La Scienza alla prova della realtà
Ci vuole coraggio per essere scienziati. Non ci riferiamo solo alle purtroppo note difficoltà di lavoro, almeno in Italia, per chi si dedica all’attività di ricerca; problema peraltro che ha diverse sfaccettature e che non sopporta valutazioni troppo sbrigative. Ci riferiamo piuttosto al vivo dell’esperienza diretta del ricercatore, al suo lavoro giornaliero, in qualunque contesto di ricerca; e per analogia possiamo riferirci all’insegnamento scientifico e allo studio delle discipline scientifiche.
Ci vuole coraggio nel proporre nuove interpretazioni dei fenomeni e delle evidenze sperimentali; nell’elaborare nuove teorie, nello sviluppare formulazioni originali delle leggi e delle relazioni che descrivono i comportamenti della natura; col rischio sempre incombente di vederle falsificate dai fatti, o di non trovare una adeguata corrispondenza con nuovi e imprevisti risultati sperimentali.
Basti pensare all’eleganza e alla potenza esplicativa delle equazioni di Maxwell, messe a punto centocinquanta anni fa dal grande fisico scozzese. Nell’articolo che ne ripercorre la storia in questo numero di Emmeciquadro, Giorgio Sironi ne mette in luce l’importanza come primo traguardo nella corsa, tuttora in pieno svolgimento, verso l’unificazione delle forze fondamentali della natura; evidenziandone anche i limiti e il conseguente ruolo decisivo nell’aprire la strada alla teoria della Relatività einsteiniana e alla quantistica.
Ma si può pensare, ancor più, a quei momenti di rottura nella visione del mondo che hanno portato a nuove concezioni della realtà naturale e a nuovi approcci alle scienze. Il caso più eclatante è proprio quello della quantistica, che da un lato continua a registrare conferme anche nelle sue conseguenze applicative; dall’altro si trascina enormi questioni irrisolte, che interpellano non solo i fisici ma anche i filosofi e un po’ tutto il mondo culturale contemporaneo. John Polkinghorne, che ha vissuto dall’interno questo travaglio nella sua attività di ricercatore a Cambridge, ci offre una chiara descrizione delle questioni aperte. In particolare, rispetto al tentativo di comprendere come il mondo chiaro e reale della nostra esperienza quotidiana possa emergere dal substrato quantistico nebbioso e irregolare, il fisico-teologo inglese non esita a dichiarare che non c’è ancora «una risposta completamente soddisfacente o universalmente accettata a questa domanda del tutto ragionevole».
Forse però un coraggio maggiore è necessario per compiere i passi successivi alle proposte teoriche: quelli che portano a sfidare direttamente la natura, a mettere le proprie idee alla prova della realtà, costruendo apparati sperimentali che possono assumere le dimensioni gigantesche dei laboratori sotterranei del CERN di Ginevra o mettendo in orbita la sofisticata strumentazione dei telescopi spaziali. D’altra parte è un passaggio necessario nel cammino della conoscenza scientifica, nella quale non ci si può limitare a costruire architetture teoriche rigorose e ben configurate ma bisogna sottoporre ogni ipotesi al «tribunale della realtà». E quanto più il controllo sarà severo e intransigente, tanto più la teoria ne uscirà corroborata e accettabile.
Un’ulteriore dose di coraggio è richiesta al termine delle prove, quando si tratta di accettare il verdetto che la realtà inesorabilmente emette. Questo a volte è nettamente negativo; qualche volta è decisamente positivo; il più delle volte, soprattutto nel caso dei grandi esperimenti che implicano prove prolungate e complesse, il responso della realtà conferma una parte delle ipotesi ma ne falsifica altre; o più spesso introduce nuovi fattori che comunque impongono una revisione di molte idee e paradigmi che si ritenevano assodati. Certo, si può sempre fare ricorso in appello, o invocare altri testimoni, o migliorare l’arringa… ma prima o poi si arriva all’aut aut: o si riconosce la novità e si inizia il duro lavoro di revisione critica, oppure ci si intestardisce sulle proprie convinzioni, chiedendo alla realtà di adeguarsi.
È a questo livello che si può comprendere meglio il peso e il ruolo di concetti come libertà e responsabilità nell’esperienza scientifica. E si capisce anche come tutto ciò abbia un significativo risvolto educativo.
Insegnare discipline scientifiche con la piena e continuamente rinnovata consapevolezza di queste dinamiche, contribuisce a formare nei giovani una visione di scienza interessante ed entusiasmante; e consente di inserire all’interno del sapere scientifico gli anticorpi che possono opporsi a una pratica della scienza come presuntuoso e dispotico dominio sul reale.
Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)
© Pubblicato sul n° 53 di Emmeciquadro