L’autore ci accompagna a una rivisitazione del mondo dei quanti, le cui caratteristiche ci appaiono spesso paradossali. Il dualismo onda corpuscolo, il principio di indeterminazione, il principio di sovrapposizione degli stati, il problema di una misura che modifica l’evento che si studia, sembrano impedire una conoscenza «oggettiva», limitando il potere predittivo della scienza alla determinazione della probabilità di un evento. Altro problema è come da questo mondo, in qualche modo indeterminato, emerga il comportamento macroscopico deterministico e prevedibile. Secondo l’autore ciò non implica una vera contraddizione o l’impossibilità di affermare l’esistenza di una realtà fuori di noi, ma solo la necessità di adeguare le forme di intelligibilità della realtà alla natura degli enti che si studiano.
La moderna meccanica quantistica fu generata nella sua forma pienamente articolata dalle scoperte di Erwin Schrödinger (1887-1961) e Werner Heisenberg (1901-1976) negli anni mirabiles 1925/26.
A prima vista gli approcci dei due scienziati sembravano del tutto diversi, ma presto fu stabilita l’equivalenza delle loro teorie. Nello stesso tempo, Paul A. M. Dirac (1902-1984) fu in grado di identificare la natura della differenza critica fra la fisica dei quanti e la fisica newtoniana classica, con la sua formulazione del «principio di sovrapposizione».
Questo permette l’esistenza nella meccanica quantistica di stati che mescolano proprietà che la fisica classica e il senso comune direbbero che sono totalmente incompatibili. Nel mondo quotidiano esiste uno stato in cui la palla di biliardo è «qui» e uno stato in cui è «là». Nel mondo dei quanti vi sono anche stati di un elettrone in cui esso è in una mescolanza non rappresentabile, o sovrapposizione, di queste due possibilità.
Questo fatto implica immediatamente la nebbiosa invisibilità del mondo dei quanti e un’ulteriore analisi mostra che le probabilità di trovare l’elettrone «qui» o «là» dopo l’esecuzione di una misura sperimentale sono correlate alla proporzione in cui i due stati sono presenti nella sovrapposizione.
Il mondo dei quanti: una logica nuova
Il principio di sovrapposizione implica che la logica che è stabilita nel mondo dei quanti è differente dalla logica classica di Aristotele e dal senso comune quotidiano. Quest’ultimo dipende dalla legge del «terzo escluso», cioè che non c’è possibilità intermedia fra A («qui») e non-A («là»), ma nel mondo dei quanti c’è un insieme infinito di possibilità intermedie, corrispondenti alla sovrapposizione di A e non-A. Di conseguenza occorre stabilire una nuova forma di logica dei quanti.
Il principio di sovrapposizione aiuta a spiegare la proprietà, che altrimenti sembra un ossimoro, del dualismo onda-corpuscolo della luce, la cui scoperta giocò un ruolo decisivo nel far nascere la meccanica quantistica. Chiunque nel 1899 avrebbe «provato» che era impossibile per qualcosa comportarsi talvolta come un’onda e talvolta come una particella (un piccolo proiettile). Il principio di sovrapposizione spiega questa non intuitiva possibilità del dualismo onda/corpuscolo perché permette che ci siano stati in cui è presente un numero indefinito di particelle, poiché sono sovrapposizioni di stati con differenti numeri definiti di particelle. Ne risulta che sono questi stati che possiedono proprietà ondulatorie (cioè hanno una fase definita).
La nebulosità quantistica trovò espressione in una forma quantitativa quando Heisenberg scoprì il principio di indeterminazione. Nel mondo classico si possono conoscere sia la quantità di moto (come si muove una particella) sia la posizione (dov’è). Attraverso un’analisi del processo di misura che teneva accuratamente conto del fatto che c’è un ineliminabile grado di disturbo connesso all’atto della misurazione, dovuto alla quantità non nulla di energia trasportata da un singolo fotone, Heisenberg mostrò che in meccanica quantistica, quanto più accuratamente si cercasse di misurare la posizione, tanto maggiore sarebbe un incontrollabile disturbo nel valore della quantità di moto della particella e viceversa.
Nel mondo dei quanti, perciò, si ha accesso solo alla metà della conoscenza esatta che si può raggiungere nel classico mondo quotidiano.
L’impredicibilità quantistica: epistemologica o ontologica?
Di conseguenza, la meccanica quantistica non permette un’esatta predizione di tutti i dettagli del comportamento futuro. Il suo carattere è necessariamente statistico. Tutti i fisici accettano ciò, ma da un punto di vista filosofico ci sono due possibili modalità di interpretare l’origine di questa impredicibilità. Il suo carattere è epistemologico o ontologico? Se è semplicemente epistemologico, tutti gli eventi sono di fatto ben determinati, ma i fisici non hanno accesso alla conoscenza di tutti i fattori coinvolti nella determinazione. Un esempio preso dalla vita quotidiana potrebbe essere il lancio di un dado, altamente sensibile ai più piccoli dettagli del processo.
Tuttavia, se l’impredicibilità è una proprietà ontologica, essa deve derivare da un indeterminismo intrinseco presente nei processi subatomici. In altri termini, la questione è: il principio di indeterminazione è un principio di una inevitabile ignoranza o è il segno di un effettivo grado di libertà causale presente nei processi fisici?
Nei primi tempi della meccanica quantistica, i fisici, sotto la paterna influenza di Niels Bohr (1885-1962), appoggiarono la seconda opzione, un movimento che venne chiamato «l’interpretazione di Copenhagen».
[A sinistra: David Bohm (1917-1992)]
Tuttavia negli anni cinquanta del secolo scorso, David Bohm produsse una interpretazione alternativa che conduceva esattamente alle stesse conseguenze sperimentali, ma che aveva un carattere completamente deterministico. Bohm portò a termine questa notevole impresa, separando onda e particella, che Bohr aveva decretato essere aspetti complementari inseparabili di una singola entità. Nella teoria di Bohm ci sono non solo particelle, che sono senza alcun compromesso di carattere oggettivo, ma anche un’onda nascosta che codifica la conoscenza istantanea di tutto l’ambiente circostante. Quest’onda influenza il moto delle particelle quasi-classiche, in modo molto sensibile, che ha il risultato di produrre conseguenze statistiche che sono in accordo con i risultati sperimentali.
Bohr e Bohm presentano immagini decisamente differenti della natura del mondo fisico, ma l’equivalenza empirica fra le conseguenza delle due teorie significa che la differenza fra di esse non può essere basata solo su fondamenti fisici. Ciò richiede un atto di decisione metafisica.
Quasi tutti i fisici parteggiano per Bohr contro Bohm, non solo perché egli primeggia in questo campo, ma anche perché la teoria di Bohm, benché ingegnosa e istruttiva, sembra troppo costruita in modo artificioso per essere metafisicamente persuasiva. Per esempio l’onda di Bohm deve soddisfare un’equazione d’onda e per dare i risultati corretti deve essere l’equazione di Schrödinger.
Nella teoria dei quanti convenzionale, questa equazione si genera seguendo una linea di argomentazione persuasiva, ma Bohm deve semplicemente prenderla a prestito ad hoc da Schrödinger.
La modalità della conoscenza dipende dalla natura dell’oggetto
Questa controversia porta al riconoscimento di una significativa affermazione filosofica: «La natura della causalità è implicata dalla fisica ma non completamente determinata da essa». Fare la scelta tra l’indeterminismo di Bohr e il determinismo di Bohm richiede un ricorso a una valutazione di tipo metafisico. Due altre affermazioni filosofiche possono essere ricavate dalla fisica quantistica. In primo luogo «non c’è una epistemologia universale». Le entità possono essere conosciute secondo una modalità che si accorda con la loro effettiva natura.
Il principio di indeterminazione implica che ogni tentativo di conoscere il mondo dei quanti con la chiarezza della fisica classica è condannato a fallire. In secondo luogo: «Non esiste una forma universale che la razionalità possa prendere». La discussione sulla logica quantistica lo puntualizza.
L’essenza della razionalità è quella di cercare di corrispondere all’effettiva natura delle entità che si considerano, e non si può stabilire a priori quale forma potrà assumere. Alla fine degli anni venti del secolo scorso, l’eminente biologo John B. S. Haldane (1892-1964), commentando le scoperte dei suoi colleghi fisici, disse che l’Universo non solo appariva più strano di quello che noi pensiamo, ma anche più strano di quello che avremmo potuto pensare senza la spinta della natura in una direzione non intuitiva.
La meccanica quantistica ha avuto uno straordinario successo nella descrizione che essa dà del mondo fisico subatomico. L’elettrodinamica quantistica (la teoria delle interazioni tra fotoni ed elettroni) ha condotto a calcoli le cui soluzioni sono in accordo con le misure sperimentali in un elevato grado di accuratezza. Nondimeno, forse il più grande paradosso quantistico è che, più di ottanta anni dopo le grandi scoperte fondamentali, ancora non comprendiamo completamente la teoria.
Dall’indeterminazione quantistica al determinismo macroscopico: un problema ancora irrisolto
Il problema centrale non risolto si riferisce al tentativo di comprendere come il mondo chiaro e reale della nostra esperienza quotidiana possa emergere dal substrato quantistico nebbioso e irregolare. La questione può essere illustrata facendo riferimento al problema della misura. Se un elettrone è in uno stato di sovrapposizione di «qui» e «là», come può risultare che in una particolare misura si sia ottenuto il risultato «qui»? Attualmente non vi è una risposta completamente soddisfacente o universalmente accettata a questa domanda del tutto ragionevole.
Niels Bohr aveva suggerito che è l’intervento degli apparati di misura classici che produce il risultato definito, ma ciò porta a una inaccettabile immagine dualistica del mondo fisico, popolato sia da entità quantistiche che da apparati classici, mentre noi sappiamo che questi strumenti di misura sono essi stessi composti di costituenti quantici.
Un recente concetto, detto «decoerenza», che prende in considerazione l’influenza sulle entità quantistiche delle loro interazioni con l’ambiente circostante, come una radiazione di fondo di bassa intensità, mostra come questa interazione può indurre un comportamento più simile a quello classico, ma questa idea non spiega ancora come un particolare risultato emerga in una particolare occasione.
Altre ipotesi sono state formulate, supponendo che sia l’interazione con la coscienza umana che induce il risultato specifico (ma questo significa che prima che evolvesse la coscienza nessun processo quantistico avesse un esito definito?), o che tutti gli esiti avvengono, ma in differenti mondi di un «multiverso» che prolifera senza fine (un’ipotesi di una stupefacente prodigalità ontologica).
Nessuna di queste ipotesi sembra totalmente soddisfacente.
La verità della questione è che la nostra conoscenza del mondo fisico è chiaramente fatta a chiazze, con connessioni fra differenti domini (classico, quantistico) non ben comprese. Il problema della caoticità quantistica illustra ulteriormente questo punto. La delicata sensibilità dei sistemi caotici è tale che il loro futuro comportamento appare presto venire a dipendere dai minimi dettagli della loro situazione, che giacciono sotto i confini del principio di indeterminazione.
Tuttavia la teoria dei quanti e la teoria del caos non possono essere messe insieme, perché sono mutualmente incompatibili. La meccanica dei quanti ha una scala dando un significato a «grande» o a «piccolo» in termini della costante fondamentale di Planck, mentre il carattere frattale della teoria del caos la rende libera da un fattore di scala: è la stessa comunque si scenda di dimensioni.
La non località della meccanica quantistica
La sorprendente stranezza del mondo dei quanti è stata ulteriormente rivelata dalla scoperta della «correlazione quantistica» (quantum entanglement). Albert Einsten è stato uno dei «nonni» della meccanica quantistica attraverso la sua spiegazione, nel 1905, dell’effetto fotoelettrico, in termini del carattere corpuscolare della luce, ma arrivò ad aborrire il suo «nipote».
Einstein possedeva un appassionato credo nella realtà indipendente del mondo fisico, ma erroneamente ritenne che questa convinzione potesse essere difesa solo se il mondo fosse oggettivo, senza alcun aspetto problematico, nel senso della fisica classica.
Di conseguenza egli cercava sempre di mostrare che c’era qualcosa di incompleto nella meccanica quantistica.
[A destra: Albert Einsten (1879-1955)]
Nel 1930, lavorando con due giovani colleghi, sentì di aver trovato il tallone di Achille della teoria. Essi mostrarono che la teoria quantistica convenzionale implicava che ci fosse una correlazione (entaglemment) non intuitiva tra due entità quantistiche che avevano interagito l’una con l’altra che aveva come risultato quello di mantenere il potere di una mutua influenza istantanea, per quanto lontano fossero state successivamente separate.
Einstein sentiva che era troppo «bizzarro» per essere vero. Tuttavia, dopo la sua morte, alcuni accurati esperimenti condotti a Parigi negli anni Ottanta del secolo scorso mostrarono che la correlazione quantistica è veramente una proprietà della natura. Sembra che neppure il mondo quantico subatomico possa essere trattato in modo puramente atomistico.
Il mondo fisico è profondamente relazionale.
La realtà è intelligibile?
Tutte le strane conseguenze della meccanica quantistica hanno incoraggiato alcuni filosofi della scienza ad assumere l’atteggiamento positivistico di suggerire che la fisica dei quanti non riguarda ciò a cui realmente è simile il mondo microscopico subatomico, ma è semplicemente una via per fare calcoli che sono in accordo con i risultati delle misure macroscopiche.
Quasi tutti i fisici rifiutano questo punto di vista, in favore di un valore realistico della fisica quantistica. Se la scienza non ci dicesse a cosa effettivamente è simile il mondo fisico, la fatica della ricerca scientifica perderebbe molto della sua motivazione. La difesa di questa posizione realistica si richiama all’«intelligibilità» come fondamento per la sua fede nella realtà.
Noi crediamo che ci sono fotoni ed elettroni perché questa convinzione garantisce una potente comprensione delle grandi estensioni della più direttamente accessibile esperienza empirica, dalla tavola periodica della chimica, ai fenomeni della superconduttività, alla costruzione di strumenti come il laser, e a molto altro. Questa provata fertilità sembra essere un accidente incredibilmente fortunato a meno che esistano realmente quelle entità le cui proprietà sono state invocate.
La meccanica quantistica ci ha mostrato che il mondo fisico ha un carattere sorprendente, esibendo proprietà che sono oltre i nostri miopi poteri di prevedere in anticipo. Di conseguenza, la domanda naturale da porre da parte degli scienziati non è quella «è ragionevole?» come se supponessimo di conoscere anticipatamente la forma che la razionalità dovesse prendere. Invece c’è una domanda differente da porre: «Che cosa fa sì che voi pensiate che possa essere la cosa giusta?».
Questa questione è aperta, nel senso che non tenta di stabilire anticipatamente la forma di una accettabile descrizione della natura della realtà, ma la richiede, nel senso che se è data una risposta sorprendente, deve essere offerta un’evidenza adeguatamente motivata a suo supporto prima di essere accettata.
Io personalmente sono contento di rapportarmi alle mie credenze, incluse le mie credenze religiose, proprio in questo modo. Forse questa è la più importante lezione che noi possiamo apprendere dalla meccanica quantistica.
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John Polkinghorne
(Queen’s College, Silver Street, Cambridge CB3 9ET, UK)
(Traduzione di Lorenzo Mazzoni dell’articolo Quantum mechanics and the nature of physical reality riportato in Euresis Journal, Volume 6, March 2014)
© Pubblicato sul n° 53 di Emmeciquadro