Conoscere lo sviluppo storico dei concetti matematici è di forte interesse per gli insegnanti. Aiuta a riconoscere i nodi fondamentali delle questioni, e a giudicare con attenzione le criticità e gli ostacoli che spesso, come nella storia, ancora oggi la mente fatica a superare. L’excursus sulla introduzione dei numeri razionali e sulla loro complessa concettualizzazione e rappresentazione può non offrire spunti didattici immediati, ma approfondisce la comprensione e l’attenzione didattica rispetto a un contenuto tanto fondamentale quanto di difficile apprendimento. E suggerisce all’insegnante molta pazienza….
Quando l’uomo abbia conquistato il concetto di numero, la capacità di contare usando i numeri naturali, non è noto; possiamo tuttavia supporre che esso accompagni tutta la sua storia: è significativo da questo punto di vista che addirittura i segni che indicano i numeri precedano l’introduzione della scrittura(1).
Possiamo parimenti supporre che l’esigenza di indicare delle quantità non intere accompagni essa stessa la storia dell’uomo. Nella nostra lingua è rimasta una espressione per indicare genericamente una parte di un intero; dire: «ho preso 3 chili e rotti di arance» sta a significare che la quantità di arance acquistata supera i 3 kg ma non arriva a 4 ed evoca contemporaneamente come si debba considerare la parte eccedente il terzo kilogrammo: occorre «rompere» la quantità unitaria. Nel linguaggio matematico lo strumento linguistico e concettuale che permette di identificare e conteggiare le quantità non intere sono le frazioni, termine che deriva dal verbo frangere, tra i significati del quale troviamo rompere e dividere.
I numeri razionali nell’antichità
Nella sua opera più importante Carl Boyer, uno storico della Matematica, scrive: «Gli uomini dell’età della Pietra non conoscevano l’uso delle frazioni, ma con l’avvento di culture più avanzate nell’età del Bronzo si resero necessari il concetto di frazione e le notazioni frazionarie. Le iscrizioni geroglifiche egiziane presentano una notazione speciale per le frazioni aventi come numeratore l’unità»(2) e prosegue descrivendo come esse venivano usate.
La fonte più importante della matematica egizia, il papiro Rhind, risalente a circa il 1850 a.C., si apre con una tabella in cui viene illustrato come scomporre le frazioni che in notazione moderna scriviamo nella forma 2/n con n numero dispari da 5 a 101 in somme di frazioni che noi chiamiamo unitarie; il motivo della presenza di questa tabella è il fatto che, con l’ eccezione di 2/3 e poche altre, erano le sole frazioni utilizzate, per esempio al posto di 3/5 era in uso la scomposizione 1/3 + 1/5 + 1/15.
Nel papiro Rhind si trovano anche alcuni problemi aritmetici di suddivisione, per esempio come si possono suddividere sei pagnotte tra dieci uomini, nei quali le frazioni non sono legate all’operazione di misurazione.
[A sinistra: Tavoletta babilonese]
La numerazione cuneiforme babilonese ha in comune con il sistema egizio l’additività: anch’essi usavano giustapporre simboli intendendo così che i valori rappresentati dovevano essere sommati. A partire da circa il 4000 a.C. il sistema babilonese fu perfezionato con l’invenzione della notazione posizionale, che si avvaleva della base 60, dando vita a un sistema di numerazione detto ieratico, non utilizzato nella quotidianità, potremmo dire in termini moderni che si tratta di un sistema di numerazione ‘scientifico’ usato dai sacerdoti e dai sapienti dell’epoca(3).
Scrive ancora il Boyer: «Il segreto della netta superiorità della matematica babilonese rispetto a quella degli egiziani sta nel fatto che coloro che vivevano “tra i due fiumi” ebbero l’idea estremamente felice di estendere il principio posizionale anche alle frazioni oltre che ai numeri interi.»(4).
Vediamo con un esempio come i Babilonesi indicavano un numero frazionario (per facilitare la comprensione usiamo per scrivere i numeri naturali il nostro sistema di numerazione).
La scrittura:
1;24,51,10
Ha il significato di
In realtà non c’era un simbolo per separare la parte intera da quella decimale, fatto che ha prodotto incomprensioni e difficoltà di decifrazione. Il grado di accuratezza ottenuto con tale sistema di numerazione è realmente impressionante: pensiamo per esempio che il valore ottenuto per è 1,414222, un’approssimazione che si discosta dal valore reale per circa 0,000008. Tale accuratezza è stata assicurata dalla loro notazione frazionaria, «la migliore che sia mai stata creata da qualsiasi civiltà fino al Rinascimento»(5). E, dobbiamo ricordare, ancora in uso per le misure di angoli e di tempo. Possiamo ragionevolmente supporre che la scelta di utilizzare come base del sistema di numerazione il numero 60 sia legata alla divisibilità: esso infatti è divisibile per 2, 3, 4, 5 e 6 (oltre che per 10, 12, 15, 20, 30, 60 e 1).
È importante sottolineare che la divisibilità assicura che il quoziente sia un numero naturale: immaginiamo per esempio di voler dividere due confezioni uguali di cioccolatini fra tre persone in parti uguali, ovviamente non è possibile ragionare in termini di confezioni, ovvero usando la confezione come unità – una possibile distribuzione sarebbe dare una confezione ciascuno ai primi due e niente al terzo… – La soluzione è più o meno agevolata dal numero di cioccolatini in ciascuna confezione, se infatti tale numero fosse 15 ci sarebbero da suddividere 30 cioccolatini fra tre persone e si potrebbe concludere la suddivisione attribuendone 10 a ciascuno; osserviamo che in questo procedimento abbiamo utilizzato solo i numeri naturali, in altri termini la quantificazione delle parti dell’intero è stata svolta usando ancora lo stesso strumento concettuale che non aveva funzionato nella situazione originaria, semplicemente usando un diverso intero. Se invece tale numero fosse 20, i cioccolatini in tutto sarebbero 40 e la suddivisione dovrebbe attribuire 13 cioccolatini a testa e… ci sarebbe ancora da discutere sull’attribuzione del quarantesimo.
L’esempio precedente può essere riletto dal punto di vista delle misure; immaginiamo per esempio di voler suddividere una quantità di farina pari a due unità fra tre persone; se nel sistema di misura è presente un sottomultiplo dell’unità utilizzata, ottenuta da essa per divisione per tre o per un suo multiplo, il gioco è presto fatto, altrimenti la spartizione della farina ha bisogno di una negoziazione per giungere a un accordo che accontenti tutti.
Tornando alla Storia, probabilmente è legato a questo genere di problematiche il fatto che in molte civiltà le diverse unità di misura di una grandezza sono legate dal numero 12; per i Romani per esempio l’oncia, unità di misura di peso, era un dodicesimo di asse, numero che permette facilmente la suddivisione in 2, 3, 4. Rispetto alla base 60 dei Babilonesi si perde la divisibilità per 5 con il vantaggio però di avere a che fare con numeri più maneggevoli, da intendersi anche letteralmente perché dodici infatti sono le falangi delle quattro dita affiancate della mano(6) dando così un comodo supporto per un sistema di conteggio con base 12. Possiamo ancora supporre che la non divisibilità di 10 per 3 abbia ostacolato il suo utilizzo nei sistemi di misura e quindi anche l’uso delle frazioni decimali, le frazioni che stanno alla base dei nostri numeri con la virgola.
Le frazioni nel Medioevo
Le frazioni decimali furono inizialmente usate in Cina, a partire dal quarto secolo a. C. ma non sembra che tale uso sia stato trasmesso ad altre civiltà. Il sistema di numerazione che noi stessi utilizziamo sembra sia stato messo a punto attorno al VII secolo d. C. in India, senza però estenderne l’uso alle frazioni, si continuò a fare uso delle frazioni sessagesimali in ambito scientifico e delle frazioni comuni nella quotidianità(7).
Il favore per le frazioni decimali inizia a manifestarsi per la prima volta nella civiltà araba, a partire dal X secolo; in particolare nel Trattato di aritmetica del 1172 di As-Samaw’al viene introdotto in modo sistematico l’uso di tali frazioni in problemi di approssimazione.
In tale trattato viene presentata la terminologia parte delle decine, parte delle centinaia, eccetera, per indicare i nostri decimi, centesimi eccetera. La prima trattazione sistematica delle frazioni decimali completa delle procedure di calcolo risale al XV secolo, ad opera del persiano Iemshid Ibn Mesud Al-Kashi.
[A destra: François Viète (1540-1603)]
L’affermarsi delle frazioni decimali è stato un processo lungo che ha avuto un importante impulso tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, ad opera soprattutto di François Viète e Simon Stevin.
Viète non era un matematico di professione, è stato avvocato e ha svolto incarichi pubblici fino a diventare consigliere del Re. Si è impegnato negli studi matematici nel tempo libero, specie nei sei anni in cui perse il favore del Re Enrico III. Occupa nella storia della matematica un posto importante perché ha introdotto l’uso delle lettere in Algebra, come vengono ancora oggi utilizzate, dando così una svolta epocale a tutto lo sviluppo successivo della Matematica.
«Nel campo dell’aritmetica – ancora Boyer scrive – va ricordato il suo nome per aver difeso l’uso delle frazioni decimali in luogo di quelle sessagesimali. In uno dei suoi primi lavori, il Canon mathematicus del 1579, scriveva: “Sessantesimi e sessantino non vanno mai usati se non raramente nella matematica, mentre millesimi e migliaia, centesimi e centinaia, decimi e decine, e progressioni simili, ascendenti e discendenti, vanno usati frequentemente o esclusivamente”.
Nelle sue tavole e nei suoi computi seguì rigorosamente questo principio, usando frazioni decimali. I lati dei quadrati inscritti e circoscritti a un cerchio di diametro 200.000 [unità] venivano da lui espressi con 141.421,356,24 e 200.000,000,00 e la loro media con 177.245,385,09. Poche pagine più avanti esprimeva il valore della semicirconferenza con 314.159,265,35 e più tardi ancora questa cifra compare scritta con la parte intera in grassetto: ,265,35. Talvolta usava una sbarretta verticale per separare la parte intera da quella frazionaria, come quando esprimeva l’apotema del poligono regolare di 96 lati, inscritto in un cerchio di diametro 200.000, con |458,75.
[A sinistra: Statua di Simon Stevin (1548-1620), nell’omonima piazza di Bruges]
L’uso della virgola decimale viene generalmente attribuita a Giovanni Antonio Magini (1555-1617), un astronomo, amico di Keplero e concorrente con Galilei alla cattedra di matematica a Bologna, […] oppure a Cristoforo Clavio (1537-1612), un gesuita amico di Keplero, in una tavola dei seni del 1593. Ma la virgola o punto decimale diventò di uso comune solo vent’anni più tardi, quando venne usata da Nepero.»(8).
L’uso sistematico dei numeri decimali avviene a partire dall’opera di Simon Stevin, matematico e ingegnere olandese, in particolare attraverso il libretto La Disme. In esso l’autore sostiene l’utilità di tale notazione per l’esecuzione dei calcoli e afferma inoltre che sarebbero stati ancora più comodi se i pesi e le misure fossero stati stabiliti in base 109 .
Osserviamo che l’uso delle frazioni decimali di cui ben conosciamo e apprezziamo l’efficacia nella scrittura dei numeri con la virgola ha pure qualche controindicazione. Prendiamo in esame per esempio la frazione 1/3 , la sua espressione in forma decimale è:
Ovvero una scrittura infinita. Usando le frazioni decimali, ovvero i numeri con la virgola, non si può ottenere 1/3 con un procedimento finito, la scrittura precedente è equivalente a una espressione in cui vengono addizionati infiniti termini
Diventa così abituale l’uso dell’approssimazione perché diventa difficile se non impossibile eseguire calcoli con numeri espressi da una scrittura che ha uno sviluppo infinito. Se da una parte si è guadagnato in semplicità di calcolo, e non solo, dall’altra si è perso in precisione.
La vendetta del numero 3 sul numero 10…
L’introduzione del sistema metrico decimale
La diffusione dei numeri decimali, anche con l’invenzione della virgola, risalgono al XVII secolo, il sistema metrico decimale risale invece al tempo della Rivoluzione francese, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. Uno degli ostacoli al commercio nella Francia della seconda metà del Settecento era sicuramente il sistema delle misure: ogni città aveva delle proprie unità di misura, come era stato in tutta Europa dal Medioevo, e le conversioni tra un sistema e l’altro non erano agevoli. Fedeli allo spirito rivoluzionario gli scienziati dell’epoca proposero un unico sistema di unità di misure, valido per tutto il paese, modellato sul sistema decimale, rendendo così semplici le conversioni delle misure espresse nelle diverse unità relative alla stessa grandezza, le nostre equivalenze. Per esso come è noto si utilizzano solo unità ottenute dall’unità fondamentale per moltiplicazione o divisione secondo potenze di dieci.
Il progetto dei rivoluzionari – raccontato anche in libri che hanno riscosso un importante successo – prevedeva che una di tali unità fondamentali, il metro, fosse definito come la decimillionesima parte della distanza tra l’Equatore e il polo Nord misurata sul meridiano passante per Parigi.
Per tale impresa furono preparate due spedizioni scientifiche affidate rispettivamente agli astronomi Jean Baptiste Delambre (1749-1822) e Pierre Francois André Méchain (1744-1804), uno doveva compiere le misurazioni verso Nord, fino a Dunkerque, l’altra verso sud fino a Barcellona, che dopo sette anni di sforzi giunsero a una conclusione positiva, pur se segnata da un errore. In seguito a questo successo venne approntato e approvato il Sistema Metrico Decimale.
Pierre Simon Laplace (1749-1827) esaltò le virtù del sistema appena introdotto in un celebre testo in cui si legge: «Incomparabilmente più semplice dell’antico, con le sue divisioni e la sua nomenclatura, presenterà difficoltà molto minori per l’infanzia» (10).
Si compie il sogno di Stevin.
A proposito della virgola
Il segno della virgola, o del punto in uso nei paesi di cultura anglosassone, merita qualche osservazione. Come abbiamo visto gli Assiro Babilonesi non usavano alcun segno per dividere la parte intera dalla parte frazionaria, lasciando così aperta la possibilità del fraintendimento.
Consideriamo per esempio due numeri, il primo composto da due centinaia, quattro decine e tre unità, il secondo da due unità, quattro decimi e tre centesimi. Scritti con il nostro sistema di numerazione, se non utilizzassimo la virgola, avrebbero la stessa scrittura: 243.
Vale la pena ricordare anche in questa sede che una delle caratteristiche peculiari del linguaggio matematico è l’accuratezza nell’indicare precisamente i significati evitando equivoci e malintesi, realizzata in grande economia, senza parafrasi e giri di parole: da questo punto di vista è apprezzabile che un singolo segno, per di più minuto e anche visivamente poco invasivo, indichi la suddivisione nella scrittura del numero tra la parte intera e la parte decimale.
Questa scelta risulta essere più efficace di altri espedienti quali per esempio uno spazio vuoto: il numero decimale precedente si scriverebbe in tal caso nella forma 2 43, che alla nostra sensibilità risulta estranea.
Il motivo di questa estraneità è anche da ricercare nella storia dei sistemi di numerazione: la cifra 0 è nata per lo stesso motivo, indicare l’assenza di raggruppamenti di un certo ordine nella composizione di un numero e non lasciare a uno spazio vuoto il significato di tale mancanza. Consideriamo per esempio il numero composto da sei centinaia e sette unità: se gli Assiro Babilonesi avessero usato le nostre cifre e il loro metodo di scrittura avrebbero scritto 6 7(11).
Analizzando il significato della virgola siamo così giunti a riconoscere il nesso con cui essa è legata al sistema di numerazione posizionale, e solo ad esso (nel sistema sessagesimale per la misura del tempo o degli angoli non si utilizza); la virgola permette di individuare la cifra relativa all’ordine delle unità quando è presente una parte decimale, cosa non necessaria quando la scrittura del numero riguarda un numero naturale, perchè la cifra relativa all’ordine delle unità è individuata dal fatto di essere la cifra più a destra.
Spingiamoci più in là, la virgola permette anche di individuare l’ordine delle cifre che stanno alla sua destra: la posizione della virgola nella scrittura 27,54 permette di stabilire che la parte decimale è composta da 54 centesimi, ovvero che la cifra 5 è riferita ai decimi e la cifra 4 ai centesimi.
Per renderci conto del legame tra lo zero e la virgola prendiamo in esame l’effetto sulla scrittura del numero della moltiplicazione e della divisione per le potenze di 10: consideriamo il numero 7,94 e moltiplichiamolo per 10, per 100 e per 1000; si ha:
7,94 × 10 = 79,4 7,94 × 100 = 794 7,94 × 1000 = 7940
Come è noto, nei risultati si osserva, rispetto alla scrittura del numero originario, lo spostamento della virgola a destra fino alla sparizione e alla successiva comparsa di uno zero, segno che virgola e zero «vanno a braccetto».
Interessante è anche scrivere i tre risultati incolonnati al numero originario:
Si può osservare come in realtà non sia la virgola a muoversi verso destra, quanto piuttosto sono le cifre a migrare verso sinistra, come è nel caso dei numeri naturali, poiché in ogni caso moltiplicare per 10 ha l’effetto di mutare il valore posizionale di ciascuna cifra attribuendo ad ognuna l’ordine successivo a quello che aveva in precedenza.
Possiamo concludere queste osservazioni notando che il segno della virgola ha una portata che non può essere confinata nella congiunzione «e» con la quale abitualmente viene sostituita nella lettura, provocatoriamente possiamo dire riferendoci alla scrittura 5,80 che «cinque virgola ottanta» non è uguale a «5 e 80».
[Intervento tenuto al seminario dell’Associazione Ma.P.Es. – Milano – 22 febbraio 2014]
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Andrea Gorini
(Insegnante di matematica alla Scuola Secondaria di primo grado, Fondazione “San Girolamo Emiliani” di Corbetta – Milano)
Note
- cfr. C. Herrenschmidt, L’invenzione della scrittura, Jaca Book, Milano 1999
- C. Boyer, Storia della Matematica, Mondadori, Milano 1980, p. 14
- C. Boyer, op. cit., p. 32
- C. Boyer, op. cit., p. 33
- C. Boyer, op. cit., p. 33
- cfr. per esempio: http://www.dti.unimi.it/citrini/Tesi/r9/app6.html
- cfr. http://web.tiscali.it/direzionecodogno/docs/pdf/018-027.pdf p. 22
- C. Boyer, op. cit., p. 349
- cfr. G. Israel, A. Gasca Millàn, Pensare in matematica, Zanichelli, Bologna 2012, p. 132
- Citato in S. Baruk, Dizionario di matematica elementare, Zanichelli, Bologna 1998, p. 141
- Un interessante contributo didattico relativo all’apprendimento del sistema di numerazione e allo zero si trova in M. Bramanti, L’abaco di Gerberto e l’apprendimento della scrittura posizionale dei numeri, Emmeciquadro n.34 – 2008.
Indicazioni bibliografiche e sitografiche
- K. Adler, La misura di tutte le cose, Rizzoli, Milano 2002
- C. Boyer, Storia della Matematica, Mondadori, Milano 1990
- S. Baruk, Dizionario di matematica elementare, Zanichelli, Bologna 1998 – in particolare le voci Decimale e Decimale (scrittura)
- J. G. George, C’era una volta un numero. La vera storia della matematica, Il Saggiatore, Milano 2012
- A. Gorini, Matematica a sorpresa, Principato, Milano 2011 – in particolare il capitolo 2 di Aritmetica 1 e il capitolo 1 di Aritmetica 2
- D. Guedj, Il meridiano, Longanesi, Milano 2001
- G. Ifrah, Storia universale dei numeri, Mondadori, Milano 1983
- G. Israel, Ana Gasca Millian, Pensare in matematica, Zanichelli, Bologna 2012 – in particolare il capitolo 5 Una interessante sintesi storica si trova nel documento reperibile all’indirizzo: http://web.tiscali.it/direzionecodogno/docs/pdf/018-027.pdf, penso sia una parte di un opuscolo informativo relativo all’introduzione dell’euro.
© Pubblicato sul n° 52 di Emmeciquadro