“for the theoretical discovery of a mechanism that contributes to our understanding of the origin of mass of subatomic particles, and which recently was confirmed through the discovery of the predicted fundamental particle, by the ATLAS and CMS experiments at CERN’s Large Hadron Collider”
Il premio Nobel per la Fisica del 2013 è stato assegnato ai fisici teorici Peter Ware Higgs e François Englert, con la seguente motivazione: «per la scoperta teorica di un meccanismo che contribuisce alla comprensione dell’origine della massa delle particelle elementari, e che di recente è stata confermata dalla scoperta della particella fondamentale, prevista dagli esperimenti ATLAS e CMS al Large Hadron Collider del CERN». Ciò significa che questa particella, appunto il bosone di Higgs o meglio il campo ad essa associato, è responsabile della massa delle particelle elementari. E senza massa il nostro Universo non esisterebbe come lo conosciamo. Le particelle elementari non potrebbero formare gli atomi.
Il bosone Higgs è veramente un elemento fondamentale dello Standard Model (SM), ovvero del modello che descrive la materia (elettroni, quark, protoni, neutroni, atomi) in termini di interazioni tra particelle e forze fondamentali. Senza il meccanismo di Higgs i bosoni W e Z, mediatori dell’interazione debole, non avrebbero la massa che è stata osservata e lo SM fallirebbe miseramente.
Bisogna dire che c’è molto CERN in questo premio Nobel, anche se è stato giusto assegnarlo ai due fisici teorici. Nella motivazione del premio è sottolineata la scoperta fatta al CERN il 4 Luglio 2012 negli esperimenti ATLAS (A Toroidal LHC Apparatus) e CMS (Compact Muon Solenoid). Senza questa evidenza sperimentale molto probabilmente non ci sarebbe stato il premio Nobel. Perché non era importante provare solo l’esistenza della particella, ma è anche stato necessario provare che essa avesse le caratteristiche del bosone di Higgs: ovvero spin 0 e accoppiamenti alle particelle elementari proporzionali alle masse.
È utile spiegare perché questa particella si chiama «bosone». Nello SM le particelle elementari costituenti la materia hanno spin semi-intero (1/2) e seguono le regole della statistica di Fermi-Dirac; per questo motivo si chiamano fermioni (sono fermioni gli elettroni, i neutrini, i quark). I fermioni interagiscono tra loro attraverso lo scambio di altre particelle che hanno invece spin intero (0, 1) e obbediscono alla statistica di Bose-Einstein, da qui il nome bosoni.
François Englert (1932 – …) – Libera Università di Bruxelles e Peter Ware Higgs (1929 – …) – Università di Edimburgo
Possiamo pensare a una sorta di filo rosso che congiunge numerosi premi Nobel per la Fisica degli ultimi anni. Filo rosso che ha come tema conduttore sempre lo SM. A volte per le previsioni teoriche, come il premio Nobel a Sheldon Glashow, Abdus Salam e Steven Weinberg nel 1979 per l’unificazione delle forze elettromagnetica e debole, a volte per i risultati sperimentali come nel caso del premio Nobel a Carlo Rubbia e Simon van der Meer nel 1984 per la scoperta dei bosoni W e Z mediatori della forza debole.
In questa sorta di collana dei premi Nobel dello SM ho contato 12 Nobel dal 1969 ad oggi: 6 teorici e 6 sperimentali, una sorta di alternanza tra previsioni teoriche ed evidenze sperimentali. I fisici teorici hanno bisogno di una grande intuizione per riuscire a inventare i loro modelli, ma un modello teorico senza la verifica sperimentale potrebbe rimanere un puro esercizio di stile. Esistono parecchi modelli che dal punto di vista formale sono molto belli ed eleganti (l’eleganza formale è un pregio in matematica e fisica), ma hanno un difetto: non sono «veri», non descrivono la realtà fisica.
Lo SM è il risultato di un grandissimo lavoro dei fisici teorici che nel corso degli ultimi decenni hanno concepito questo modello che descrive il mondo dell’infinitamente piccolo alla perfezione. Parallelamente vi è stato un lungo e duro percorso dal punto di vista della fisica sperimentale.
Si pensi che ci sono voluti quasi 50 anni per avere un acceleratore (LHC) con l’energia e l’intensità sufficiente per poter confermare l’intuizione che hanno avuto Higgs, Englert e Robert Brout (morto nel 2011) nei loro articoli pubblicati nel 1964. Sono stati necessari tutti questi anni perché il meccanismo di Higgs prediceva molte delle caratteristiche della particella, ma non la sua massa. Insomma non si sapeva proprio dove andarla a cercare!
François Englert e Robert Brout (1928 – 2011)
Prima di LHC ci hanno provato gli esperimenti condotti agli acceleratori a energia più bassa: al Tevatron del Fermilab di Batavia, al LEP (Large Electron Positron) del CERN. È stato necessario costruire LHC (Large Hadron Collider) e due giganteschi rivelatori ATLAS e CMS che sono delle vere e proprie cattedrali tecnologiche, per poter produrre l’energia necessaria alla creazione e quindi alla rilevazione del bosone di Higgs. Ciò ha richiesto un enorme sforzo fisico, intellettuale ed economico da parte di molte nazioni (e il contributo dell’Italia è stato fondamentale). Ma forse l’elemento decisivo è stata la caparbietà e la dedizione delle persone coinvolte. Penso alle migliaia di fisici, ingegneri, tecnici, studenti che hanno preso parte a questa impresa titanica dal 1998.
La scoperta del bosone Higgs è veramente un punto di svolta della fisica, così lo SM è completo.
Tutte le particelle predette sono state trovate e non sono state osservate deviazioni. Un trionfo per la fisica teorica!
Questa scoperta, però, non segna la fine della fisica delle particelle elementari. Ci sono ancora molte cose che non comprendiamo. Lo SM potrebbe essere solo una parte di una teoria più complessa, come è già capitato altre volte. Ma le osservazioni sperimentali che sono state fatte fino ad ora smentiscono questa ipotesi. Bisognerà attendere il 2015 con la ripresa del funzionamento di LHC, a una energia quasi due volte quella attuale e a una intensità maggiore, per osservare qualche eventuale effetto non previsto.
Inoltre dalla osservazioni cosmologiche e astrofisiche degli ultimi anni sappiamo che la materia visibile giustifica solo il 5% di tutto l’Universo. Circa il 27% è costituito da Dark Matter, ovvero materia che non interagisce nel modo ordinario.
Le osservazioni astronomiche delle galassie e i calcoli degli effetti gravitazionali hanno rivelato, infatti, che deve esserci più materia nell’Universo di quanto è possibile osservare. Il restante 68% è costituito dalla Dark Energy. Il nome Dark Energy indica che non sappiamo quale energia stia sostenendo il processo di accelerazione dell’espansione dell’Universo.
Ma per adesso festeggiamo il premio Nobel in Fisica a Higgs ed Englert.
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Daniele Pedrini
(Direttore INFN, Milano – Bicocca)
© Pubblicato sul n° 51 di Emmeciquadro