A partire dalla situazione attuale in cui domina una mentalità, affermatasi nel corso dell’ultimo mezzo secolo, che ha separato il concetto di «genere» da quello di «sesso» fino ad arrivare alla «teoria del gender», l’autore rilegge il tema della sessualità dal punto di vista scientifico.
L’identità sessuale è ontologica, nel senso che fa parte essenziale della struttura della persona umana, sia da un punto di vista strettamente genetico, sia da quello globale dell’«integrazione tra fattori biologici, psichici e culturali, che non sono estrapolabili». Di qui la proposizione che l’omosessualità non ha un fondamento biologico e la denuncia della falsa «scientificità» della teoria del gender che, isolando un fattore culturale da tutti gli altri, rappresenta l’indebita intrusione nella scienza di una visione ideologica.
Fino a quando sesso e genere erano sinonimi, l’identità di genere era intesa come integrazione ordinata di tutti gli aspetti che la compongono: genetici, gonadici (presenza di testicoli o di ovaie), fenotipici (forma del corpo), psicologici (psiche maschile e femminile), culturali (educazione) e sociali (ruoli).
Dagli anni Cinquanta del secolo scorso il termine «genere» non ha più avuto l’equivalenza con la parola «sesso», si è verificato uno slittamento semantico che è importante conoscere: sono comparsi i «generi Kinsey», i generi GBLT (GBLT fa riferimento all’acronimo di Gay, Bisessuale, Lesbico, Transessuale, descrizione dei comportamenti sessuali nei famosi Rapporti Kinsey).
È poi comparsa «l’identità di genere», secondo la definizione di John Money, che la intende come la percezione di sé come maschio o femmina, cioè separando l’oggettività dell’essere di un certo sesso (maschio o femmina) dalla soggettività del «sentire» di appartenere a quel sesso, consapevolezza considerata il puro esito di una costruzione culturale, il frutto della educazione ricevuta e perciò modificabile (vedi Bruce Brenda e David di John Colapinto, edizioni San Paolo per capire su quale bugia scientifica sia fondato il concetto di identità di genere).
Abbiamo anche il «ruolo di genere», inteso come manifestazione pubblica dell’identità di genere: al di là di ciò che io sento, il ruolo rappresenta ciò che mostro agli altri di me rispetto all’identità sessuata. Infine abbiamo l’«orientamento sessuale», inteso come direzione del desiderio erotico, rispetto non solo alla differenza dei sessi, ma anche rispetto all’oggetto del desiderio che potrebbe essere, oltre a un uomo o a una donna, anche un oggetto qualsiasi, un feticcio, un animale, un bambino o addirittura un morto, come eventi di cronaca ci testimoniano.
Culturalmente è stata annunciata la liberalizzazione dell’orientamento, del ruolo e dell’identità di genere sulla base del desiderio individuale, pretendendo l’ontologizzazione di ciò che si sente, di ciò che si desidera essere a prescindere dal biologico: l’orientamento diventerebbe la legittima essenza della persona.
La persona umana: una realtà ontologicamente sessuata?
La persona umana è una realtà ontologicamente sessuata, descrivibile e oggettivabile in modo «preconfessionale»? La tesi opposta è che la persona umana sia un’identità astratta, un individuo, un soggetto/oggetto di diritti, identificabile di volta in volta attraverso il suo orientamento. Dunque: esistono l’uomo e la donna, come identità sessuate oppure esistono i soggetti GBLT-IA-Q-GV? Queste ultime sigle sono in breve: I = intersexual, A = asexual, Q = queer, GV = gender variants, in cui tutte le caratteristiche si scompongono in un caleidoscopio di possibilità (vedi i più di cinquanta «generi» previsti da Facebook).
L’identità sessuata, a livello scientifico, è riconosciuta come un’inestricabile interdipendenza tra fattori che sono «naturali», secondo un discorso che include il biologico e il culturale, proprio perché l’essere umano possiede questa realtà relazionale, è impastato nelle sue relazioni, quindi nella «cultura».
La cultura, occorre ricordare, non è un’astrazione, ma il risultato dell’interrelazione tra persone vive e reali, non scaturisce dal nulla, ma è il prodotto della relazione tra le persone. Rispettando l’integrazione tra fattori biologici, psichici, culturali, che non sono estrapolabili, abbiamo un discorso valido sulla persona intesa nella sua unitarietà; quando si frantumano queste componenti, pretendendo di isolarne una sola come «causativa», si rischia una deflagrazione di senso e di consenso.
Sul sesso genetico è interessante notare come si ascrive anch’esso a un discorso relazionale. Perché venga concepito un nuovo individuo si deve verificare un’interrelazione tra cromosomi maschili e femminili derivati dai gameti (ovulo, spermatozoo), che genera l’appaiamento di 23 coppie di cromosomi che portano a un maschio se nella 23ma coppia troviamo XY, oppure a una femmina, se la 23ma coppia è XX e ciò in funzione della differenza tra X e Y.
Un altro dato di fatto è che l’essere umano non cresce come embrione, almeno per adesso, al di fuori del corpo, ma all’interno di una relazione, ospitato in un corpo sessuato, un corpo femminile.
La funzione primaria del cromosoma Y è organizzare la mascolinizzazione delle gonadi (testicoli), del fenotipo (forma del corpo dotato macroscopicamente di scroto e pene) e di organizzazione cerebrale: in assenza di Y, diventiamo tutti femmine, ma su questo non intendo dilungarmi.
La sessualizzazione prenatale
La sessualizzazione comincia in epoca prenatale e continua per tutta la vita in modo dimorfico, cioè esiste un binario separato di sviluppo per maschi e femmine che inizia a partire da questo momento iniziale e procede per tutta la vita. È chiaro che se si verifica un’anomalia biologica, un percorso embrionale accidentato, la fisiologia diventa a questo punto non più biologia fisiologica, ma patologia, e possiamo vedere delle alterazioni macroscopiche (malformazioni) che di solito indicano a livello di espressione corporea qualcosa che non è solo una esteriorità del corpo «ferito», ma interessa anche la parte psichica e comunque interessa tutta la persona.
La sessualizzazione prenatale infatti non è solo un fenomeno del corpo inteso come esteriorità (se si nasce con un pene, si è maschi, con una vagina, femmine). È qualcosa che riguarda anche l’organizzazione neuronale del cervello, in particolare influisce su caratteristiche tipicamente umane come l’organizzazione del centro del linguaggio, sul cui «innatismo» esperti come Noam Chomsky e altri dibattono da un sacco di tempo in modo anche assai vigoroso; sta di fatto che l’organizzazione di una abilità tipicamente umana (comunicare attraverso il linguaggio), attuata attraverso la verbalizzazione, prevede una differenziazione tra uomo e donna già prima della nascita, nel modo differente in cui si organizzano i neuroni, come ci confermano le neuroscienze.
Sappiamo per esempio che nel maschio vi è una prevalente lateralizzazione del centro del linguaggio a sinistra, laddove nella donna questo è ampiamente rappresentato anche destra.
I disturbi dello sviluppo sessuale
Possono esistere disturbi dello sviluppo sessuale, che vengono chiamati con l’acronimo SDD, cioè Sex Developement Diseases; ma è molto importante tenere chiaramente separato metodologicamente ciò che accade in biologia e in fisiologia, dall’ambito patologico.
Questo richiede un atteggiamento di massima accoglienza e delicatezza, rispetto a chi è portatore, per esempio, di sindromi genetiche da «eccesso di cromosoma X» nel maschio (per esempio XXY, sindrome di Kleinefelter) oppure di «carenza di cromosoma X» nella femmina, (per esempio XO, sindrome di Turner) in cui il deficit della doppia X genera una carenza di femminilizzazione.
Esistono situazioni molto più complicate, che in questa sede non possiamo dettagliare, come i mosaicismi, ma è importante sapere che esistono come patologie, perché oggi invece si parla, a sproposito, di intersessualità come di un «terzo sesso».
L’intersessualità non è l’ermafroditismo (presenza contemporanea di testicoli e ovaie, una sindrome simbolicamente abbastanza importante ma rarissima). Esiste per esempio la sindrome di Morris, che colpisce 1 su 40.000 persone: maschi che sembrano femmine, che hanno i cromosomi numericamente normali, ma a livello di DNA, hanno un’anomalia recettoriale, cioè il messaggio normalmente secreto dalle gonadi (l’ormone chiamato testosterone) non viene correttamente recepito dagli organi che dovrebbero recepirlo: il deficit recettoriale può essere completo (la sindrome allora si chiama CAIS, completa insensibilità agli androgeni) oppure parziale (PAIS, parziale insensibilità agli androgeni), il che crea certamente ambiguità sessuali. Queste vanno lette correttamente, cioè come problematiche di tipo patologico.
Questo per dire che gli stati intersessuali non sono un terzo sesso; sono in certi casi legati a una problematica patologica dello sviluppo normale dei recettori deputati, in questo caso gli androgeni; esistono altre patologie su cui non mi addentro e che rimangono patologie.
Un altro aspetto su cui è necessario fare chiarezza è che nella «disforia di genere», che è il cosiddetto «transessualismo», per cui una donna crede di essere un uomo o viceversa, non abbiamo anomalie dal punto di vista dello sviluppo biologico, ma si tratta di una dispercezione psicologica del soggetto a fronte di una normalità genetica, ormonale, recettoriale, confermata anche da dati recenti: le anomalie genetiche concernenti gli ormoni sessuali non sono collegabili alla disforia di genere, quindi dobbiamo abbandonare l’idea che la persona «transessuale» sia così a causa di una malattia organica, ormonale.
L’omosessualità: un fondamento biologico?
L’attrazione per le persone dello stesso sesso (comunemente detta omosessualità, più correttamente a livello scientifico chiamata SSA, Self Sex Attraction = attrazione per le persone dello stesso sesso) rappresenta un «terzo sesso» biologicamente dimostrabile?
Questa è una domanda interessante, perché la depatologizzazione a livello psichiatrico della omosessualità ha avuto un itinerario graduale partire dagli anni Settanta del secolo scorso in poi, castrando completamente ogni discorso sulla SSA, tabuizzando il discorso sulla valutazione empirica e scientifica delle cause della attrazione per le persone dello stesso sesso e bollandolo come «omofobico».
Una recente ricerca ha riassunto dati presenti in letteratura concludendo che non abbiamo evidenze di tipo genetico-ormonale che ci confermino un innatismo genetico rispetto all’omosessualità e ipotizzando una spiegazione indimostrabile scientificamente, la possibile «influenza epigenetica», cioè l’influenza di frammentini mitocondriali di materiale genetico di derivazione materna, (che non appartengono al patrimonio genetico «maggiore») in grado di indirizzare la preferenza sessuale.
Rimangono due dati di fatto: nei gemelli identici non si ritrova se non in una percentuale modesta l’attesa concordanza dell’orientamento sessuale (e questa situazione rende impossibile appoggiare l’ipotesi dell’innatismo biologico), e l’epigenetica é un dato geneticamente fragile e indimostrabile per spiegare la determinazione di una caratteristica come l’«orientamento sessuale».
Non abbiamo alcuna persona biologicamente riconoscibile come «affetta» da attrazione verso lo stesso sesso, mentre abbiamo una mole davvero importante di dati di tipo «ambientale», che ci illustrano l’importanza di una costellazione di fattori relazionali.
Non esiste un algoritmo, per cui verifichiamo che se accade un certo fenomeno avremo una persona che sperimenterà l’attrazione per persone dello stesso sesso; esistono però costellazioni di modalità di relazione, nella storia personale di chi sperimenta SSA, che tendono a ripetersi, sulle quali non entriamo nel merito pur citandole: l’influenza di una madre dominante, di un padre «poco accessibile», la frequenza di abusi sessuali.
Il dimorfismo maschio-femmina
Il dimorfismo, cioè il fatto che esistono due forme differenti del corpo umano, maschile e femminile, è difficile da negare: maschio e femmina sono differenti; tuttavia nel clima scientista emerge la necessità di portare a supporto di questa evidenza una serie di dati «scientifici».
Io non lo farò ma segnalo che oggi esiste un problema: una lapalissiana evidenza non è riconosciuta come tale, se non è scientificamente «validata» dal nuovo totem scientifico della «letteratura scritta».
Maschi e femmine, sono differenti; scientificamente è acclarato che vengono concepiti più i maschi, ma essi sono biologicamente anche più vulnerabili, e qui c’è tutta una serie di evidenze in merito, sulle quali non mi soffermo.
Dunque, anche se fa sorridere, «scientificamente» i maschi sono diversi dalle femmine, A è diverso da B; questo è il succo del discorso fino a ora esposto! Facciamo ora un passo avanti, piccolo, ma di logica. Dunque: se A e B sono differenti, A+A e B+B potranno essere uguali ad A+B?
Questo per ricorrere a un semplice passaggio logico, quel modo di procedere che oggi viene ad essere smentito nella pretesa di scavalcare la differenza contro ogni ragione e ogni evidenza, pretendendo anche di richiedere che siamo legittimati a farlo «per legge».
La sessuazione psichica
Abbiamo cercato di sintetizzare alcune caratteristiche della identità sessuata come hardware, ma ci scontriamo con il fatto che questo non è un hardware, non è una macchina, ma è qualcosa di vivo, è ciò che in realtà «io sono». E l’«io» interno esiste in relazione costante con l’esterno.
Così una serie di fattori culturali modella il cervello, inteso come materiale plastico meccanico-biologico che entra in relazione con l’ambiente. Dal punto di vista psicologico si parla di una vera e propria «sessuazione» psichica. Avviene una sorta di maturazione di attitudini, capacità, abilità; pensiamo, per esempio, al fatto banalissimo di parlare, ma anche ad abilità molto più complesse, tutte caratterizzate da una enorme potenzialità, tipicamente umana, di apprendimento.
Questa plasticità, collegata all’apprendimento, è anche un po’ la cifra del suo limite relazionale: si pensi al cerbiatto che appena nato è già in piedi e può correre con la sua mamma cerbiatta. Noi non possediamo abilità rapidamente acquisite, abbiamo una necessità di accudimento estremamente più prolungata.
Rimane il fatto che ogni singola cellula del corpo e del cervello è e rimane segnata dal dimorfismo, da questa differenza uomo-donna, maschio-femmina iniziale in ogni tappa dell’apprendimento. L’identità sessuata è relazionale e adattativa: questo è un punto importante, perché non possiamo parlare di un io biologico, se non lo collochiamo e contestualizziamo in una rete di relazioni.
Non esiste una identità sessuale astratta e neanche un corpo contenitore di uno psichismo che in qualche modo vi venga «versato» dentro, come se si trattasse di una specie di «umore aereo», sganciato dalla dimensione neurosensoriale.
I nostri sensi fanno sì che il nostro cervello immagazzini in modo contemporaneamente attivo ma anche passivo, una modalità involontaria molto più complessa di quanto crediamo. Tutta una serie di informazioni neurofisiologiche ci dicono che attraverso i sensi, e con un filtro emotivo, si «costruisce» la psiche.
Si capisce allora che «la vita psichica emana come estensione, interiorizzazione e integrazione della corporeità nella vita psichica» come sottolineato dallo psicanalista Tony Anatrella (La teoria del gender e le origini della omosessualità, San Paolo, Milano 2012). Paroloni per esplicitare che non c’era bisogno probabilmente di Freud per riconoscere l’importanza di avere e di scoprire di avere una bocca, piuttosto che un ano, o un organo sporgente chiamato pene, piuttosto invece che una fessura chiamata vagina nella costruzione dell’identità sessuata. Cavità e protuberanze non possono che segnare l’identità, la percezione che ho di me stesso, inteso come «io nel corpo».
Non vorrei avere banalizzato e capisco che la semplificazione può sembrare demolitiva: al contrario trovo molto importante tutto l’itinerario psicanalitico, psicologico, i vari contributi che ci sono stati dati, perché hanno reso di dominio pubblico il concetto della importanza della differenza corporea nella iscrizione della percezione di sé in quanto persona sessuata.
Qual è il problema psicanalitico? Quello di estremizzare il sesso, inteso come «pulsione erotica», come se quello fosse l’unico «motore» della persona. Il motore della persona non è il sesso in quanto tale, ma è innegabile l’importanza della scoperta della propria identità sessuata, scoprire di essere come noi siamo. Cioè è imprescindibile rendersi conto che vi è contemporaneamente sia la dimensione del «dono ricevuto» che quella di «compito affidato», perché naturalmente per abbracciare la propria identità con gioia, anche nelle sue evidenze e limiti fisici, corporei, entra in gioco la nostra libertà.
Ma il comportamento sessuale, alla fine, a cosa è legato? Alla decisione, personale, di che cosa fare rispetto alla pulsione sessuale che uno sente nascere in sé. A un certo punto della vita, dall’intersezione di tutti questi elementi (assetto biologico, psichismo, influenze culturali) si genera un desiderio.
Come si orienta il desiderio nell’essere umano? Non è istintivo, è pulsionale, tant’è che gli esseri umani possono «fare l’amore» a prescindere dalla fecondità della femmina; possono fare i cosiddetti giochi erotici, possono far «ginnastica ansiolitica» dall’ombelico in giù, possono vendersi, possono fare un sacco di cose che gli animali non fanno, essendo in quanto animali legati al comportamento istintuale primariamente deputato alla propagazione della specie.
Quindi occorre fare attenzione al fatto che pulsione e comportamento non equivalgono, perché, a fronte di qualsiasi pulsione, l’essere umano può scegliere cosa fare o non fare. Questa è una caratteristica tipicamente umana; emerge l’importanza delle scelte valoriali e quindi dell’etica e l’etica non è mai neutra.
Il gender: intrusione di una visone ideologica nella scienza
A questo punto affrontiamo il gender, avventura sintetizzabile in questo senso come l’intrusione di una particolare visione politica e filosofica nella scienza e nella legge, a gamba tesa.
Questo il vero problema, l’entrata a gamba tesa di una visione ideologica senza che vi sia stata una opportuna preliminare condivisione, un consenso rispetto alle tematiche trattate, sia nel mondo scientifico che nel mondo giuridico e, più in generale, nel mondo sociale.
Questa disamina, condivisione e consenso non c’è! E l’imposizione tende ad avvenire da parte di una minoranza, che definirò «gendercrazia», attraverso meccanismi legislativi veicolati da una neolingua disancorata dalla realtà. Cerco di chiarire.
Cosa ci dice il gender? Annuncia la dissoluzione del concetto di fisiologia e di norma, pretende che questa non esista, rifiuta il sistema binario che distingue il fisiologico dal patologico, nega che esista una patologia piuttosto che una devianza, intesa non in senso moralistico, piuttosto come l’allontanarsi da un cammino (lo sviluppo fisiologico) in cui riconosciamo un’armonia, un senso, un fine.
Il gender pretende una rivoluzione basata sulla decostruzione culturale, cioè afferma che tutto è cultura, tutto può essere manipolato e qualsiasi scelta è possibile a prescindere dal biologico per l’individuo umano.
È un problema molto serio in ambito scientifico accertare se questa posizione deve essere passivamente accettata o se invece se ne può discutere in quanto, forse, non è una prassi prevedibilmente foriera di bene. Perché il gender, radicalmente, afferma il primato del desiderio, non specifica di quale desiderio, anzi sostiene qualsiasi desiderio e in particolare pretende di fare del desiderio dell’essere umano, inteso come «macchina desiderante», un diritto a prescindere dall’analisi del suo contenuto e delle sue conseguenze.
Nel primato del «processo di soggettivazione», il gender pretende che una parte specifica dell’individuo, la sua pulsionalità, venga in qualche modo «autorizzata» in senso generale, senza che vi sia una lettura razionale, ragionevole delle sue connessioni con il biologico. È un nodo molto serio, che va affrontato.
Il gender molto sinteticamente rigetta l’unitarietà bio-psico-culturale, questa integrazione che scientificamente vediamo come fondativa pure nella sua estrema complessità. Siamo di fronte a un problema davvero serio perché viene rigettato, diciamo in toto, oltre al sistema binario anche la prerogativa tipicamente umana del linguaggio inteso sì come etichetta arbitraria, ma etichetta ancorata al reale e quindi linguaggio come possibilità effettiva di comunicare tra di noi circa la realtà.
Il linguaggio nel gender viene interpretato come una etichetta violenta, una modalità arbitraria e oppressiva per nominare la realtà con finalità di dominio e di subordinazione dell’altro, inoltre si tratta di un linguaggio non agganciato alla realtà perché il gender ritiene che la realtà non sia di per sé conoscibile. Anche il problema dell’interpretazione negativa del linguaggio nel gender è molto serio perché è proprio dell’essere umano, oltre alla possibilità della razionalità, quella della comunicazione attraverso il linguaggio, cioè la parola, parlata e scritta.
Questi tre cardini: no al biologico, pulsionalità come diritto, negazione del linguaggio (o meglio della pregnanza del linguaggio) rispetto alla realtà, sono i tre nodi fondativi che ci mettono in difficoltà con il gender come teoria socialmente condivisibile e ne svelano la natura ideologica.
Cosa afferma in particolare il gender sulla sessualità? Che l’identità sessuale è il risultato di sovrastrutture culturali e sociali da abbattere, che la sessualità è da liberare in senso polimorfo a seconda delle preferenze soggettive. Alcune espressioni ci aiutano a capire meglio: «i corpi non hanno senso al di fuori dei discorsi che ne definiscono il sesso; i corpi, i loro processi, le loro parti non hanno alcun senso al di fuori dei modelli culturali e sociali che permettono di interpretarli» (H. Moore).
La sessualità per il gender non è espressione dell’identità anche biologica, ma a prescindere da questa, quindi la sessualità come desiderio fluido, modificabile, indicibile, (è molto importante questa sottolineatura, non bisogna appoggiare il biologismo, ma ricordare che l’identità è anche biologica).
Per il gender io sono, faccio, ciò che sento o penso di essere o di fare.
La dicotomia corpo-psiche nella teoria del gender
La teoria del gender affonda in una radice molto antica, quella della dicotomia corpo-mente o comunque corpo-psiche, che pretende uno sganciamento delle due cose, cosa che abbiamo visto essere scientificamente incompatibile come lettura oggettiva di quello che accade in ogni individuo.
Incide nella teoria gender una lettura di Marcuse (Eros e Civiltà per esempio) in cui la differenza sessuale è intesa come disuguaglianza da abbattere: il concetto di lotta di classe non è «politico» ma trasposto su questa differenza maschio-femmina, che non è vista per quello che è, cioè una differenza da accogliere, ma viene interpretata come una disuguaglianza da abbattere: eliminiamo la differenza così smetteremo di combattere!
Influiscono enormemente sul gender il femminismo radicale, tema che non posso qui approfondire e l’omosessualismo filosofico, militante e che ha «studiato» la teoria del linguaggio. Un inciso: è importante notare che moltissimi degli autori del gender sono essi stessi di orientamento omosessuale, perché persone in armonia con gli assi portanti che abbiamo detto prima (il biologico, il culturale, il relazionale) direbbero forse cose meno «strane» rispetto a una realtà che non è da loro percepibile come «norma» perché osservata da una posizione adattativa differente.
Michel Foucault, studioso omosessualista, filosofo, ha detto: «La nozione di sesso non esiste prima di una sua determinazione all’interno di un discorso in cui vengono specificate le sue costellazioni di significato».
È un discorso complesso da un punto di vista filosofico, concettualmente in sintesi è negato il fatto che il linguaggio sia ancorato al reale. Ma se le parole possono dire qualunque cosa, a prescindere dall’ancoraggio alla realtà a cui sono riferite, a quel punto è aperta la strada alla incomunicabilità totale.
I nemici della ideologia di genere.
Curiosamente, in questa «liberalizzazione per tutti» vengono identificati dei nemici. Chi sono?
Il cristianesimo e la Chiesa Cattolica in particolare, definita patriarcale, androcentrica, affetta da paradigma eterocentrico, sessista e sessuofobica; la psicanalisi classica, perché prevede un processo di sessuazione psichica (la fase orale, la fase anale, la fase genitale, il complesso di Edipo … via tutto!).
Perché la sessuazione, l’itinerario a tappe (che prevede un punto di partenza e una meta da maschio a uomo, da femmina a donna), per fiorire a una identità adulta si oppone al concetto che ognuno può essere quello che vuole a prescindere dal biologico. L’aggancio tra la corporeità e lo psichismo viene tagliato, censurato.
La pregnanza del linguaggio.
È il concetto dello strutturalismo «positivo» a essere messo in discussione, cioè si questiona il riconoscere che ci sono strutture del linguaggio che aderiscono a regole, la grammatica stessa, che sono consensi culturali, fluidi e mutevoli, ma significativi per una effettiva comunicazione.
La consapevolezza della strutturazione «arbitraria» del linguaggio, non impedisce di riconoscere che è necessario un oggettivo ancoramento delle parole alla realtà, altrimenti ci si vota all’incomunicabilità.
Il gender invece promuove il «giochiamo alla destrutturazione», alla decostruzione del linguaggio e delle parole e genera l’«antilingua» come modalità rivoluzionaria.
Il rifiuto dell’eterocentrismo.
È il rifiuto consapevole, volontario, dichiarato di riconoscere che nella differenza sessuale esiste un valore fondativo.
La stessa parola «eterosessualità» è già un neologismo, recente e introdotto artatamente, perché dal punto di vista del significato la realtà vera è l’esistenza del sesso che indica il principio di una significativa differenza, separazione, dicotomia tra esseri umani. Maschio e femmina, uomo e donna, non esplicitano altro che questa radicale differenza, cioè non sono primariamanete «eterosessuali», sono piuttosto reali esseri «sessuati», «normativi» rispetto a tutto quello che discende osservando la differenza che li contraddistingue. L’aggettivazione «eterosessuale» come caratteristica del tipo di attrazione che li contraddistingue è stata coniata dopo, curiosamente in ossequio alla comparsa della parola «omosessualità», mentre la vera parola da non oscurare è «sesso».
Le pretese del gender sono che la perversità polimorfa post-freudiana sostituirà la sessualità eterosessuale, omosessuale, bisessuale con avallo legislativo.
Uso strumentale della scienza.
Se il gender vuole prescindere dal biologico allora non dovrebbe chiedere di usare la scienza come strumento per realizzare i suoi desideri. Perché se vuole prescindere dalla scienza allora deve arrangiarsi senza la scienza (ma come la mettiamo con i bambini in provetta, gli ormoni, la chirurgia eccetera, necessari per realizzare il desiderio a prescindere dal bio-logico?)
La scienza in realtà è negata, ma usata. Infatti la FIVET, l’utero in affitto (la maternità surrogata per i progetti omogenitoriali) sono un must irrinunciabile per il gender. Perché evidentemente, se il principio biologico è duale, cioè richiede una differenza iniziale che entra in relazione per creare il nuovo individuo, e questa dualità non è rispettata nella omogenitorialità, è chiaro qualche escamotage biotecnologico bisognerà usarlo.
A quel punto, il biologico, ragionevolmente ancorato alla realtà, cioè vero, diventa utile: come la chirurgia e l’endocrinologia per l’inesistente «cambiamento di sesso».
Il gender pretende accademicamente di prescindere dal biologico, però lo utilizza per i sui scopi. Circa il cyborg-gender non entro nel merito perché è un argomento ancora più complicato.
Rispetto del «diritto» di scegliere.
Se tutti hanno il diritto di scegliere, tutti devono «continuare» ad avere il diritto di scegliere. Non è ammissibile che alcuni possano scegliere più degli altri o che ad alcuni sia impedito di scegliere.
Questo è un po’ il motivo per cui è inaccettabile che si oscuri il disturbo F66.1 e il relativo diritto a richiedere cure per un orientamento sessuale indesiderato.
Osservazioni conclusive
Per concludere: «tutto passa attraverso il linguaggio» non corrisponde a «tutto è linguaggio»! Ma la terminologia è fondamentale.
I pericoli dell’antilingua sono evidenti: diritto alla salute diventa eutanasia; diritto riproduttivo diventa aborto, contraccezione, fecondazione in vitro; omofobia, transfobia. La neolingua veicola concetti inesistenti, confonde e plasma il nostro modo di pensare e di essere.
La disapprovazione informata dell’ideologia di genere, tuttavia, non è lo stesso che «omofobia, transfobia, eccetera» e non è un «discorso dell’odio» quanto piuttosto amore per la realtà e per la ragione. Infatti stiamo facendo un discorso oggettivo, oggettivabile, riconducibile a fonti che tutti dovremmo andare a verificare. Bisogna restare ancorati alla realtà, e devono esserlo anche la scienza, la cultura, e la legislazione resistendo alla tendenza egemonica della gendercrazia.
Noto che c’è una certa tendenza violenta, nel senso che il disconoscimento della realtà bio-logica è già una violenza in sé: se accarezzi la natura, lei ti abbraccia, ma se la violenti probabilmente non risponderà in maniera molto positiva.
Per finire: nella teoria gender dove i soggetti sono GBLT-QIA-GV, un «io» desiderante, astratto, giocando sulla decostruzione dell’unitarietà della persona «reale» (frammentando psichismo, biologia, linguaggio e ruoli) «definisce» il proprio spazio di «macchina desiderante», prescindendo dalla significanza del «bio-logico» che oggettivamente struttura e precede il suo pensiero.
Tuttavia un vasto e crescente corpus di prove genetiche, neurofisiologiche, psicocomportamentali, etologiche, sociologiche, eccetera mostrano che, scientificamente parlando, la classificazione sessuale è ben più che un semplice costrutto sociale.
Le richieste decostruzioniste del gender rappresentano un nodo da affrontare in medicina e psicologia e al più presto in ambito pubblico, non solo da parte di alcuni addetti ai lavori.
L’essere umano nel suo dimorfismo uomo-donna rimanda a un mistero. Questo è importante da ribadire: siamo davanti a qualcosa di veramente grande, di cui medicina, psicologia e filosofia non possono pretendere di esaurire univocamente la misteriosità, la ricchezza, la complessità, ma che possono arrivare a descrivere in modo ragionevolmente condiviso se non si disancorano dal reale.
Distaccandoci dal reale possiamo dire di tutto e di più, però non stiamo più facendo cultura, ma delirio.
È necessario stimolare il dibattito antropologico e scientifico pubblico sulla differenza maschio/femmina, non letta come disuguaglianza da abbattere, ma come chiamata a una feconda relazione.
[Una versione più dettagliata di questo articolo si può trovare in: Chiara Atzori, La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo?, Solfanelli 2014].
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Chiara Atzori
(Dirigente medico ospedaliero, specialista in malattie infettive, membro dell’Associazione Scienza&Vita, Milano)
© Pubblicato sul n° 53 di Emmeciquadro