L’apprendimento della matematica presenta spesso un ostacolo per studenti dei diversi livelli di scuola, già dai primi anni della primaria.
L’autore, individuando tra le cause una visione riduttiva della reale essenza della matematica che l’adulto porta con sé dai propri studi giovanili, suggerisce la necessità di una conversione culturale da parte del docente e ne analizza le caratteristiche necessarie per una didattica più adeguata allo statuto della disciplina e più rispettosa dei livelli di maturazione intellettuale e psicologica degli alunni. In particolare l’attenzione è rivolta agli ostacoli che gli insegnanti incontrano nell’introduzione della matematica al primo livello scolare, e si suggerisce qualche proposta per superarli.
L’articolo ripropone una relazione, presentata nel giugno 2014 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, nell’ambito del Convegno Ma.Pe.S., dal titolo:
Le difficoltà della matematica. Una sfida per insegnanti e alunni.



Tra le attuali difficoltà degli insegnanti, un’importanza rilevante assume l’atteggiamento mentale formatosi per effetto del curriculum scolastico seguito da ciascuno, nel quale generalmente non hanno avuto adeguata importanza l’aspetto culturale e razionale della disciplina e le caratteristiche psicologiche di chi apprende.
Questo bagaglio, frequentemente troppo ancorato all’aspetto simbolico e formalizzato della matematica, rischia di trasformarsi in un ingombrante impaccio per l’insegnante, che tuttavia, quasi inconsapevolmente, fatica a distaccarsi dall’impostazione ricevuta, poiché essa rappresenta una specie di porto sicuro.
La posta in gioco è molto alta, perché molte delle difficoltà che incontrano i bambini (spesso diagnosticate come DSA – Disturbi Specifici di Apprendimento – o altro), in molti casi sono influenzate dalle difficoltà e dalle paure accumulate nei riguardi della matematica dall’insegnante stesso, negli anni del suo apprendimento.
Poiché questa situazione proviene da una certa impostazione culturale, per superarla, è necessaria una specie di conversione culturale.



Difficoltà dell’insegnante che tenta di cambiare tipo di didattica

Nel lavoro rivolto alla formazione degli insegnanti, nell’ambito delle attività dell’Associazione Ma.P.Es.- Matematica Pensiero Esperienza1-, molte volte mi sono sentita dire: «ho fatto come mi hai detto, ma non ho ottenuto i risultati sperati».
Persone desiderose di mettersi in gioco provano a cambiare tipo di didattica, ma non ottenendo i miglioramenti sperati, si sentono amareggiate e scoraggiate, a volte perfino con un senso di colpa, che è ingiustificato, poiché l’insuccesso non deriva da negligenza.
Come mai? A volte può succedere che il consueto modo di pensare sia così persistente da riportare l’effettiva prassi didattica agli schemi che si volevano superare. Per evitare questo scivolamento è necessario consolidare la consapevolezza dei riferimenti culturali che sono alla base delle nuove proposte didattiche. Tra vecchio e nuovo si tende una linea di confine molto sottile e delicata, come vedremo più avanti in alcuni esempi.



Difficoltà nella risoluzione dei problemi

Una specie di cartina al tornasole è costituita dalla risoluzione dei problemi, attività in cui, meglio che in altri ambiti, si evidenziano le dinamiche a cui si è accennato. Esaminiamo solo alcuni aspetti, che consentono di chiarire meglio che cosa intendo per conversione culturale.
[A destra: Vassily Kandinsky – Composizione VIII]
Nell’affrontare il testo di un problema, un frequente ostacolo per gli alunni (non solo stranieri) è costituito dalla carenza lessicale, perfino del linguaggio comune. Per esempio in un Diario di Bordo (in seguito DdB)2 ho trovato il racconto di un’insegnante che, dopo aver dettato un problema, aver spiegato la situazione e definito i vocaboli nuovi, con molta fatica ha scoperto che alcuni alunni non riuscivano a risolvere il problema perché non comprendevano il significato del vocabolo ripiano. Semplicemente avevano cercato di indovinare l’operazione da eseguire, incuranti della necessità di capire e di ragionare.
Tutti gli sforzi dell’insegnante erano vanificati. In queste situazioni sembra di finire in una sorta di vicolo cieco, ma la via per superare il blocco dell’indifferenza e dell’incomprensione riparte da un approfondimento.
Guy Brousseau, per spiegare situazioni di questo tipo ha denominato contratto didattico «l’insieme dei comportamenti dell’insegnante che sono attesi dall’allievo e l’insieme dei comportamenti dell’allievo che sono attesi dall’insegnante» [Brousseau G. (1986)].
Si tratta di una specie di contratto non consapevole e mai stipulato, che per esempio induce i bambini a pensare che risolvere un problema consista nell’indovinare l’operazione da svolgere tra i numeri dati, senza la necessità di capire i significati.
Anche l’insegnante non è pienamente consapevole di questa dinamica, per cui si sente disarmato e inefficace nel trovare rimedi.

Proseguendo nell’approfondimento, ci chiediamo che cosa significa risolvere un problema; ripartiamo da qui per cercare qualche via di uscita.
George Polya ha scritto: «Risolvere un problema significa trovare una strada per uscire da una difficoltà, per raggiungere uno scopo che non sia immediatamente raggiungibile […]. In generale un desiderio può condurre a un problema oppure no. Se viene in mente qualche azione ovvia che ci fa ottenere l’oggetto desiderato, non c’è problema. Se invece non viene in mente nessuna di tali azioni, ecco il problema. Quindi avere un problema significa: cercare coscientemente un’azione appropriata per ottenere uno scopo chiaramente concepito ma non immediatamente ottenibile» [Polya G. (1971)].
[A sinistra: Vassily Kandinsky – Composizione IV]
Al contrario, accade che quando gli studenti non sono in grado di precipitarsi a scrivere la risoluzione, essi stessi per primi emettono su di sé un giudizio negativo. Non viene in mente che invece questa possa essere la normale situazione di chi affronta un vero problema.
Anche Paul Cobb, afferma che risolvere un problema corrisponde a: «cercare una risposta per uscire da una situazione imbarazzante» [Coob P. (1985)]. Ma, per trovarsi in una situazione imbarazzante, è necessario che un «Io» desideri qualcosa di importante per sé e che non riesca a trovare una facile via per esaudire il proprio desiderio.
L’uscita dall’impiccio comincia se i dati della situazione e le relazioni tra di essi vengono percepite come significative dall’allievo e gli suggeriscono una strada. Invece nell’insegnamento tradizionale si cerca di evitare lo scontro con le difficoltà e si temono gli errori; anche per questo i bambini non vengono lasciati liberi di provare da soli: l’insegnante rilegge il testo del problema, spiega i vocaboli, richiama regole, fa raccomandazioni, ma è tutto inutile poiché i bambini non ascoltano, non si implicano, essendo il problema una cosa che non li riguarda, che non proviene da un loro desiderio.
Sorge allora spontanea la domanda: che proposte alternative si possono fare?

 

Una proposta
Ecco una proposta. Invece che partire dal testo di un problema già scritto, si comincia a coinvolgere l’alunno in un’esperienza reale.
Ho trovato un esempio simpatico in cui l’insegnante, cogliendo al volo una discussione tra bambini di seconda, che si contendevano il primato del numero di denti da latte caduti, li ha trascinati a impostare una serie di problemi e a costruire i relativi testi.
I bambini comprendono molto bene le situazioni in cui sono personalmente coinvolti; anche se inizialmente non conoscono il lessico corretto, ben presto apprendono tutti i vocaboli necessari.
Altro suggerimento è quello di invitare il bambino a rappresentare la situazione usando oggetti concreti (tappi, fagioli, gettoni) come simboli, e a usare anche altri tipi di rappresentazione, come disegni e schemi. In un lasso di tempo sufficientemente lungo, il bambino impara a scrivere il testo di un problema, impara varie strategie risolutive e l’utilizzo del simbolismo matematico.
Poi inizia una seconda fase in cui il bambino deve imparare ad affrontare un problema qualunque, espresso in un testo tradizionale non più collegato ad aspetti affettivi. Per fornire una motivazione è nata l’idea di coinvolgere gli allievi in un’attività che diventi un fatto personale, se non altro per il desiderio di vincere una sfida: Avete imparato come si scrive il testo di un problema che riguarda una situazione a voi nota. Ora vi lancio una sfida: vi presento il testo di un problema che riguarda una situazione nuova. Vediamo se attraverso la lettura del testo riuscite ad immaginare la situazione e a risolvere il problema.
É evidente che per accogliere e decidere di seguire questo percorso, nell’insegnante deve avvenire una vera rivoluzione mentale.

 

 

Difficoltà dell’insegnante nell’accettare l’uso di materiali concreti

 

Uno dei dieci punti in cui Polya coagula i suoi suggerimenti per rendere più efficace l’insegnamento è il seguente: «Il miglior modo per imparare qualsiasi cosa è di scoprirla da soli» [Polya G. (1971)].
In effetti è esperienza comune constatare che quando si cerca di alleviare la fatica degli alunni e si tende a non lasciarli agire da soli, si corre il rischio di bloccare la possibilità della scoperta personale.
Sorgono varie domande. Come lasciare che i bambini si scontrino con le difficoltà? Come realizzare un progetto che eviti salti nel buio?
Giustamente anche questa è una preoccupazione che trattiene l’insegnante dall’avventurarsi in attività inconsuete. Anche altri autori hanno interessanti suggerimenti, per esempio Hans Freudenthal con il concetto di «reinvenzione guidata», invita a predisporre le cose affinché i bambini siano protagonisti e costruiscano in un certo senso da soli la propria matematica [Freudenthal H. (1991)].
Che cosa significa? Come si può fare? Non è così semplice e immediato per un adulto abituato a seguire altre vie, immaginare come fare.

Un suggerimento è di utilizzare oggetti manipolabili: se si rigirano degli oggetti tra le dita, anche il pensiero si muove, possono venire alla mente analogie, similitudini, semplificazioni, collegamenti, si possono scoprire relazioni che prima non erano immediatamente percepite. In questa linea di condotta, vengono rispettati i tempi di apprendimento di ciascun bambino, con le sue difficoltà e i suoi punti di forza. Anche la classe non procede più in modo uniforme, c’è chi arriva dopo e chi arriva prima, molto spesso trascinando i più lenti.
La personalizzazione permette a tutti di fare un passo, ma la difformità non è facile da gestire, molto spesso si teme di perdere il controllo della situazione e di finire per causare confusione. Ma non c’è altra via che vincere questo timore, anche imparando a fidarsi della razionalità dei bambini, i quali, se messi in situazioni a loro misura, molto spesso trovano vie impensate.
In secondo luogo è importante che l’insegnante esca dall’isolamento e cerchi qualche possibilità di confronto continuo e, se possibile, collegamenti permanenti con qualche esperto che possa rispondere alle sue domande, additare i criteri, dare la sicurezza che le nuove vie sono veramente percorribili con buone, documentate prospettive di successo.

 

 

Difficoltà dell’insegnante a sganciare i bambini dai materiali concreti

 

Esiste un differente rischio, quello che l’insegnante, vedendo l’entusiasmo dei bambini, si appassioni all’uso di materiali concreti, valorizzando il divertimento suscitato, la fatica evitata e la facilità con cui sono stati raggiunti certi immediati risultati (per esempio nell’eseguire le operazioni), e lasci usare meccanicamente gli strumenti concreti di supporto.
In un certo senso, si riproduce la vecchia modalità secondo cui i risultati si ottengono in modo meccanico, senza vera comprensione, un tempo usando strumenti simbolici, ora usando materiali manipolabili; ancora una volta escludendo la razionalità e l’attenzione ai significati.
Vincolati all’uso di oggetti materiali, i bambini non sono in grado di fare un passo in più di quello così facilmente raggiunto. In questo caso bisogna recuperare la consapevolezza della necessità di superare l’esperienza concreta, per passare a un livello successivo, in cui operare su immagini, su concetti, su idee, su strutture mentali pensate, immaginate, ideali, a cui agganciare i simboli come elementi espressivi di significati ben compresi.
Questa osservazione, non vuol indurre a temere l’uso di strumenti materiali, invece si vuole attirare l’attenzione sulla necessità di un loro uso corretto, per avviare alla concettualizzazione e alla simbolizzazione tradizionale, a cui mira in conclusione tutto il percorso.

 

 

Analisi di alcuni DdB

 

Ora presento alcuni DdB che molto puntualmente rappresentano come hanno lavorato e operato i bambini nel cercare di risolvere un problema.
Faccio notare che la redazione di DdB cosiffatti mette in evidenza una chiara capacità di osservare i bambini, molta dedizione e pazienza (perché per scrivere ci vuole tempo e fatica) e anche una buona dose di umiltà, perché si consente ad altri (gli esperti) di entrare nel merito del proprio lavoro e delle proprie scelte. Soprattutto desidero sottolineare che il prodotto che analizzo, proprio perché di buona qualità, consente di sviluppare una ricca analisi, che non va intesa come un giudizio negativo, ma come un aiuto a svelare aspetti che rimarrebbero nascosti senza un adeguato approfondimento.
[A sinistra: Vassily Kandinsky – Linee Trasverse]
Per preparare il bambino a comprendere l’argomento «frazioni», prima della loro introduzione, si suggerisce di presentare problemi come il seguente:
Piero, presso una cartoleria, ha vinto 450 gettoni validi per fare acquisti. Divide in parti uguali i 450 gettoni e pone ogni parte dentro una busta. Per l’acquisto dei quaderni spende l’importo di 4 buste, per matite e penne spende i gettoni contenuti nelle altre 5 buste.
DOMANDE: 1) Quante buste riempie? 2) Quanti gettoni mette in ciascuna busta? 3) Quanti gettoni spende per i quaderni? 4) Quanti gettoni spende per matite e penne?
Contemporaneamente si suggerisce di mettere a disposizione di ciascun bambino dei veri gettoni e delle vere buste, in modo che possa fare delle prove senza puntare immediatamente alle operazioni aritmetiche.
In un DdB, ho trovato raccontato molto bene come è stato proposto ed eseguito il lavoro. Dalla precisa esposizione dell’insegnante si rileva che è stato fornito solo un foglio con il disegno dei gettoni, non sono state date le buste, ma è stata data l’indicazione di «usare tutto ciò che ritenevano opportuno per risolvere il problema e di scrivere a ogni passaggio ciò che avevano fatto».
Ecco qui la sottile linea di confine che emerge tra vecchio e nuovo metodo. Le indicazioni date sono un po’ sfumate, ma possono far pensare che l’insegnante preferisca evitare l’uso di oggetti concreti, e punti soprattutto a far arrivare rapidamente alle operazioni aritmetiche.
Tuttavia, come si può vedere nel seguito del diario, anche senza l’uso degli oggetti, è bastato lasciare liberi i bambini di inventare e spiegare le proprie strategie, per ottenere un notevole cambiamento di metodo.

 

Suggerimenti per l’insegnante in difficoltà nel capire i percorsi mentali dei bambini

 

Per commentare correttamente quello che i bambini hanno detto o scritto, è necessario avvertire che la correzione e la valutazione non possono più essere uguali a prima, perché quando si lasciano liberi i bambini di realizzare creativamente le loro strategie, è necessario tener conto della nuova impostazione didattica.
Per esempio è molto importante valorizzare il lavoro dei bambini in ogni aspetto, soprattutto cercando di comprendere e interpretare i loro percorsi mentali, anche se sono espressi in modo inconsueto o non corretto da un punto di vista formale.

 

Esempio
Un bambino ha scritto: Ho fatto 47 × 9, poi 48 × 9 e così finché sono arrivato a 50 × 9 = 450.
Bellissimo. Il bambino ha cercato di indovinare quanti gettoni potrebbero stare in ciascuna busta e poi ha moltiplicato per 9, numero delle buste, per controllare quanto distante fosse dal dato noto di 450 gettoni. Il numero scelto di gettoni per busta è stato poi aumentato, fino al risultato desiderato.
[A sinistra: Vassily Kandinsky – Cerchi in un cerchio]
Questo modo di operare per «prove ed errori», costituisce un’ottima partenza: fare una prima valutazione approssimativa (che non è cervellotica, ma sensata e razionale), poi verificare attraverso un calcolo la bontà dell’ipotesi.
Una strategia di questo tipo ha condotto a una successiva ipotesi più precisa, fino alla risposta conclusiva.
Questa non è forse matematica? Corrisponde al metodo usuale che si insegna per eseguire l’algoritmo della divisione. Nel nostro caso lo ha inventato il bambino e lo ha esplicitato come ne è stato capace, sia pure in un modo non formalmente corretto. Ma questa matematica ricostruita personalmente dal bambino va accuratamente accolta e pian piano accompagnata ad assumere le usuali espressioni convenzionali.
Tuttavia il bambino non ha scritto una divisione, perciò nel DdB l’insegnante esprime la propria perplessità. Invece è bene valorizzare il fatto che il bambino ha compreso il problema e ha utilizzato in modo creativo le sue conoscenze; ha percorso un primo tratto, altri ne dovrà ancora percorrere, ma già si trova su una buona strada.

 

Esempio
Un secondo bambino ha scritto: Prima ho calcolato 9 × 50 quindi 450 : 9 = 50. Poi ho fatto 9 gruppi di 50 gettoni e non me ne sono avanzati.
Il bambino intuisce rapidamente il risultato, parte con la moltiplicazione, che gli dà più sicurezza, poi scrive la divisione, intuendo la necessità di partire dai dati conosciuti, per ottenere i risultati richiesti. Infine ha pensato ai gettoni concreti per avere una conferma.
Questa procedura l’ha potuta seguire un bambino che aveva già una buona preparazione e una buona dimestichezza con lo strumento simbolico e formale. Infatti qui il riferimento agli oggetti viene utilizzato solo per una verifica, come conferma della bontà di un lavoro già svolto.
Anche l’iniziativa di mettere a confronto due metodi è molto valida: il secondo risultato assume il significato di verifica del primo risultato.

 

Esempio
Un altro bambino ha scritto: Io ho sommato 50 + 50 = 100 che sono 2 buste, 50 + 50 = 100 che fanno altre 2 buste, 50 + 50 = 100 che sono altre 2 buste e 50 + 50 + 50 = 150 e mi sono uscite 9 buste in totale.
Anche questo è un alunno bravo, ma la potenza della sua intuizione lo porta a fare confusione tra i dati noti e i risultati.
Il fatto di essersi dedicato come primo tentativo a cercare subito di eseguire delle operazioni, non gli ha permesso di riconoscere i passaggi mentali che ha dovuto fare, perché sono stati troppo rapidi, e non ne ha preso coscienza. Se avesse svolto il compito concretamente avendo a disposizione un materiale più adatto, probabilmente sarebbe stato facilitato a riconoscere meglio il percorso del proprio pensiero.
In questo caso, invece che correggere, si potrebbe riproporre ancora lo stesso problema, ma con oggetti veri e con numeri meno banali, in modo da rendere meno facile il conto a mente.

 

Esempio
Ecco un altro testo: In ciascuna busta ho riempito 50 gettoni. Ho diviso 50+50+50+50+50+50+50+50+50 affinché uscisse 450.
L’insegnante chiede: Come hai trovato che 50 gettoni vanno in ogni busta? Risposta: Prima di tutto perché è un numero pari ed era facile trovare 50 e poi perché se facevi un numero tipo 100 non sarebbe uscito invece con 50 sì. Ho scelto il numero 50 perché mi è venuto così.
L’insegnate si scoraggia e chiede: che cosa devo fare in questo caso?
Per prima cosa non aspettiamoci una risposta simile a quella che daremmo noi.
La seconda cosa da fare è prendere nota puntualmente di tutto (proprio come qui è stato fatto), evitando conclusioni troppo affrettate. Meglio pensare un momento in più, mettendosi nei panni dei bambini. Si possono scoprire molte cose nascoste da valorizzare.
La terza cosa è dar credito al bambino, pensando che quello che fa e che dice ha senso, ma è necessario interpretare i suoi ragionamenti, anche se sono espressi in modo maldestro.
La quarta cosa è cercare di seguire il bambino nel suo pensiero, per riuscire nell’intento di aiutarlo a tradurlo nel linguaggio simbolico corretto. Ma questo processo deve essere distribuito nel tempo, non può essere ottenuto tramite una unica immediata correzione.

Come abbiamo visto, il bambino sta costruendo la «sua» matematica, pian piano dobbiamo accompagnarlo e dobbiamo fornirgli gli strumenti che gli mancano ancora per arrivare a una espressione matematica corretta.
La quinta cosa da fare è abituare i bambini a parlare di matematica, aiutandoli a capire il significato dei termini e a precisare anche il linguaggio in lingua italiana.
Nel caso che stiamo esaminando, il bambino si è reso conto di dover fare una divisione e lo dice, ma è preponderante l’immagine di 9 mucchietti ciascuno di 50 gettoni, e risolve la sua verifica con una addizione ripetuta. Quando gli vengono chieste delle spiegazioni il bambino fa qualche confusione, non conoscendo il significato di alcune parole.
Questo è un punto difficile, ma rappresenta un passaggio necessario perché nel tempo aiuterà il bambino a prendere coscienza dei propri percorsi mentali.

 

Esempio
Vediamo quello che scrive un altro bambino: Ho scoperto perché 5 buste, cioè quante matite e penne, le ho aggiunte con 4 buste e cioè i quaderni e mi è uscito 9. Per prima cosa ho diviso il 400 per 4, poi ho diviso per 4 volte il 50 e mi è uscito 12 e mezzo e li ho aggiunti e mi è uscito 112 e mezzo.
Che fare con questo alunno? Chiede l’insegnante. Seguendo il filo del nostro discorso possiamo osservare che alla prima domanda il bambino risponde puntualmente, raccontando come ha pensato di trovare il numero totale delle buste attraverso una addizione.
[A destra: Vassily Kandinsky – Curve dominanti]
La seconda idea del bambino è quella di fare una divisione, ma non riesce a tener presenti contemporaneamente tutti gli aspetti del problema (in particolare il numero totale delle buste), per cui considera il numero di 450 gettoni e lo divide per 4 (prima suddivisione di cui parla il testo).
Il bambino ha una buona comprensione del significato della divisione, ma non riesce a dominare mentalmente tutti gli elementi e la complessità del problema. Una possibile via d’uscita è quella di chiedere di operare con gli oggetti, prima che con i numeri e le operazioni aritmetiche.
Il bambino prenderà solo 4 buste? E le altre le lascerà da parte?
Se ne dovrebbe accorgere.
Sarebbe molto interessante osservare il suo comportamento e leggere le sue nuove descrizioni.
Un’altra buona idea potrebbe essere quella di presentargli un problema più semplice, che implichi una sola operazione. Anche se costituisce un passo indietro rispetto alle richieste presentate a tutto il resto della classe, è preferibile dare maggior importanza alle necessità personali. Quando poi una mente è messa in condizione di capire, può recuperare il tempo perduto senza grande fatica.
Come ultimo punto, faccio notare che il bambino ha utilizzato un modo particolare per fare 450 diviso 4: prima divide 400, poi divide 50, infine fa la somma dei due risultati, dimostrando di saper far di conto e di saper utilizzare le proprietà delle operazioni. Questo fatto è da segnalare come cosa positiva.

 

 

Conclusione

 

Una visione riduttiva della matematica e della sua didattica, retaggio degli apprendimenti scolastici giovanili, si può trasformare in una difficoltà per l’insegnante che frequentemente finisce per concorrere ad accrescere le difficoltà degli allievi.
Per prevenire questo rischio, è necessaria una revisione critica delle convinzioni e degli atteggiamenti, e una specie di conversione culturale nel modo di vedere le cose e nell’indirizzo da dare all’insegnamento.
Per conseguire questi obiettivi sarebbe bene che l’insegnante, uscendo dall’isolamento, cercasse una guida, tenendo presente che seguire un esperto non significa rinunciare alla propria originalità, ma una via più sicura alla personalizzazione che è auspicabile non solo per i bambini ma anche per gli insegnanti.
L’esperto ha appunto il compito di aiutare a muoversi dentro la complessità che proviene dal far crescere delle persone libere: bambini e insegnanti. Bisogna anche convincersi della dignità di un pensiero di tipo matematico e scientifico appoggiato sull’esperienza concreta, la quale precede l’astrazione e il momento dell’apprendimento formalizzato, ma che ne costituisce una base indispensabile.
Se non si fa questo passo culturale, per esempio le insegnanti delle scuole dell’infanzia saranno sempre tentate di entrare nei contenuti.

 

 

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Adriana Davoli
(Già docente presso la SSIS dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, membro del Comitato scientifico dell’Associazione Ma. Pe. S.)

 

 

Note

  1. Ma.P.Es. – Matematica Pensiero Esperienza, Associazione di insegnanti e di ricerca nell’ambito della didattica della matematica.

  2. I Diari di Bordo (DdB) costituiscono il mezzo principale attraverso il quale l’Associazione Ma.Pe.S. mantiene via posta elettronica un contatto personale con gli insegnanti che desiderano rinnovare il proprio metodo di insegnamento.

 

 

Indicazioni bibliografiche

  1. Brousseau G. (1986), Fondaments et méthods de la didactique des mathématiques: Recherches en didactique del mathématiques, 7, 2, 33-115.

  2. Polya G. (1971), La scoperta matematica, Feltrinelli, Milano 1971

  3. Cobb P. (1985). Two children’s anticipations, beliefs, and motivations. Educational Studies in Mathematics 16: 111-126.

  4. Freudethal H. (1991), Ripensando l’educazione matematica, La Scuola, Brescia 1994.

 

 

 

 

 

© Pubblicato sul n° 54 di Emmeciquadro

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