi nelle reazioni biologiche. Ciò portò a emulare gli enzimi e diede luogo a un centinaio di nuovi polimeri e metodi di polimerizzazione associati ad altrettanti brevetti.
Per comprendere il clima culturale di quegli anni e capire come la struttura del polipropilene abbia avuto una centrale significato per il progresso scientifico è stimolante osservare che la struttura a elica del DNA, la macromolecola naturale più importante per la vita, era appena stata scoperta con metodologie analoghe l’anno prima. La struttura del DNA mostra in perfetta analogia l’importanza della struttura tridimensionale, che fu trasferita da Natta nell’informazione locale di ordine. Quando egli si pose il problema di nominare le nuove strutture interpellò la moglie, insegnante di greco, e l’ordine fu battezzato «tatticità», tipica della disposizione regolare delle truppe, mentre la disposizione degli atomi dalla stessa parte furono chiamati «iso». Perciò i polimeri divennero isotattici – oltre che atattici o sindiotattici – come una nuova specificazione da allora diventata indispensabile per la definizione dei polimeri in tutto il mondo. I principali concetti sono descritti a livello divulgativo nel riferimento [1] e in modo più approfondito nel riferimento [2].
Struttura 3D di un polimero stereoregolare
I recenti sviluppi nel campo dei materiali polimerici: verso la complessità
Durante gli anni novanta la maggior parte delle famiglie di polimeri sono diventati prodotti maturi, ovvero quelli che hanno raggiunto uno stadio di sviluppo pressoché completo e sono prodotti con metodi ormai ben consolidati. Questo non significa che l’innovazione non continui verso sistemi più sofisticati e compositi e verso alcuni settori molto specializzati in cui i polimeri acquistano funzioni estremamente sofisticate e mirate.
I maggiori stimoli sociali e culturali sono venuti negli ultimi anni dal temuto esaurimento delle fonti petrolifere e per la spinta verso le fonti rinnovabili, dalle esigenze ecologiche di biodegradabilità e dagli stimoli proposti dalla medicina e dalle applicazioni speciali per alte prestazioni. A ciò si deve aggiungere la spinta verso materiali ibridi, costituiti da sostanze di natura diversa intimamente composte e costruite con processi di auto-assemblaggio molecolare e processi nano-tecnologici, cioè con controllo chimico al livello di gruppi di molecole, che tipicamente appartengono alla scala dei nanometri (miliardesimo di metro).
Cominciando da questi ultimi materiali, la miscelazione intima delle proprietà di due sostanze eterogenee tanto differenti quanto per esempio, il vetro e le sostanze organiche come le gomme, ha portato a una qualità insolita la resistenza degli pneumatici all’abrasione e a una tenuta di strada superiore. Speciali leganti come minuscole pinze fissano le catene polimeriche a particelle di silice nanometriche esaltando proprietà assenti in ciascuno dei due componenti. Ma altrettanto la costruzione di fasi eterogenee e costruite con precise gerarchie molecolari ha permesso recentemente l’uso dei polimeri all’interfaccia con giunzioni e superfici eterogenee per la sensoristica nelle celle solari. Molti nuovi polimeri sono infatti dotati della proprietà spesso comunemente sconosciute di condurre corrente elettrica e assorbire radiazioni solari per convertire questa energia in corrente. Nella sensoristica i polimeri possono essere allineati su superfici e raccogliere stimoli da molecole presenti nell’ambiente anche in trascurabili quantità, per generare un segnale elettrico o cromatico.
I polimeri biocompatibili e di origine naturale
Non tutti i polimeri biocompatibili sono necessariamente costituiti da componenti di origine naturale, ma semplicemente convivono favorevolmente con i tessuti del corpo umano o addirittura ne favoriscono la crescita o la ricostruzione. Questo avviene con il tessuto osseo o quello nervoso in modo da guidare la ricrescita corretta degli organi lesionati. L’adattamento di alcuni polimeri sintetici con l’ambiente fisiologico mediante modifiche quali la ricopertura con molecole anticoagulanti o sterilizzanti consente di realizzare protesi permanenti (per esempio valvole cardiache o vene artificiali).
Manico di rasoio ottenuto dal mais
Un posto speciale meritano quei polimeri che sono costituiti da unità di provenienza totalmente naturale e cioè estranei alla linee di trasformazione dei derivati del petrolio, ma ottenuti da estratti vegetali pur essendo fabbricati con tecnologie chimiche.
Oltre a polisaccaridi vegetali quali cellulosa derivata da amido di riso e di patata, sono stati utilizzati anche gli esoscheletri a base di chitina degli insetti e dei crostacei. I benefici di questa linea di tecnologie sono evidenti quando pensiamo ai sacchetti dei supermercati e ai numerosi contenitori alimentari a perdere. L’eliminazione dei contenitori a fine vita assieme alle componenti organiche biodegradabili è resa possibile in quanto essi sono della stessa natura e digeribili dai batteri del terreno. Le materie plastiche provenienti dal granoturco hanno fatto scalpore alcuni anni fa, ma ora sono una realtà industriale consolidata e continuamente migliorata.
I bio-polimeri sono di estrema attualità e interesse nel mercato poiché caratterizzati da prestazioni meccaniche simili ai polimeri di origine sintetica e pertanto vengono denominati «biopolimeri tecnici». La loro produzione non richiede ampio consumo di energia non rinnovabile e quindi contribuisce alla riduzione delle emissioni nocive e dei gas a effetto serra.
Compositi e nanocompositi
Una stimolante soluzione per ottenere polimeri considerevolmente rinforzati che pure mantengono un’elevata trasparenza alle radiazioni luminose è stata sviluppata negli ultimi anni grazie all’uso di additivi di dimensioni nanometriche e di natura fortemente innovativa come gli allomorfi del carbonio quali fullereni, nanotubi e grafeni. Queste sostanze sono costituite da strati di gruppi aromatici (come il benzene o la grafite) strutturati con particolari geometrie: sferiche, cilindriche o planari. Questi elementi geometrici possono avere dimensioni compatibili con le dimensioni molecolari del polimero e quindi possedere ampie superfici che interagiscono con le catene polimeriche e irrobustiscono le loro prestazioni meccaniche.
Si può pensare che in un prossimo futuro questi materiali potranno sostituire ampiamente i metalli nelle applicazioni strutturali e automobilistiche per la loro leggerezza e le straordinarie capacità di resistere agli urti e sostenere notevoli
Struttura del grafene
Carichi a flessione o a trazione. Naturalmente il limite a queste applicazioni è dovuto attualmente al costo degli additivi che, benché aggiunti in quantità ridotte (alcuni punti percentuale), condizionano fortemente il prezzo dell’addotto, cioè il «nanocomposito». Tuttavia sono state proposte già soluzioni in cui sostanze più comuni come, per esempio, argille variamente modificate che possono in ugual modo interagire con i polimeri a livello nanometrico ed essere di efficacia paragonabile alle più nobili controparti carboniose. La proprietà barriera ai gas e ai vapori è una caratteristica aggiuntiva di questi materiali di grande importanza perchè ha permesso di produrre pellicole polimeriche che possono impedire l’accesso dei gas verso gli alimenti confezionati e aumentarne la conservazione nel tempo. Nel caso del nylon 6 si ha un incremento di circa dieci volte della barriera all’ossigeno per percentuali di additivo pari a circa 6-8%.
I materiali e le fibre del futuro
Nel campo delle fibre, cioè dei polimeri che si possono filare, si presentano straordinarie applicazioni per l’abbigliamento, l’architettura di interni e l’arredamento, impensabili fino ad anni recenti. Non si tratta solo dell’acquisizione di proprietà eccezionalmente simili alle fibre già note di diversa natura ma della possibilità di ottenere alta resistenza, elasticità, cambiamento di colore e addirittura accoppiamento con fenomeni elettrici tanto da poter diventare dei portatori di immagini o dei veri e propri schermi elettronici. Una applicazione già realizzata è per esempio quella dei polimeri contenenti minuscole goccioline di idrocarburi che fondendo a determinate temperature prossime alla temperatura corporea possono assorbire o rilasciare il calore (il calore di fusione) e realizzare uno scudo termico simile ma più attivo di quello che effettuano i grassi negli animali sottoposti a temperature estreme. Questi tessuti danno la sensazione di freschezza in piena estate e proteggono dal freddo in inverno.
Molte fibre possono essere ora modificate mediante trattamenti di superficie che ne cambiano l’affinità con l’acqua che è spesso presente nel nostro ambiente e possono quindi diventare idrofobici o in altri casi maggiormente idrofili per conferire una sensazione di maggiore piacevolezza tattile. Le materie plastiche adottate per le fibre possono essere «a memoria di forma» cioè capaci di cambiare dimensioni a certe temperature e quindi cambiare la dimensione dei pori del tessuto e modulare la capacità di traspirazione secondo le stagioni o per un improvviso sbalzo climatico. Questo può essere applicato dai giubbotti alle scarpe sportive e altri accessori dello sport che tipicamente sono dei compositi strutturali estremamente complessi formati da materiali polimerici dalle proprietà molteplici: alcune parti nettamente elastomeriche, altre rigide e resistenti, altre confortevoli per essere indossate. Le fibre possono diventare simili a lane pregiate e alla seta come alcuni filati derivati dalla trasformazione del bambù. La modificazione delle superfici si spinge fino alla presenza di derivati di amminoacidi di origine marina quali estratti delle alghe, che rilasciano in maniera prolungata le loro sostanze benefiche verso la pelle garantendo effetti dermoprotettivi o addirittura cosmetici.
Polimeri autoriparanti
Considerevole interesse è nato nell’ambito dei polimeri autoriparanti cioè polimeri e compositi che possono autoripararsi in seguito a un danno subito come se fossero tessuti biologici o viventi, ma ancora più rapidi nel farlo. I materiali possono essere classificati in estrinseci e intrinseci: la prima categoria si riferisce ai materiali in cui si aggiungono degli agenti in grado di riparare il danno mentre la seconda categoria è costituita da quelli in cui la natura stessa del polimero opera la riparazione.
Nel primo caso accade che vescicole nanometriche di componenti chimici possano essere versate nelle microfratture originate dallo sforzo del polimero per resistere alla deformazione meccanica e fungere da collante (una nano-colla) capace di restaurare in pochi millisecondi ampie quantità di materiale integro. Nel caso di materiali intrinseci si tratta della potenzialità stessa della catena polimerica di riformarsi immediatamente dopo una lacerazione grazie al fatto che alcuni legami fra gli atomi sono reversibili, al contrario dei più comuni legami covalenti che, nel caso vengano scissi per la propagazione di una fenditura, non possono più riformarsi spontaneamente. L’inizio della frattura di questi materiali è quindi immediatamente interrotto dalla formazione dei legami fra gli atomi nella esatta posizione che occupavano precedentemente alla frattura. Il fenomeno può avvenire nell’ordine di frazioni di secondi tanto che il materiale plastico può essere attraversato da un proiettile, senza che immediatamente dopo si verifichi un danno, e il materiale rimane perciò sorprendentemente intatto. In qualche modo, questi materiali sono l’esatto contrario delle fibre polimeriche ad altissimo modulo che invece possono respingere l’agente meccanico che le può lacerare o assorbirne l’energia meccanica e quindi non essere trapassate.
Polimeri intelligenti che rispondono agli stimoli
I polimeri intelligenti, definiti in inglese smart polymers sono quelli che cambiano proprietà fisiche in risposta a parametri chimici o fisici dell’intorno immediato. Possono essere materiali piezoelettrici, materiali termoresponsivi, materiali a memoria di forma e materiali policromici e cromogenici. I polimeri piezoelettrici producono una differenza di potenziale elettrico quando sono sottoposti a deformazioni o modificano la loro forma sotto l’influenza di una carica elettrica. La caratteristica dei polimeri termoresponsivi è invece quella di cambiare forma in seguito alla variazione della temperatura: sono usati nella terapia e diagnosi dei tumori nonché nel rilascio controllato di farmaci. Essi possono essere rigidi in certe condizioni ma diventare flessibili quando è utile applicarli o rimuoverli, per esempio quando usati come protesi. I materiali cromogenici cambiano colore in seguito a stimoli esterni quali acidità, radiazioni luminose e cariche elettriche.
Conclusioni
I benefici raggiunti quindi fino ad oggi e le aspettative che materiali polimerici, plastici, elestomerici o fibrosi possono generare nel prossimo futuro sono quindi innumerevoli e consentono di fantasticare su tutte le applicazioni in cui alcune proprietà apparentemente lontane possono essere coniugate in un solo materiale. La adattabilità e la duttilità dei materiali polimerici associata alla versatilità sintetica pone una sfida al chimico e allo scienziato dei materiali per realizzare prestazioni sempre nuove in svariati campi. Senza la «plasticità» dei polimeri gran parte della nostra vita moderna sarebbe differente e, in considerazione della riduzione di sorgenti fossili di idrocarburi che stanno all’origine dei polimeri non-biologici, la trasformazione degli idrocarburi in materie plastiche, purché durevoli e riciclabili, rimane comunque il miglior uso di queste risorse naturali per il futuro immediato in alternativa al loro insensato consumo come combustibili per la locomozione.
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Piero Sozzani
(Professore Ordinario di Chimica delle Macromolecole presso l’Università di Milano-Bicocca)
Riferimenti bibliografici
[1] Giulio Natta, Mario Farina, Stereo-Chimica molecole in 3D, Arnoldo Mondadori Editore, Milano (1979)
[2] Mario Farina, The stereochemistry of Linear Macromolecules, Editori E. E. Eliel e S. H. Wilen “Topics in Stereochemistry” J. Wiley & Sons, New York, Volume 17, pp. 1-112 (1987)
[3] I. Hargittai, A. Comotti, M. Hargittai, Giulio Natta, Chem.&Eng.News pp. 26-28 (2003).
© Pubblicato sul n. 50 di Emmeciquadro