«Non si tratta solo di far conoscere al lettore quanto ho da dire, ma soprattutto le ragioni, i percorsi tortuosi e le occasioni fortuite da cui sono stato condotto alle mie scoperte.» Questa frase di Keplero, tratta dall’Astronomia Nova, indica uno degli aspetti più significativi del romanzo di Jean Pierre Luminet, astrofisico, direttore di ricerca del CNRS e ormai noto divulgatore e scrittore di romanzi su argomenti scientifici come quello che presentiamo.
Dalla lettura del libro emerge in primo luogo la figura di Keplero, lottatore, determinato da una passione per la verità e da una lealtà verso la realtà che non lascia indifferenti. Questo lo si può constatare, per fare alcuni esempi, quando lo si vede inseguire caparbiamente le traiettorie di Marte descritte da Tycho Brahe, fino a trovare una corrispondenza tra i dati sperimentali e le sue equazioni. O quando, per leggere correttamente le posizioni dei pianeti e delle stelle osservate da Tycho, si immerge nello studio della rifrazione e dei suoi effetti ottici legati all’atmosfera; per rispondere a una perplessità del suo assistente l’autore lo fa esclamare: «Chi ha detto di abbandonare alcunché? In natura tutto si tiene, come gli ingranaggi di un orologio si sospingono a vicenda. Ormai mi propongo di esaminare l’intero meccanismo, non solo alcune molle. Su, al lavoro, al lavoro Matthias!». Oppure quando lo si trova impegnato a verificare l’attendibilità dei risultati pubblicati da Galileo nel Sidereus nuncius, ottenuti attraverso l’utilizzo del telescopio e mentre cerca di comprendere il principio di funzionamento di questo nuovo strumento e di trovare un riscontro riguardo alle osservazioni descritte dallo scienziato pisano.
Il racconto si apre a Praga nel giorno dei funerali di Tycho Brahe, il 4 novembre del 1601. Questi, che fu l’ultimo grande osservatore del cielo a occhio nudo, spese lunghissimi anni nell’osservatorio, da lui progettato e organizzato, sull’isola di Venusia. A lui succede come mathematicus imperiale, il suo assistente Keplero. Il rapporto tra i due non fu particolarmente idilliaco. Keplero, figlio di una locandiera di Leoberg, provava una certa soggezione nei confronti del nobile Tycho, la cui imponente figura incomberà come un’ombra per il resto della sua vita, anche a causa della presenza degli eredi, da lui chiamati i tychoniani, che accamparono sempre diritti sui suoi lavori in virtù del fatto che utilizzavano i dati osservativi del loro padre o suocero.
L’altro protagonista di questa storia è Galileo. In particolare risulta molto ben delineato il rapporto tra lui e Keplero. Molte volte, guardando questi due uomini e le loro scoperte, viene da chiedersi come mai Galileo non abbia utilizzato i risultati di Keplero per giungere a una sintesi e sia stato necessario aspettare Newton. In realtà Galileo ha sempre lasciato cadere ogni tentativo di confronto intrapreso da Keplero; infatti nello scienziato pisano, che basava le sue riflessioni sulle proprie osservazioni, generava sospetto il metodo di Keplero che, nel paragone con le osservazioni, partiva da una idea matematica, suscitata da una immagine di bellezza, nata da convinzioni filosofiche, mistiche o esoteriche, come nel Mysterium Cosmographicum in cui si serve dei solidi platonici per iscrivere le sfere dei pianeti allora conosciuti.
Inoltre Galileo, che per temperamento era irruento e si creava facilmente nemici, potrebbe aver ritenuto compromettente per la sua situazione piuttosto precaria, dovuta alla sua adesione al copernicanesimo e alla sua relazione, mai regolarizzata, con Marina Gamba da cui ebbe tre figli, instaurare un rapporto epistolare con un uomo di religione protestante.
A differenza di Galileo, Keplero, sotto la protezione dell’imperatore Rodolfo II, beneficiò di una condizione privilegiata che gli permise di pubblicare nel 1609 l’Astronomia Nova che descrive un Sistema del Mondo di tipo eliocentrico in cui i pianeti compiono orbite ellittiche. Di questa libertà egli godrà per tutta la sua vita che terminerà il 2 novembre del 1630 a Ratisbona, anche se negli ultimi anni, cambiata la situazione politica del suo paese, dovrà affrontare difficoltà e pericoli per sé e per la sua famiglia.
Nel romanzo le vicende personali e familiari dei protagonisti si intrecciano con quelle politiche, dando un’idea della complessità e della delicatezza di quel momento storico, in cui i grandi mutamenti presenti in svariati campi e dimensioni della vita dell’uomo hanno prodotto forti spinte verso il nuovo. Intrighi politici, debolezze e vizi degli uomini di potere e non, vengono raccontati o accennati, ma non mancano anche rapporti di amicizia sincera e di forte simpatia umana. In questo contesto si snoda il percorso di conoscenza dei protagonisti, non sempre lineare e spesso condizionato dagli eventi, sfatando un’idea falsa di scienza asettica e spersonalizzata che purtroppo è presente nella mentalità oggi dominante.
I personaggi, finemente descritti con acutezza psicologica, sono tutti realmente esistiti a eccezione di qualche comparsa e del narratore, impersonato da un certo sir John Askew, giovane diplomatico, inviato in Europa dalla corona inglese per seguire gli interessi della nascente Compagnia della Virginia di Londra. Per poter distinguere tra la realtà storica e l’invenzione romanzesca, il testo è corredato di un’appendice in cui sono raccolte brevi note biografiche sui personaggi citati.
Il testo è accessibile a tutti e sarà sicuramente apprezzato dagli amanti dei romanzi storici. In particolare è una lettura utile per gli insegnanti di discipline scientifiche, ma può essere proposto, in alcune sue parti, anche agli studenti degli ultimi anni del liceo, per collocare in un orizzonte più ampio personaggi che altrimenti resterebbero solo nomi legati a delle formule.
Una riflessione su questo testo di Giorgio Israel, molto approfondita e interessante, è riportata su Il Foglio quotidiano – 08 dicembre 2012.




Jean-Pierre Luminet

L’occhio di Galileo

La Lepre Edizioni – Roma 2012

Pagine 416 – Euro 22,00

Recensione di Barbara Chierichetti
(Docente di Matematica e Fisica presso il Liceo Classico “G. Berchet” di Milano)

© Pubblicato sul n° 50 di Emmeciquadro

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