La bellezza dei cristalli è stata certamente un importante stimolo al loro studio, come afferma l’autore all’inizio dell’articolo. Si distinguono varie fasi dell’approccio scientifico ai cristalli. All’inizio (XVI secolo) si tratta di un’osservazione delle loro caratteristiche; a fine Settecento nasce la vera e propria Cristallografia, in grado di classificare i cristalli secondo i trentadue gruppi puntuali di simmetrie e le quattordici possibili disposizioni spaziali.
Le acquisizioni della fisica del primo Novecento hanno permesso di fare un notevole passo avanti: la determinazione della struttura dei cristalli e in seguito delle macromolecole cristallizzabili, con le tecniche diffrattometriche.
Le proprietà dualistiche onda-corpuscolo della materia hanno poi consentito di usare non solo la diffrazione dei raggi X , ma anche quella degli elettroni e, più recentemente dei neutroni, con effetti risolutivi prima impensabili: la determinazione della posizione dei singoli atomi. Infine la costruzione di cristalli sintetici che ha importanti applicazioni nella scienza dei materiali, in particolare nelle nanotecnologie, con risvolti anche nelle scienze biologiche, soprattutto nella farmacologia.
Bellezza e stupore: la bellezza è un giudizio che nasce dall’osservazione e lo stupore è il sentimento che inevitabilmente ne sgorga. Quante volte l’uomo, sotto la spinta di questo doppio fascino, ha messo in moto la sua creatività per capire la causa intima della bellezza! Osservando la meraviglia del cielo stellato si passa dal semplice uso degli occhi a quello del cannocchiale e poi si arriva a esprimere con equazioni il moto dei corpi celesti; dall’osservazione del moto delle onde nel mare o in un lago e dal loro modo di interferire con ostacoli posti a distanza periodica nasce la teoria ondulatoria della luce visibile. È stato così anche per i cristalli.
Da sempre l’uomo è stato colpito dalla regolarità delle loro forme, dalla quasi perfetta planarità delle loro superfici, dallo splendore dei colori che esse riflettono. Di qui le domande: la bellezza che osservo con i miei occhi, come è legata a ciò che sta dentro al cristallo (e che io non riesco a vedere)? l’osservazione ci dice che cristalli della stessa specie (quarzo-α, calcite, pirite…) possono esistere in diverse dimensioni e in diverse forme: ma allora, come nascono e come crescono i cristalli ?
Figura 1
A sinistra: Brillantezza e trasparenza di un cristallo di gesso CaSO4 .2H2O.
Al centro: Effetto colore su gesso naturale precipitato da una soluzione contenente deboli quantità di rame.
A destra: Cristallo di ghiaccio (neve). Il dendrite ha forma esagonale ed è popolato da microscopiche inclusioni di aria intrappolata nel cristallo cresciuto durante la nevicata.
I prodromi della Cristallografia
All’inizio è il mondo dei minerali che la fa da padrone, e in particolare di quelli utili per i mestieri, le arti e la guerra. Ma lo studio dei cristalli è ormai alle porte. Sono elencati qui, nel seguito, alcuni tra i pionieri di questo lungo cammino.
Vannoccio Biringuccio (1480-1539?), maestro artigiano nella fusione e nella metallurgia del XV e XVI secolo.
Il suo testo De la Pirotechnia (1540) è il primo trattato al mondo sulla metallurgia: oro, argento, rame, piombo, stagno e ferro, di cui viene evidenziata la cristallinità. La stima per il lavoro di Biringuccio giunge fino a colui che è considerato il padre della mineralogia, Georg Bauer (Georg Agricola,1494-1555) il quale lo cita nell’introduzione alla sua più importante opera, il De Re Metallica (1556), considerato il documento classico sulla metallurgia, rimasto insuperato per due secoli.
Johannes von Kepler (Giovanni Keplero, 1571-1630), astronomo, matematico, musicista ed ecclesiastico luterano tedesco.
Propone un modello che spiega la formazione dei dentriti di neve (si veda la Figura 1) mediante l’impacchettamento di sfere esagonali (di acqua) aventi uguali dimensioni (Strena seu de nive sexangula – 1611).
Christiaan Huyghens (1629-1695), matematico, astronomo e fisico olandese.
A lui si deve la teoria ondulatoria della luce, formulata nel 1678 e pubblicata nel 1690 (Traité de la lumière). La luce viene vista come un’onda che si propaga (in maniera del tutto analoga alle onde del mare o a quelle acustiche) in un mezzo, chiamato etere, formato da microscopiche particelle elastiche, che si supponeva pervadere tutto l’Universo. Vennero così spiegate la riflessione e la rifrazione. Ciò che è ancora più sorprendente fu la spiegazione di un fenomeno ottico osservabile solo nei cristalli: la «birifrazione». Se prendiamo una lamina di sfaldatura ottenuta da un cristallo trasparente di calcite (CaCO3), e cerchiamo di osservare attraverso di essa una linea stampata su un foglio, osserveremo due linee (invece di una sola, come succederebbe se la lamina fosse di vetro). Ciò significa che il cristallo sdoppia l’immagine e quindi che un raggio di luce, passando attraverso il cristallo, si rifrange in due raggi che viaggiano in direzioni diverse: questa è la birifrazione. Essa è la prova che, mentre il vetro è un mezzo isotropo (proprietà uguali in tutte le direzioni), il cristallo è anisotropo (proprietà che variano con la direzione).
Robert Hooke (1635-1703), fisico, biologo, geologo e architetto inglese.
Grazie ai nuovi microscopi da lui costruiti, elaborò modelli pionieristici per dedurre dalla forma dei cristalli macroscopici le disposizioni interne delle particelle (sferiche) che li costituiscono (Micrographia, or Some physiological descriptions of minute bodies made by magnifying glasses: with observations and inquiries thereupon – 1665).
Domenico Guglielmini (1665-1710), matematico, chimico e medico.
Fu il primo a interessarsi della cristallizzazione dei sali, e mostrò come gli angoli formati dalle facce omologhe dei cristalli ottenuti in laboratorio siano costanti (anche per cristalli a livelli microscopici) e come una stessa sostanza presenti sempre una forma cristallina costante. Egli attribuì queste caratteristiche all’esistenza di forze molecolari, con leggi invariabili e costanti. (Riflessioni filosofiche dedotte dalle figure de’ sali dal dottore Domenico Guglielmini espresse in un discorso recitato nell’Accademia filosofica esperimentale di monsig. arcidiacono Marsigli la sera delli 21 marzo 1688, in Bologna: per gli eredi d’Antonio Pisarri – 1688).
Niels Stensen (Nicola Stenone, 1638-1686).
Partendo da misure compiute su cristalli di quarzo, enunciò la prima legge della cristallografia: gli angoli tra le facce omologhe di cristalli dello stesso tipo sono indipendenti dalle dimensioni assolute dei cristalli stessi (De solido intra solidum naturaliter contento dissertationis prodromus, Firenze, 1669). Tale legge che prese il nome di «legge della costanza dell’angolo diedro» venne poi generalizzata a tutte le specie cristalline, grazie agli studi sistematici di Jean-Baptiste Louis Romé de L’Isle (1736-1790). L’opera fondamentale di Stenone sui cristalli non si esaurisce qui: egli intuisce che i cristalli minerali, a differenza di ciò che avviene nel mondo animale e vegetale, crescono grazie all’aggiunta di particelle che provengono da un fluido esterno ai cristalli stessi. Egli non sa spiegare come e perché si formi un microscopico germe iniziale, ma ipotizza che, dopo la sua formazione, la crescita avvenga per sovrapposizione di particelle sulle microfaccette già esistenti del cristallo-germe stesso. Inoltre la velocità di crescita non è uguale per tutte le facce: per esempio, nei cristalli di quarzo, è il rapporto tra la velocità di crescita delle facce di piramide e quella delle facce del prisma che determinerà la forma finale dei cristalli (tozza o allungata). È quindi a questo genio danese, naturalista, geologo, anatomista, che fu inoltre anche vescovo e vicario apostolico nella Germania settentrionale, che noi dobbiamo il concetto di «anisotropia nello stato solido», che distingue i cristalli da qualsiasi altro stato di aggregazione della materia. La Cristallografia ha quindi ragione di andar fiera di annoverare tra i suoi fondatori anche un Beato: infatti Stenone assurse agli onori degli altari nel 1988, per volontà del Beato Karol Woitiła (Giovanni Paolo II).
La pietra angolare della Cristallografia
La Cristallografia diventa disciplina quantitativa 240 anni fa, quando l’abate onorario della Cattedrale di Notre Dame, René Just Haüy (1743-1822) pubblica l’Essai d’une théorie sur la structure des crystaux, (1784). Egli parte dall’osservazione che dalla sfaldatura successiva dei cristalli nascono frammenti di taglia sempre più piccoli la cui forma è identica a quella del cristallo originale.
Dall’osservazione nasce un’intuizione che sconvolgerà il modo con cui gli uomini concepiranno lo stato solido nei secoli futuri:
- in ogni cristallo esiste una particella (une molécule intégrante) dalla cui forma dipenderà la forma esterna del cristallo;
- tali particelle si ripetono in modo periodico in tre direzioni dello spazio tridimensionale.
L’idea di Haüy non era perfettamente coerente, ma conteneva in sé un principio rivoluzionario che legava la forma del cristallo al suo contenuto: la materia che costituisce un solido cristallino non è distribuita in modo continuo, ma discontinuo (discreto) e periodico.
Le conseguenze di tale distribuzione sulla forma esterna del cristallo sono impressionanti: le posizioni relative delle facce che limitano il cristallo saranno esprimibili non mediante numeri reali qualsiasi, ma mediante soli numeri interi (legge di Haüy, o dell’interezza degli indici delle facce cristalline); la morfologia di un cristallo non potrà essere dotata di una simmetria totale (come lo sono un gas o un liquido), ma sarà descrivibile con un numero limitato di elementi di simmetria (piani di riflessione, assi di rotazione, centri di simmetria) i quali, a loro volta, sono sottoposti a un numero ben definito di regole che ne condizionano la posizione relativa.
Figura 2
Disegni originali di Haüy, in cui si mostra come le forme di un cristallo possano essere generate dalla somma di microscopiche unità (molecole integranti).
A sinistra la molecola integrante, di forma romboedrica, genera due tipi di romboedri.
A destra la molecola integrante, di forma cubica genera facce di cubo (esaedro) e di tetracis-esaedro.
Un allievo di Haüy, Gabriel Delafosse (1796-1878) perfezionò l’intuizione del maestro, dimostrò che è necessario distinguere fra «molecola integrante» e «molecola chimica» e fu il primo a proporre sia il concetto di «cella elementare» (nel 1840) che quello di «reticolo cristallino».
La legge di Haüy fu utilizzata nel 1830 dal fisico tedesco Johann Friedrich Christian Hessel (1796-1872) per determinare il numero delle possibili combinazioni tra assi di rotazione, piani di simmetria e centri di simmetria. Esse sono solo 32 e prendono il nome di «gruppi puntuali» (gruppi di elementi di simmetria che passano tutti attraverso un punto).
Figura 3
A sinistra: esempio dei soli assi di rotazione consentiti dalla simmetria dei cristalli.
A destra: i 14 reticoli di Bravais, in ordine crescente di simmetria, dall’alto verso il basso.
Essi sono raggruppati nei sette sistemi di simmetria: triclino (1), monoclino (2), ortorombico (4), tetragonale (2), trigonale-esagonale (1), trigonale-romboedrico (1), cubico (3).
Il francese Auguste Bravais (1811-1863) descrisse le 14 possibili disposizioni di punti nello spazio per formare celle elementari di una struttura cristallina nei sistemi tridimensionali; queste 14 figure sono oggi note come reticoli di Bravais (Etudes cristallographiques. Part 1: Du cristal considéré comme un simple assemblage de points, Paris, 1849).
Figura 4
Le 5 possibilità di disporre punti nel piano per formare celle elementari di una struttura cristallina bidimensionale
(Reticoli cristallini bidimensionali. 1: obliquo; 2: rettangolare primitivo; 3: rettangolare centrato; 4: esagonale; 5: quadrato).
Dai risultati di Hessel e Bravais ebbero origine gli studi del cristallografo russo Evgraf Stepanovič Fëdorov (1853-1919) e del matematico tedesco Arthur Schoenflies (1853-1928) che predissero in maniera indipendente (nel 1890) il numero delle possibili combinazioni tra i 32 gruppi puntuali e le traslazioni nello spazio 3D compatibili con i 14 reticoli cristallini di Bravais: tali combinazioni risultarono essere limitate a 230 e presero il nome di gruppi spaziali.
In altre parole, tutti i cristalli che noi osserviamo, di qualunque sostanza essi siano composti, qualunque sia la loro forma e dimensione, sono sottoposti a una legge ferrea: i loro costituenti (atomi, ioni, molecole) si dispongono secondo uno dei 230 gruppi spaziali. Per esempio, il cristallo di cloruro di sodio (NaCl) si disporrà secondo un reticolo cubico (F, si veda la Figura 3) e la sua cella elementare avrà come elementi di simmetrie: 4 assi di rotazione di ordine 3, 3 assi di ordine 4, 3 piani di riflessione principali e 6 piani di riflessione diagonali.
Grazie a queste nuove conoscenze, durante il XIX secolo vennero descritte minuziosamente, nelle loro proprietà macroscopiche chimiche e fisiche (e quindi classificate) migliaia di specie cristalline, appartenenti tanto al mondo dei minerali naturali, quanto a quello delle sostanze inorganiche e organiche prodotte in laboratorio. Ma nessuna nuova conoscenza veniva intanto acquisita sulla disposizione delle specie chimiche interne ai cristalli: sembrava che il tempo si fosse fermato alla visione geometrico-reticolare di Haüy e Bravais. Max von Laue (1879-1960), giovane fisico tedesco che vive in questo ambiente, effettua una tesi di dottorato sull’interferenza delle onde elettromagnetiche con la materia condensata e si pone la domanda di cosa potrebbe succedere se una radiazione, di lunghezza d’onda sconosciuta (i raggi X, scoperti da Wilhelm Conrad Röntgen nel 1895) interferisse con i cristalli, la cui natura interna è a sua volta sconosciuta, ma di cui erano noti, per via teorica: periodicità, ordine e probabili valori delle distanze medie tra gli atomi e tra i piani reticolari.
Nel 1912 Walter Friedrich e Paul Knipping, su progetto di Laue, osservarono la diffrazione dei raggi X da parte di un cristallo di solfato di rame. Ecco l’ipotesi di lavoro di Laue: se la radiazione X ha una lunghezza d’onda confrontabile con le dimensioni delle celle elementari dei cristalli, allora ci sarà interferenza onda-materia e quindi diffrazione. Da questo punto in poi la nostra concezione dello stato cristallino non sarà più come prima: l’anno seguente, William Henry Bragg e suo figlio William Lawrence, condensano le equazioni di Laue nella semplice e famosa legge di Bragg:
nλ = 2d senθ,
Dove n è un numero intero, λ è la lunghezza d’onda della radiazione (fotone) usata, d è l’equidistanza periodica tra i piani reticolari su cui i raggi fanno interferenza e θ è l’angolo di diffrazione dei raggi stessi.
Figura 5
La geometria della legge di Bragg: affinché la differenza di fase tra i raggi in arrivo sul campione cristallino (a sinistra) e quelli diffratti (a destra) sia nulla, è necessario che la differenza di cammino tra i due raggi (2δ = 2dsenθ) sia multipla di una lunghezza d’onda (nλ). Da questa relazione, di cui si conosce λ e si misura θ, si può ricavare la distanza d tra i piani reticolari.
L’uso di questa legge ha consentito, nell’arco di un secolo, di conoscere la struttura:
- di tutti i cristalli dei minerali finora scoperti e di migliaia di cristalli inorganici sintetici;
- di migliaia di sostanze organiche naturali e sintetizzate in laboratorio (quanti farmaci sono cristallini…);
- di molecole strategiche per la vita, quali le proteine (Linus Pauling pubblicò nel 1951 il suo modello 3D delle eliche alfa presenti all’interno delle proteine) e il DNA (la cui struttura a doppia elica fu pubblicata nel 1953 da James Watson e Francis Crick in seguito alle basi poste da Maurice Wilkins e Rosalind Franklin. (L’esclusione della Franklin dal premio Nobel 1962 è dovuto alla sua morte di cancro nel 1958, probabilmente a causa delle radiazioni a cui i suoi studi l’avevano lungamente sottoposta).
Vent’ anni dopo la rivoluzione di Laue, nascono nuove tecniche di indagine diffrattometrica sulla materia cristallina: all’impiego dei raggi X viene affiancano l’uso di particelle elementari, giocando sul principio enunciato da Louis de Broglie (1892-1987): a un corpo avente quantità di moto p = mv è associata un’onda di lunghezza λ = h / (mv).
Figura 6
A sinistra: cristalli di BaCO3 cresciuti da soluzione acquosa (Foto SEM);
Al centro: gli stessi cristalli visti al TEM: si nota l’immagine dei piani reticolari paralleli ed equidistanti tra loro;
A destra: ordine reticolare sulla superficie di un cristallo di Silicio. Notare i singoli atomi e il disegno della cella elementare 2D.
A un elettrone, di massa me= 9.11×10-31 kg e di velocità 106 m/s, è associata una lunghezza d’onda λ = 0.73 nm, confrontabile con la lunghezza d’onda dei raggi X emessi da un anticatodo di rame (λCu = 0.154 nm).
Quindi un reticolo cristallino potrà diffrangere sia raggi X che elettroni. Lo stesso varrà se si usa una sorgente di neutroni: infatti, poiché la massa del neutrone è circa 2000 volte più grande di quella dell’elettrone, basterà ridurre la sua velocità a circa 1 km/s per ottenere una lunghezza d’onda associata λneutrone, uguale a circa 0.4 nm.
Gli elettroni vengono comunemente usati nella microscopia elettronica fin dal 1933 e i neutroni nella diffrazione neutronica fin dal 1946, per determinare le strutture cristalline. Inoltre, con la microscopia elettronica a scansione (SEM) si possono osservare le morfologie tridimensionali dei cristalli di dimensione sub-microscopica, mentre con la microscopia elettronica in trasmissione (TEM) si possono osservare direttamente le disposizioni ordinate dei piani reticolari; infine, mediante un microscopio elettronico misto (scansione + trasmissione, STEM) si può osservare direttamente l’immagine delle disposizioni atomiche o molecolari nei cristalli. Il microscopio a forza atomica (AFM) permette di visualizzare la struttura superficiale dei cristalli (ma anche di oggetti amorfi) fino alla risoluzione atomica.
Un nuovo orizzonte per la Cristallografia. La crescita dei cristalli e le applicazioni al mondo dei materiali e alle scienze della vita.
All’inizio del XX secolo i cristalli venivano prodotti o dalla natura o sinteticamente, per precipitazione (nei laboratori di ricerca o nei processi industriali). Nessuno si era mai occupato dei meccanismi con i quali i cristalli crescevano e quindi «non si sapeva come far crescere un cristallo».
Nel 1905 l’ingegner Giorgio Spezia (1842-1911), docente presso l’Università di Torino, riuscì a far crescere dei cristalli di quarzo-α, a partire da cristalli di quarzo naturali usati come germe, in un recipiente chiuso che oggi chiameremmo volgarmente «pentola a pressione».
[A sinistra: Figura 7 – L’apparato originale usato da Giorgio Spezia per la crescita di cristalli di Quarzo].
Il «metodo Spezia» cadde nel dimenticatoio per circa quaranta anni. Durante gli anni Trenta del secolo scorso l’industria elettronica diventò dipendente dai cristalli di quarzo, la cui unica fonte di approvvigionamento si trovava nelle Minas Gerais del Brasile. Ma la Seconda Guerra Mondiale bloccò i rifornimenti e, finita la guerra, molti laboratori iniziarono a produrre il quarzo sintetico su larga scala. L’Esercito USA stipulò contratti con i Laboratori della Bell e con la Brush Development Company di Cleveland (Ohio). Nel 1948 venivano già prodotti e commercializzati cristalli di quarzo dal diametro di 3.8 cm, col metodo di Nacken, che altro non è che il metodo di Spezia…
Il loro impiego principale è ancora oggi quello di «cristallo oscillatore», a causa della sua piezoelettricità (orologi al quarzo, microbilance, misuratori dello spessore di film sottili per l’elettronica). E l’Italietta post-bellica, patria di Spezia, stava a guardare, in tutt’altre faccende affaccendata…
Nel resto del mondo la Crescita dei Cristalli visse un’evoluzione rapida, sia a livello teorico che sperimentale. Partendo dagli studi di Max Volmer (1885-1965) del 1922, durante gli anni Venti viene sviluppato il modello teorico TLK (dall’inglese Terrace-Ledge Kink) dagli scienziati tedeschi Walther Kossel (1888-1956) nel 1927 e Iwan Stranski (1897-1979) nel 1928, applicabile alle superfici delle facce cristalline per comprendere la loro cinetica durante la crescita in un mezzo sovrassaturo. Pochi anni dopo, nel 1935, Richard Becker (1887-1955) e Werner Döring (1911-2006) formularono la teoria della crescita di una faccia cristallina esente da difetti (cristallo ideale o perfetto). Tale modello prese il nome di nucleazione 2D mentre, nel 1939, Volmer enunciò un modello analogo per la nucleazione di cristalli tridimensionali.
I cristalli reali, cioè quelli che troviamo in natura o sintetizziamo in laboratorio non sono perfetti. Essi hanno difetti di vario tipo: in particolare possono ospitare impurezze a livello atomico o possono mancare (o avere in eccesso) parti di piani reticolari. A quest’ultimo tipo di difetti appartengono le dislocazioni. Un matematico italiano, Vito Volterra (1860-1938), nel 1905 comincia a sviluppare la teoria delle dislocazioni nei cristalli che successivamente diventerà cruciale per la comprensione del comportamento plastico dei materiali duttili e, in particolare, dei metalli.
Anche questa scoperta teorica sonnecchia a lungo nelle polverose Università e Accademie, fin quando, nel 1949, il fisico teorico inglese Frederick Charles Frank (1911-1998), noto più tardi come Sir Charles Frank, immagina che il difetto-dislocazione non sia un fatto in sé negativo per i cristalli, ma, al contrario, ne favorisca la crescita.
Figura 8
Spirale di crescita formatasi attorno a una dislocazione a vite, su una faccia di cristallo di Berillo: Be3Al2 (SiO3)6
Figura 9 – (a) cristallo di calcite (CaCO3), (b) cristallo di canavalina.
I nuclei 2D (n) sulle facce di entrambi i cristalli si formano quando il sistema (soluzione) è altamente sovrassaturo (high σ).
Le spirali di crescita si formano invece a basse sovrassaturazioni (low σ), grazie alle dislocazioni a vite che ne promuovono la formazione.
Nel 1951, insieme a Willy Burton e Nicolás Cabrera (1913-1989), Frank pubblica il lavoro The Growth of Crystals and the Equilibrium Structure of their Surfaces che ancora oggi è la pietra angolare per la crescita cristallina. Contrariamente alla nucleazione 2D che permette alle superfici cristalline di crescere solo ad alte sovrassaturazioni, anche una sola dislocazione a vite permette a una faccia di cristallo di crescere anche a sovrassaturazioni molto basse (quasi vicino all’equilibrio). Ciò spiega finalmente come in ambiente geologico si possano osservare cristalli di grande dimensione (anche di molti metri) che si sono formati in ambienti debolmente sovrassaturi.
Oltre al grande valore conoscitivo, la trattazione cinetica di Burton, Cabrera e Frank (BCF) ha ricadute incalcolabili sul piano applicativo: controllando la densità delle dislocazioni in un cristallo, se ne potrà condizionare il grado di perfezione e la velocità di crescita delle singole facce. In altre parole, si potranno produrre in laboratorio cristalli di qualità migliore rispetto a quelli trovati in natura (dove la densità di dislocazioni può arrivare fino a 1014/cm2…): basti pensare che dagli anni Settanta si è in grado di produrre cristalli esenti da dislocazioni.
Nel 1928 un professore di Mineralogia dell’Università di Strasburgo, Louis Royer, scopre che sia in natura che in laboratorio due diverse specie cristalline possono crescere, una sull’altra, purché vengano rispettate alcune condizioni di carattere geometrico e reticolare (epitassia); per esempio il rutilo (TiO2) può cristallizzare ordinatamente sull’ematite (Fe2O3), il nitrato di sodio (NaNO3) sulla calcite (CaCO3)…
Figura 10
A sinistra: epitassia di un cristallo di staurolite su cianite;
A destra: epitassia di un cristallo di rutilo su ematite;
Si noti come l’asse di allungamento del rutilo sia sempre perpendicolare a un lato del cristallo di ematite.
Il patrimonio culturale che si è formato unendo il concetto di epitassia alle leggi della cinetica di crescita dei cristalli (di cui le leggi di BCF sono il cardine portante) ha accelerato le acquisizioni nel campo della Scienza dei Materiali, della Biologia e della Biomineralizzazione, per cui oggi possiamo affermare che senza le conoscenze nel campo della «crescita cristallina»:
- saremmo rimasti al tempo delle «valvole termoioniche» (diodo, triodo, pentodo,…) e non ci sarebbe stata la miniaturizzazione nel campo dell’elettronica (niente chip nelle carte di credito; nessuna «centralina elettronica» per autotrazione; nessun computer da ufficio e, in particolare, nessun portatile; i termini «cellulare» , i-phone, i-pad avrebbero solo il sapore della fantascienza;
- non conosceremmo la struttura della gran parte dei farmaci e delle proteine, in quanto, per determinare la struttura di proteine e macromolecole è necessario far crescere i relativi cristalli ad adeguate dimensioni e con un grado di purezza accettabile;
- il termine «nanotecnologia» che è diventato, tra l’altro, un indicatore di ricchezza dei paesi che ne hanno il controllo, non avrebbe alcun senso. Infatti, per produrre nano-cristalli bisogna conoscerne innanzitutto le proprietà di superficie che sono inarrivabili senza una conoscenza profonda dei meccanismi di crescita dei cristalli;
- l’accostamento alla complessità della materia vivente (meccanismi di formazione degli esoscheletri, delle nostre ossa, dei denti, di patologie quali la litiasi urinaria e biliare…) non sarebbe stato possibile, in quanto in tutti questi fenomeni le epitassie tra cristalli e supporto organico sono la regola dominante.
Si potrebbe continuare ancora su questa linea. Ma rischieremmo di diventare celebrativi; e ciò è poco tollerabile in un paese che ha assunto un atteggiamento minimalista, specie in ambito culturale.
Comunque sia, noi abbiamo ritenuto che fosse nostro compito rendere il giusto tributo di rispetto e riconoscenza a tutti coloro che hanno speso le loro intelligenze e le loro energie per meglio conoscere i segreti e la bellezza di ciò che ci circonda.
E se abbiamo dimenticato qualcuno, chiediamo scusa fin d’ora.
Vai all’articolo in formato PDF
Dino Aquilano
(Docente di Mineralogia applicata presso la facoltà di Scienze MFN dell’Università di Torino)
© Pubblicato sul n° 52 di Emmeciquadro