Verso il Superuomo Tecnologico?

La versione attuale più preoccupante dell’antica idea di superuomo è quella espressa nelle varie posizioni che teorizzano l’avvento del trans-umanesimo o del post-umanesimo.
Secondo i guru di queste teorie, ci staremmo avviando verso il superamento della persona umana e della sua fisionomia tipica: quella che la contraddistingue da quando si è alzata in piedi nella savana centro africana e ha rivolto lo sguardo verso l’alto. Nell’essere trans-umano le componenti biologiche e psichiche si intrecciano con le apparecchiature hi-tech e i sistemi informatici per dar vita (?) a un individuo in grado di potenziare al massimo tutte le sue funzioni e di estendere a dismisura le sue possibilità di interazione con la realtà.
È il trionfo della tecnoscienza che realizza le sue capacità progettuali e costruttive indipendentemente da ogni giudizio di valore, mossa dal puro imperativo tecnologico secondo il quale un progetto si deve realizzare per il solo fatto di avere a disposizione gli strumenti per farlo. Non importa se quegli strumenti si applicano a sistemi materiali o a sistemi viventi e coscienti; non importa se l’intervento tecnico va a trasformare, come è legittimo fare se pur non incondizionatamente, l’ambiente naturale o se la trasformazione riguarda il soggetto stesso dell’intervento.
C’è una corsa inarrestabile a superare ogni limite, ogni abilità, ogni performance. E non solo da parte di chi ne teorizza la necessità; è un trend nel quale rischiamo di essere tutti coinvolti, più o meno consapevolmente. Questo movimento, se da un lato parte da una giusta aspirazione posta nel cuore dell’uomo che lo sospinge sempre «oltre», dall’altro oggi si manifesta a una velocità tale e con una tale assenza di riflessione critica che non può non preoccupare. Soprattutto chi ha una responsabilità educativa.
Si può osservare che ogni innovazione tecnologica ha avuto un effetto di feedback, è andata cioè a modificare comportamenti, a suscitare nuovi bisogni, a trasformare quindi gli uomini che l’hanno utilizzata. Tuttavia si è trattato di processi graduali, che hanno lasciato ampi margini di riflessione e hanno consentito che le redini della corsa restassero in mano al soggetto umano che l’aveva avviata.
In realtà ciò non è sempre accaduto e se ne sono già visti gli effetti traumatici. Ora però questa perdita del comando sembra essere una regola; che va ad applicarsi in un contesto di identità deboli e insicure, pronte a farsi sedurre da un display più luminoso o da un’apparecchiatura più smart.
Il «folle volo» verso il superuomo tecnologico è allora davvero fatalmente inarrestabile?
Se lo ritenessimo tale, sarebbe vano e velleitario proseguire in un lavoro educativo teso alla formazione di personalità mature e consapevoli. D’altra parte, poiché il problema si pone, può essere utile individuarne i diversi aspetti e trarne le conseguenze fino al livello didattico.
Il dialogo a distanza tra Olivier Rey e Paolo Musso, in questo numero, mette a fuoco i punti cruciali, additando sia il pericolo di una perdita di identità sotto i colpi di una tecnologia sempre più invasiva, sia la tendenza negativa e controproducente a mettere sul banco degli imputati la tecnologia in sé prima e invece di proporre una seria riflessione sulla natura della tecnologia e sulle condizioni del suo utilizzo.



Mario Gargantini
(Direttore della Rivista Emmeciquadro)

© Pubblicato sul n° 54 di Emmeciquadro

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